La realtà dura e cruda nella mostra di Yuri Ancarani a Milano

Non c’è spazio per la finzione nelle opere filmiche di Yuri Ancarani, in mostra al PAC di Milano con una serie di video e lungometraggi dagli esordi all’epoca attuale

Lascia stare i sogni riunisce al PAC di Milano per la prima volta in un’ampia monografica, a cura di Diego Sileo e Iolanda Ratti, la produzione video di Yuri Ancarani (Ravenna, 1972), artista tra le figure più stimolanti della sua generazione che in questi anni ha saputo restituire uno sguardo lucido e coerente sulla nostra realtà. Ed è proprio la realtà, senza finzioni né effetti speciali, il centro di interesse del suo lavoro, a partire dai primi video realizzati in Romagna, fino ai più recenti lungometraggi.

Whipping Zombie, 2017. Still video. Courtesy Studio Ancarani

Il Capo, 2010. Still video. Courtesy Studio Ancarani

LA MALATTIA DEL FERRO DI YURI ANCARANI

Il percorso inizia nel candore incontaminato di una cava di marmo demolita dall’azione di giganti ruspe comandate dal gesto dell’uomo. Il capo (2010) è il primo capitolo della trilogia de La malattia del ferro, cui seguono Piattaforma Luna (2011) e Da Vinci (2012): un lavoro che segna il punto zero di una nuova era, la fine dell’armonia naturale e l’inizio della relazione tra l’uomo e la macchina.
In Piattaforma Luna le riprese si spingono nelle profondità di una camera iperbarica che ricorda la navicella di Odissea nello spazio: una bolla di ferro inabissata a 100 metri di profondità dove le azioni necessarie alla sopravvivenza – dormire, lavarsi, perfino pregare – sono regolate da un rigoroso sistema di controllo vocale. Se il rapporto tra uomo e macchina si fa sempre più ibrido, la realtà perde progressivamente umanità, diviene estranea ed estraniante, fino a sembrare finzione. Invece – come suggerisce già il titolo, Lascia stare i sogni Ancarani registra il mondo così com’è, quello che vediamo è quello che stiamo vivendo.
In Da Vinci ci sono membrane, viscere e carne pulsante a tu per tu con bisturi di altissima precisione. Siamo all’interno del corpo durante un’operazione di chirurgia microinvasiva condotta attraverso comandi e visori a distanza. Medici come sommozzatori governano (o sono governati?) da accurati sistemi tecnologici ad altissima precisione. La relazione tra uomo e macchina è ormai una fusione simbiotica che genera una creatura mutante: la realtà distopica del nostro presente.

Piattaforma Luna, 2011. Still video. Courtesy Studio Ancarani

Piattaforma Luna, 2011. Still video. Courtesy Studio Ancarani

LA TRILOGIA DELLA VIOLENZA

Nei lavori della seconda trilogia, Le radici della violenza, Ancarani espande la sua indagine dalla dimensione individuale a quella collettiva: San Siro (2014), San Vittore (2018) e San Giorgio mostrano un mondo di una perfezione sinistra, in cui ogni minimo movimento è predefinito. Chiusure, gate, portelli, chiavi, ispezioni: non c’è molta differenza tra il sistema che precede lo svolgimento di una partita allo stadio di San Siro e quello previsto per le visite nel carcere minorile di San Vittore. In questo mondo meccanizzato e asettico, la narrazione si costruisce sui gesti, non ci sono voci né volti, l’uomo è diventato un automa.

The Challenge, 2016. Still video. Courtesy Studio Ancarani

The Challenge, 2016. Still video. Courtesy Studio Ancarani

YURI ANCARANI AL PAC DI MILANO: THE CHALLENGE E WHIPPING ZOMBIE

È un’indagine della condizione umana che nei film esposti nella galleria superiore si fa più ampia, raccontando le derive estreme della nostra realtà. L’ipnotico The Challenge (2016) ci porta al cospetto dei ricchissimi sceicchi del Qatar: tra ghepardi al guinzaglio, Lamborghini nel deserto e tende beduine con schermi al plasma, la narrazione ruota intorno all’hobby della caccia dei falchi, in cui l’estrema opulenza è al servizio di un mortifero gioco di supremazia.
In Whipping Zombie (2017), girato in uno sperduto villaggio ad Haiti, la violenza del mondo diventa un rito di danza cruenta: gli abitanti dell’isola mettono in scena le dinamiche tra schiavi e padroni, si frustano e percuotono fino a morire. È la danza degli zombie: uomini in trance, senza coscienza e senza libertà.
Lascia stare i sogni è una mostra silenziosa, affidata a un linguaggio senza parole che restituisce allo spettatore la libertà di una comprensione personale e non indotta: sta a ciascuno di noi comporre il senso di ciò che vediamo. Il risveglio dalla nostra quotidiana trance, per aprire gli occhi sulla realtà e sulla vita di ognuno di noi.

Emilia Jacobacci

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Emilia Jacobacci

Emilia Jacobacci

Emilia Jacobacci è una storica dell’arte, laureata alla Sapienza di Roma con una tesi sul progetto del MAXXI. Si è poi specializzata in Management dei beni culturali alla Scuola Normale di Pisa e a Milano in Comunicazione multimediale. Scrive di…

Scopri di più