Il Boldini di Sgarbi è al Mart di Rovereto

Rimane ancora qualcosa da dire sulle sciarmose tele di Giovanni Boldini? Per lui il Mart di Rovereto schiera ora oltre 150 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali appartenenti al patrimonio del Museo Boldini di Ferrara.

Giovanni Boldini è nato a Ferrara nel 1842 e Vittorio Sgarbi, che ora dirige tanto il MART che la Fondazione Ferrara Arte, è pure lui nato lì, nel 1952. Che c’entra? C’entra eccome, perché è il taglio che porta la firma di Sgarbi a rendere questa mostra intrigante. E ancora una volta è riconoscibile l’acume (il geniaccio? l’astuzia?) di Sgarbi, qui non tanto in veste di curatore, quanto di Presidente di un museo in un periodo davvero difficile per qualsiasi ente del genere: non solo per le chiusure a singhiozzo ma per la lapalissiana difficoltà di farci tornare i visitatori.

GIOVANNI BOLDINI E GABRIELE D’ANNUNZIO

La malizia di Sgarbi la si percepisce sin dal titolo, Boldini. Il Piacere, dove il pittore incrocia il “vate” in un avventuroso dialogo. Sgarbi ci ha abituato a queste alzate d’ingegno: conosce perfettamente quel che fa, e di sicuro la filologia in quanto tale lo annoia. D’altronde la mostra Caravaggio. Il contemporaneo, che sta nello stesso museo qualche sala più in la, Sgarbi l’ha costruita incrociando il Merisi con Burri e Pasolini.
In questa retrospettiva, il lavoro di Boldini è apparecchiato in maniera impeccabile, con tanto di sottotraccia sonora eseguita dal pianista Cesare Picco e dal violinista Luca Giardini secondo i modelli armonici della musica di quei decenni. C’è però una sala in particolare che costituisce il cuore dell’esposizione: è qui che si esplicita l’intersezione tra il pittore, il poeta e (sorpresa!) la superdiva (ai tempi, “divina”) dell’epoca: la marchesa Luisa Casati Stampa.
Ma andiamo con ordine. D’Annunzio scrive il più celebre tra i suoi romanzi nel 1888 (pubblicato l’anno seguente), provocando, persino tra i lettori più sofisticati, brividi paragonabili oggi a quelli di ogni nuova avventura editoriale di Michel Houellebecq. Tanto che Benedetto Croce in lui identifica “nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente”. D’Annunzio era pure una star mondana, e coltivava il suo personaggio così pervicacemente che Benito Mussolini, non sopportandone la fama, decise di farne un sorvegliato speciale.
(Nel film Il cattivo poeta – terminato, pronto ma mai uscito causa pandemia – Sergio Castellitto interpreta il “vate” prigioniero dentro il suo Vittoriale, guardato a vista dal Federale Giovanni Comini, messo lì dal Partito fascista, che riteneva il poeta “un dente marcio”.

GIOVANNI BOLDINI E LE DONNE

Al MART, sulla parete centrale della sala in questione, sta appunto appeso un ritratto della Casati eseguito da Boldini (1911 ca.), dove lei appare coperta da piume di pavone, le stesse che spesso D’Annunzio amava citare. Sull’affaire D’Annunzio–Casati, le cronache dell’epoca hanno consumato inchiostri d’ogni genere. Ma Boldini? Del rapporto tra il pittore e la Casati resta la testimonianza in due quadri: questo e un secondo, dove la Casati compare con un levriero.
Lincrocio voluto da Sgarbi pare insomma piuttosto immaginifico. Se D’Annunzio fu senza dubbio un poseur, Boldini al contrario “in posa“ faceva mettere gli altri, più volentieri se erano “altre”, ancora meglio se bellissime e titolate. Quando ancora giovanissimo si trasferisce dalla troppo provinciale Ferrara a Firenze (allora capitale del novello Regno d’Italia), tra le sue prime opere c’è il ritratto di un’altra nobildonna, questa pure di origini ferraresi, Livia Monti, nata contessa Mangioni. A Firenze frequenta assiduamente l’avanguardia dell’epoca (i Macchiaioli), ma ancora più intensamente la nobile inglese Isabella Falconer, la quale diviene sua amante e mecenate. Boldini, dal canto suo, non trascura per questo l’amicizia con il marito di lei, sir Walter, che, invitandolo nel 1867 all’ Esposizione Universale, gli offre la possibilità di vedere per la prima volta Parigi.
Boldini era basso di statura (l’essere al di sotto dei 155 cm gli fruttò l’esenzione dal servizio militare) e bruttino, basso e bruttino almeno quanto D’Annunzio, questo sì, ma fortunatamente per lui più bon vivant. Quando si stabilisce nella Ville Lumiére ne assorbe in pieno lo spirito belle époque. Ottiene la stima di Degas, Manet e Courbet, frequenta i salotti più in vista, dove incontra titolate, attrici e intellettuali che ritrae sempre splendidamente abbigliate. Ma è pure capace di svestirle: abbondano anche al MART pose femminili rilassate, ma decisamente erotiche: un’abilità non qualsiasi visto il rango delle sue modelle.

Giovanni Boldini, Il bar delle Folies Bergère, 1885 ca. Collezione privata. Courtesy Enrico Gallerie d’arte

Giovanni Boldini, Il bar delle Folies Bergère, 1885 ca. Collezione privata. Courtesy Enrico Gallerie d’arte

FUOCHI D’ARTIFICIO E CAVALLI BIANCHI

I ritratti delle sue grand dame riflettono la sensibilità dell’epoca. Boldini imprime ai quei corpi uno slancio che pare mutare le sue bellissime in levrieri con le teste affusolate, o destrieri felicemente zampettanti nello spazio. La stessa posa in cui è ritratta la Casati avvalora questa tesi.
Ma ci sono altre due tele straordinarie in questa esposizione. Si tratta di Fuochi dartificio (1890 ca.) e Due cavalli bianchi (1874 ca.). Nella prima, l’artista imprime alla tela vortici di pennellate lunghe e vibranti in un felice abbinamento cromatico, fatto di bianchi e tocchi di rosso: la dama ritratta è posta al centro di una danza di veli mulinanti e – come in tutte le sue figure muliebri – poi incellophanata come in bouquet di fiori.
C’è un intento sperimentale qui più che altrove, lo stesso che però è già ravvisabile nelle due teste di cavallo che forse avrebbero meritato un rilevo maggiore. Queste ultime appaiono modernissime e del tutto coerenti con l’interesse del pittore per il pulsare della vita nella metropoli, con le sue piazze gremite, le strade attraversate da carrozze e scorci urbani dove la velocità è il tratto saliente del quotidiano di una grande capitale. Queste straordinarie teste di cavalli bianchi, difatti, facevano originariamente parte di una grande tela rimasta incompiuta e poi tagliata dallo stesso autore.

LA STANCHEZZA DI BOLDINI

Alessandra Borgogelli, nel suo Boldini, cita documenti dove l’artista si diceva stanco dell’essere obbligato a omaggiare belle dame, mentre lo interessava allo stesso titolo il deretano di un cavallo, pronto ad affrontare le vie di Parigi.
Il Piacere è dunque il titolo del fortunatissimo romanzo di Gabriele D’Annunzio. Boldini. Il Piacere è il titolo di questa mostra ora finalmente aperta al MART. Ma il piacere è certamente quello che Vittorio Sgarbi deve essersi procurato nell’ideare questo colto e insieme furbissimo show.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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