La pittura di Giuseppe Salvatori in mostra a Roma

“Una questione di vita o di morte”: così è definita la pittura di Giuseppe Salvatori da Roberto Gramiccia, che commenta la sua mostra negli spazi della Nuova Pesa e lo stato dell’arte nella Capitale

In un tempo cupo e gravido di pericoli – fra una pandemia che non vuole finire e una guerra che lacera per la prima volta, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il petto dell’Europa – la mostra di Giuseppe Salvatori a La Nuova Pesa, visitabile fino al 20 maggio 2022, è una buona notizia, anzi un’ottima notizia. La qualità di Elegia attica ‒ questo il titolo dell’evento ‒ in una galleria storica, il grande afflusso di visitatori nonostante il Covid, e soprattutto i consensi espressi apertamente o fiutati nell’aria, come capita alle inaugurazioni che a Roma contano, sono le componenti di un successo, destinato a lasciare un segno. Un successo non scontato non solo per le atmosfere depressogene che attraversano la Capitale ma perché ormai è diventata un’abitudine – spiace dirlo – andare alle mostre e uscirne a bocca asciutta, senza un turbamento, un’emozione, senza un dubbio, persino, che testimoni almeno un accenno di produttiva instabilità.

Giuseppe Salvatori, Le armi di Achille, 2021. Courtesy l'artista e La Nuova Pesa, Roma

Giuseppe Salvatori, Le armi di Achille, 2021. Courtesy l’artista e La Nuova Pesa, Roma

LO STATO DELL’ARTE A ROMA

Certo non si può generalizzare. Esistono anche fatti in controtendenza come ad esempio la recente, bella personale di Felice Levini al Museo Bilotti, le mostre in programmazione proprio a La Nuova Pesa e alcuni eventi considerati ingiustamente “periferici”. Ma, in generale, si può dire che la qualità media dell’offerta sia – da anni ormai – a Roma, e non solo, al di sotto delle aspettative. Non è certo questa la sede per indagare le cause di questo fenomeno, cosa che ho provato a fare più volte e, in modo sistematico, qualche anno fa in un libro, di cui non è il caso qui nemmeno di accennare a ripercorrere le piste interpretative. Una cosa, però, la voglio dire: in questi ultimi anni la qualità in arte ha progressivamente cessato di essere non dico il valore centrale – la bussola – ma persino un requisito dirimente per capire che cosa è arte e che cosa non lo è.
Si è intrattenuto su questo argomento molto meglio di me Mario Perniola nella sua ultima opera, L’arte espansa, che vi invito a leggere. In buona sostanza l’idea è che, oggi, qualsiasi cosa può essere arte a condizione che sia “artistizzata”, certificata cioè, riconosciuta e ammessa dal sistema che decide che cosa è arte e che cosa non lo è. Naturalmente tutto questo accade non per caso e non al di fuori delle dinamiche che riguardano le distorsioni dell’industria culturale, nel panorama più generale di un dominio imperfetto (perché non sa evitare guerre, pandemie e tremende ingiustizie) ma feroce del sistema economico dominante. Tutto questo ho dovuto dire per poter spiegare perché la mostra di Giuseppe Salvatori è una buona notizia.

Giuseppe Salvatori, Olimpia, 2019. Courtesy l'artista e La Nuova Pesa, Roma

Giuseppe Salvatori, Olimpia, 2019. Courtesy l’artista e La Nuova Pesa, Roma

LA MOSTRA DI GIUSEPPE SALVATORI A ROMA

Lo è perché falsifica il mantra post-post-moderno dominante, docile funzionario del mercato. Lo fa rimettendo al centro la qualità. Rimettendo al centro la pittura e il suo darsi non come “occasione fortuita” ma come riflessione sul tempo e sulla storia. Una riflessione non asettica, però, non accademica ma capace di “mettere le mani” nella classicità (persino!) e far emergere l’attualità di un presente che appartiene al passato. Giuseppe Salvatori (Roma, 1955) con Elegia Attica dimostra che l’antico (udite, udite) è attuale; che nella nostra vita c’è ancora e, per quello che è possibile, ci nutre e ci migliora. E che, casomai, il problema principale del nostro tempo è che ci sono ragioni di potere interessate a spezzare questo legame, a prosciugare questo nutrimento, a consegnarci a un destino di irrilevanza e di passività.
L’ossessione di un presente onnivoro e totalizzante è quella che i tondi (in legno) di Salvatori cancellano, senza ricorrere alla violenza verbale dell’editto ma piuttosto all’esempio universale del metron e della grazia che attengono alle radici della nostra cultura. Ecco allora che la perizia pittorica, la tecnica sopraffina non sono un “di più” esibizionistico, non sono “maniera”, ma strumento di scavo nel tempo e nella storia, di tutti noi certamente ma anche di chi di questa investigazione è artefice. Salvatori parla di un mondo antico e di un mondo moderno inevitabilmente connessi, finché resisteremo alla violenza banalizzatrice del senso comune oggi vincente, lo fa dandoci la gioia e il godimento di una pittura che si presenta per quello che è: espressione immortale, e nella sostanza più intima immutabile, del tentativo se non di cancellare la morte, almeno di vincerla momentaneamente.
Una pittura raffinatissima, prodiga di riferimenti alla natura e a oggetti carichi di significati simbolici: farfalle, fiori, piccoli rettili veloci, volatili, pugnali, merletti, elementi di una decorazione che raccontano l’aspirazione al bello. Le venature stesse del legno partecipano al rito della pittura con pari dignità. Come la sobrietà delle scelte cromatiche, in una gara di segni e di curve che, a volte, sembrano aspirare al ristoro di un’aniconicità, contrappunto di una narrazione palpitante: riposo del guerriero. La pittura per Giuseppe Salvatori sembra davvero una questione di vita o di morte, come diceva un mio storico amico pittore. Lo sembra e lo è, riuscendo a cancellare l’assurda divisione fra il fare e il pensare, che sono figli l’uno dell’altro. In pittura non esiste un pensare senza un “saper fare”. Questa mostra e tutta la storia creativa di Giuseppe Salvatori lo dimostrano. In particolare lo dimostrano, direi quasi solennemente, alla fine di una trilogia (di cui Elegia attica rappresenta l’ultima tappa) iniziata nel 2018 con Xanto e proseguita con Perseidi. Accompagna la mostra una preziosa tiratura grafica in pochi esemplari, Le armi di Achille, con poesie di Claudio Damiani. Nell’insieme, direi, un gioiello. Ma un gioiello utile e necessario a farci ritrovare un sorriso, una speranza.

Roberto Gramiccia

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Roberto Gramiccia

Roberto Gramiccia

Roberto Gramiccia, scrittore, critico d’arte, giornalista e medico vive e lavora a Roma. Ha curato numerosi e importanti eventi espositivi (fra cui sei grandi antologiche su Tano Festa, Pizzi Cannella, Cloti Ricciardi, Lucilla Catania, Giacinto Cerone, Franco Mulas) e un…

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