Trenta opere: è raccolta la mostra dedicata ai maestri del Divisionismo alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. La scelta del museo civico della Villa Reale e della curatrice Giovanna Ginex è stata quella di andare controcorrente rispetto al trend delle esibizioni mastodontiche – una tentazione forte, con un tema così ampio e alto. In contrasto con la bulimia da informazioni a cui siamo quotidianamente sottoposti, in Divisionismo. 2 collezioni viene a crearsi una finestra di piccole dimensioni sulla corrente artistica che animò Milano e dintorni nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Le opere esposte provengono dalle collezioni congiunte di GAM e Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona.

LA MOSTRA SUL DIVISIONISMO A MILANO
La mostra lascia spazio a connessioni e legami senza esaurirli: c’è la tensione verso la natura e la semplicità della borghesia tardo-ottocentesca, il crescente interesse per i bisogni e le rivendicazioni popolari al confine con il Verismo – con la conseguente attribuzione a questi nuovi emergenti di un carattere pienamente eroico e storicamente rilevante –, così come compare la passione tardo-romantica per le emozioni intense e gli affetti familiari. Attraverso l’analisi delle opere realizzate a olio e a pastello, i maestri non vengono estrapolati dalle diverse commistioni artistiche e personali, al fine di creare un quadro più unitario, ma inseriti in un percorso più ampio e contestualizzato: così Balla e Boccioni non devono sorprendere accanto a Segantini e Pellizza da Volpedo, e l’Ave Maria verista di Giulio Branca convive con la scultura simbolista Il profumo di Leonardo Bistolfi.
LE OPERE IN MOSTRA ALLA GAM DI MILANO
La prima sala, dedicata al gusto tardo-romantico degli scapigliati, ci porta attraverso il melodramma delle Penombre di Previati e dell’ispirazione shakespeariana di Romeo e Giulietta nell’opera di Tranquillo Cremona, accompagnate dalle donzelle medievali di gusto boccaccesco di Luigi Conconi. La seconda ci conduce nelle alture che tanto hanno impressionato Carlo Fornara, Giovanni Segantini e Giuseppe Pellizza da Volpedo. Se di Fornara sorprendono i cieli azzurrissimi – inintelligibili da vicino perché composti da una miriade di colori puri sovrapposti sulla tela, come è d’uso per i divisionisti –, nel Ponte di Pellizza emerge uno spirito intimista e di stampo quasi psicologico, che riflette quel crinale tra XIX e XX secolo. Il tratto umido è comune anche ad Angelo Morbelli, che compare con il celebre Mi ricordo quand’ero fanciulla insieme a Pusterla e Nomellini nella terza sezione, dedicata alla pittura sociale. I tavolacci delle cucine popolari di Attilio Pusterla e la Piazza Caricamento piena di scaricatori di porto e operai di Plinio Nomellini sono accostati alle visioni dell’Inverno al Pio Albergo Trivulzio – che dopo due anni di pandemia fa una grossa impressione – e all’Alba dell’operaio di Giovanni Sottocornola, che nei suoi toni epici e umilmente dignitosi ricorda un Quarto Stato notturno. In tutte le opere le donne, al pari degli uomini, lavorano, sono al centro delle proteste, sono povere, si ammalano e invecchiano: escono insomma dalla mitologia femminea della dama ed entrano a pieno titolo nella categoria del popolare e dell’umano. La quarta sala è dedicata quindi al pastello, che non diversamente dall’olio su tela è composto da migliaia di filamenti di colore puro accostati, mentre la quinta si concentra sulle contaminazioni con le correnti artistiche coeve e successive: a un Giacomo Balla malinconico e introspettivo della Fidanzata a Villa Borghese si alterna un Umberto Boccioni al limitare con il Futurismo, con i suoi i ritratti di Armando Mazza e dell’anziana madre, pure in pieno umore tardo-romantico.
‒ Giulia Giaume
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