3 ristoranti che uniscono cibo e arte
Chi l’ha detto che i ristoranti nei quali vengono esposte le opere degli artisti debbano essere tristi o tutti uguali? Ecco tre esempi che dimostrano il contrario
A chi per lavoro o per piacere capita spesso di mangiare in ristoranti appartenenti alla categoria comunemente chiamata “fine dining” (alta cucina) non sarà sfuggita l’inevitabile tendenza all’omologazione stilistica che spesso contraddistingue l’estetica di questi luoghi: se infatti il formalismo per la tavola è regola (spesso sintetizzato dal termine galateo), tradotto in una serie di dettami sul come si apparecchia, come si serve, come si alternano le portate, lo stesso atteggiamento pare alcune volte contagiare anche il gusto per gli arredi, dal design alla temperatura delle luci fino alle tele appese alle pareti. Se la scelta di illuminare ogni tavolo d’Italia con lampade senza fili che si accendono con un tocco dall’alto può lasciarci grosso modo indifferenti, è invece quasi triste notare quanti ristoranti abbiano scelto di mettere sulle pareti opere d’arte contemporanea completamente casuali, come se si trattasse più d’arredo che di cura creativa.
In maniera diversa, la ristorazione e le arti sono state senza dubbio tra i settori più colpiti dalla pandemia, ed entrambi sono stati costretti a rivedere i propri modelli di sviluppo e di comunicazione: il delivery e il web hanno da un lato reso fruibili anche da casa certi tipi di esperienze, ma dall’altro ci hanno allontanato dall’anima più tangibile del piacere. Per questo, nel ripensare il new normal, è bello immaginare che ci siano sempre di più spazi multifunzionali, dove godere di esposizioni e mostre anche al di fuori dei circuiti abituali sulla scia dei pochi pionieri come Massimo Bottura alla Francescana di Modena, Niko Romito al Reale di Rivisondoli, Alberto Gipponi al Dina di Brescia e così via. Ecco quindi tre ulteriori esempi (uno a Bologna e due in Campania) di ristoranti votati alla ricerca artistica più pensata rispetto alla media.
‒ Federico Silvio Bellanca
CASA KBIRR – NAPOLI
Fabio Ditto è un uomo del Rinascimento: culturalmente infatti questo imprenditore di successo napoletano pare vedere come un proprio dovere morale la restituzione di una parte della propria fortuna attraverso il sostegno alla cultura della sua città. Se da un lato il suo marchio di birre artigianali Kbirr è tra i più conosciuti della città partenopea, dall’altro può sfuggire che dietro a ogni prodotto e progetto di quest’azienda si nasconde un implicito o esplicito sostegno economicoad artisti contemporanei della sua città. Le etichette delle sue birre ad esempio sono ispirate a opere di Roxy in the Box. Ma è dal 2018 che la passione di Fabio ha trovato sede fisica, con l’apertura del ristorante Casa Kbirr, ristorante dove oltre a mangiare piatti tipici della cucina napoletana, e ovviamente bere birra, si possono ammirare le opere di tanti giovani artisti contemporanei commissionate dall’imprenditore partenopeo. Tra i pezzi esposti ci sono le lampade realizzate dalla cooperativa di ragazzi della Sanità, Iron Angels, le sculture in legno ispirate alle etichette Kbirr di Eddy Ferro su disegni di Maura Messina e le opere di Luigi Masecchia, che dal 2013 propone il progetto Tappo’st, in cui valorizza ed esalta il riciclo usando tappi di metallo, e che per Kbirr ha disegnato un’opera in esclusiva, sempre con i tappi della birra. Da poco Ditto ha aperto anche il B&B, dove si dorme tra le tele e le sculture. Spiccano nel novero delle azioni finalizzate alla promozione della cultura cittadina l’etichetta dedicata a #Cuoredinapoli, che diffonde il city brand creato dall’Accademia delle Belle Arti di Napoli, e il sostegno alla cooperativa “La Paranza”, che nel Rione Sanità gestisce le visite alle catacombe, dando lavoro ai giovani di uno dei quartieri più difficili della città, dove vengono organizzate le Aperivisite serali in collaboranzione con Kbirr.
www.birrakbirr.com/casa-kbirr/
VIVO RISTORARTE – BOLOGNA
Il nuovo ristorante dello chef Vincenzo Vottero, appena aperto a Bologna a Porta Lame, a pochi passi dal centro della città, si presenta con un doppio scopo di nutrimento, fisico e spirituale, o se preferite con l’ambizione di accontentare due sensi, ovvero il gusto e la vista. Se infatti la cucina è nelle sapienti mani dello chef petroniano, la curatela delle opere esposte negli spazi comuni è affidata a Licia Mazzoni che, dopo aver lavorato a lungo in città come gallerista, si unisce al marito-chef in questa nuova avventura professionale assumendo il ruolo di PR & Event Manager di VIVO.
Il calendario delle esposizioni all’interno del ristorante prevede l’allestimento e la promozione di tre personali all’anno, una ogni quattro mesi, seguendo e assecondando la stagionalità delle materie prime, che si esprime anche nel menu dello chef, con proposte creative in continuo divenire.
All’incirca a ogni cambio di stagione, infatti, un nuovo artista ha la possibilità di presentare da VIVO i propri lavori. Si è cominciato con alcune opere dell’artista bolognese Simona Ragazzi, nel segno di scultura, pittura e fotografia, per poi inaugurare una seconda mostra con una quindicina di opere realizzate da Octavia Monaco, visitabile dal 3 marzo a metà settembre. Da farci un salto durante la prossima Arte Fiera in maggio.
http://www.vivoristorantebologna.it/
KRÈSIOS ‒ TELESE TERME
Chiudiamo questa carrellata con Giuseppe Iannotti, tra gli chef più ammirati e influenti d’Italia, capace quest’anno di portare in Campania anche l’ambita seconda stella Michelin. Le pareti del suo ristorante da quindici coperti raccontano una storia d’amicizia (oltre che di mutua stima professionale) con il giovane artista Alfredo del Bene, in arte The Animismus. Nel 2016 Iannotti entrò infatti in contatto con alcune opere del giovane disegnatore e grafico e se ne innamorò. Cominciò a informarsi e si fece mettere in contatto con l’autore. Da qui nacque una collaborazione sia umana sia artistica che ha portato lo chef a esporre sulle pareti della hall del ristorante una serie di lavori partendo da un provocatorio pinocchio sessualizzato fino ad arrivare ai dipinti del progetto 50days, per il quale per cinquanta giorni, alla stessa ora, l’artista ha ridisegnato differenti dettagli dello stesso soggetto (una donna e il suo corpo) in una cornice quadrata usando solo tre colori. Nel bagno, invece, troneggiano dieci bozzetti che rappresentano l’evoluzione grafica degli organi sessuali maschili e femminili. Si parte con due linee (una verticale e una orizzontale) e si conclude con l’incorniciare versioni degne di manuali d’anatomia.
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