Iperconsumo e scarto nella mostra di Shahryar Nashat a Milano

Mettono in luce gli effetti del consumismo sfrenato le opere di Shahryar Nashat in mostra da Ordet a Milano: oggetti che rivendicano la loro carnalità ma che sono destinati a diventare scarti

Le opere di Shahryar Nashat (Ginevra, 1975) vengono presentate attraverso la triste imponenza degli oggetti abbandonati in discarica, un luogo in cui lo scarto è padrone dello spazio e la loro presenza occupa un lasso temporale che va da un passato sconosciuto ad un possibile futuro distopico. La loro componente organica esiste unicamente nella sensualità del materiale e nella traccia del suo utilizzo originario. L’artista spesso ricorre all’accostamento di fluidi lucidi per suggerire l’origine organica delle sue immagini e al contempo profetizzare sulla perdita vitale della materia nel ciclo infinito di produzione, riproduzione, accumulo e scarto.
Entrando nello spazio di Ordet a Milano si è sopraffatti dall’illuminazione fredda e particolarmente intensa che conferisce alle opere l’aspetto scabro degli esperimenti da laboratorio o degli oggetti in stallo nei magazzini e nelle celle frigorifere, ambienti in cui i meat objects assumono l’identità della falla nella catena di montaggio.
La prima opera, Deeper and deeper, è una distesa di cinque materassi usurati dal tempo che fungono da piedistalli per vasche di vetro, come quelle utilizzate per gli acquari domestici, riempite di acqua, lacrime umane e soluzione salina della Camargue, un ecosistema in cui solitamente prolifera un batterio dalla colorazione rosacea; in condizioni naturali questo è anche l’habitat dei fenicotteri, e il batterio è ciò che conferisce loro la tipica sfumatura rosa.
Nella loro apparizione monolitica, le vasche sono portatrici vive di quello stesso scambio tra la materia che ha macchiato i materassi, una traccia vitale di cui, però, ormai resta soltanto una sintesi visiva nel segno organico di usura, così come la colorazione rosea dell’acqua è indice di un mancato scambio, di una relazionalità impedita dalla chiusura in un ambiente asettico.
Lo stesso blocco relazionale accennato attraverso le vasche riempite di acrilico e resina nella serie Brother (_11/_09/_10).JPEG, la cui superficie è stata fissata nel liquido trasparente: la resina sospende nel tempo un materiale altresì vitale nel suo essere parte del processo creativo.

Shahryar Nashat, Brother_10.JPEG, 2023. Courtesy Gladstone Gallery and Rodeo, London/Piraeus. Photo Credit Nicola Gnesi

Shahryar Nashat, Brother_10.JPEG, 2023. Courtesy Gladstone Gallery and Rodeo, London/Piraeus. Photo Credit Nicola Gnesi

LE OPERE DI SHAHRYAR NASHAT A MILANO

La serie Blender, riproduzioni in stampe 3D di frullatori domestici, sono l’ultimo totem di una civiltà che ha trasformato in culto l’ossessione di processare le funzioni naturali, nel tentativo disperato di combattere il decadimento del corpo, come testimonia la mania contemporanea per la chirurgia estetica e per i surrogati proteici, al fine di rendere iperfunzionale la cura del corpo e la sua alimentazione. Il risultato di un simile rito è un ibrido inscindibile tra organico e artificiale, la creazione di oggetti finiti impossibilitati a procedere nei cicli di decomposizione e rinascita, fissati in eterno all’interno di un’ambiente sempre più accelerato che tende a consumare e dimenticare a una velocità che non permette più archeologia.
L’aura degli oggetti, superata nella riproduzione 3d, è ridotta all’eccesso di gelatina acrilica che strabocca dalla sua forma altrimenti perfetta, una materia solo in apparenza viva che ricorda la gloria della sua utilità. Nelle opere di Nashat, la sostanza gelatinosa funge da eccesso/limite, un dispendio non riutilizzabile che continua a esistere unicamente nella memoria fisica e sensoriale. Come nella serie di stampe Brother (_06/_07/_04/_08/_03/_01/_02). JPEG, l’interno di una carcassa animale viene riprodotta fino a perdere l’impatto sensoriale legato alla carne avariata da cui proviene l’immagine originale, ma la gelatina acrilica di cui sono cosparse rimanda allo scarto involontario, il grasso animale che sporca e invade i processi di macellazione, un’immagine cruenta resa inoffensiva dalla sistematizzazione dell’industria alimentare che nasconde al consumatore la componente scatologica insita nella raffinazione di una carcassa.

Shahryar Nashat, Untitled, detail, 2023. Courtesy Gladstone Gallery and Rodeo, London/Piraeus. Photo Credit Nicola Gnesi

Shahryar Nashat, Untitled, detail, 2023. Courtesy Gladstone Gallery and Rodeo, London/Piraeus. Photo Credit Nicola Gnesi

IL CONSUMISMO SECONDO NASHAT

Un tentativo di svelare l’esorcismo dell’organico che si nasconde dietro le logiche consumistiche è l’opera Hustler_11.JPEG, l’unico vero scarto organico nella mostra, l’urina dell’artista, reso inoffensivo dal confinamento in sacche di vinile, ammassate in un angolo come pronte allo smaltimento o alla distribuzione, e isolate in un ambiente funzionale e precario creato tramite pannelli di compensato.
La stessa sorte a cui è destinata la carcassa soggetto della serie di stampe Brother è ciò che spetta all’icona cristologica attraverso l’intensità del glitch nell’opera Untitled. Come nel dipinto di Holbein il Giovane da cui è tratta l’immagine riprodotta in serie, la mano in decomposizione del Cristo è indice della necessità di testimoniare la transizione nel cadavere prima della resurrezione, così, nell’opera di Nashat, il glitch diviene fenomenologia della resurrezione cristiana. In Untitled, la resistenza temporale dell’errore nel sistema diviene riflessione su un fenomeno religioso che, evitando il passaggio attraverso la decomposizione e lo stato organico del cadavere, ha fondato una cultura che consuma ogni cosa ignorando le responsabilità e le implicazioni dovute all’appartenenza a un ciclo, oltre che alla jouissance dovuta alla pura fisicità e all’essere materia organica reattiva all’ambiente e all’altro.

Rosaria Murolo

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