
Huma Bhabha (Karachi, 1962; vive e lavora a Poughkeepsie) incarna la tecnologia. Attinge dalle suggestioni di una scienza e di un’arte creatrici, cerca l’intonazione giusta per la fusione di materiali diversi, per rendere la forza della metamorfosi. Ogni opera, ogni figura, è un piccolo saggio per ripercorrere a proprio piacimento la storia di antiche civiltà o le atmosfere vintage di pellicole sci-fi. Già dall’esterno della galleria è impossibile non notare l’imponente massa in bronzo di Receiver (2019), il primo della processione. La visione ravvicinata non dirime i dubbi, alieno atterrato in via Crispi dallo spazio profondo o idolo di una popolazione sconosciuta, frutto di uno scavo clandestino e mai pubblicato? In questa alchimia tra passato e presente, tra molteplici riferimenti artistici e legami imprevisti – come la combinazione di sughero antico e polistirolo postindustriale – risiede il fascino di opere sapienti, per le quali diventa superfluo chiedersi quanti o quali elementi le differenzino. È possibile individuare nelle loro fattezze una continuità con la cultura antropologica e iconografica dell’artista, ma è la sua capacità risolutiva a rendere quelle condizioni di partenza uno sfondo tanto originario quanto distante.

LA LOTTERIA DI BORGES
Tra percezione e immaginazione, tra fisico e metafisico, il tema ispiratore è La lotteria di Babilonia, racconto di Jorge Luis Borges. Il gioco a premi determina la vita degli uomini, è obbligatorio ed esteso a ogni evento della vita. Elargisce doni ai fortunati e danni agli sfortunati: ferite, prigione, morte. Ogni aspetto dell’esistenza è soggetto al caso e al caos, sotto il controllo possibile di un’indecifrabile e amorfa Compagnia organizzatrice. Nella grande sala ellittica di Gagosian, Huma Bahbah ne offre i ritratti tridimensionali. Astanti in sughero e styrofoam, splendenti di nero e colori pastello, sacri e intoccabili. Ogni creatura implica la contaminazione, contempla gli innesti, presuppone l’ibridazione, fa dialogare il naturale con l’artificiale. È restituita allo sguardo l’unità delle parti, il piccolo e il grande, il sotto e il sopra. I tecnototem offrono il senso di una suggestione creativa composita, armonia di fantascienza e archeologia. Huma Bhabha indaga gli strumenti meccanici e i loro processi costitutivi, li trasforma nella composizione di nuove forme ibride, li riveste di un’inquietante e dispotica autorevolezza. Deumanizzati, negativi e alienanti, controllano le estrazioni. Con un certo senso di paranoia, qualcuno non esclude che una situazione del genere sia già in essere.
‒ Raffaele Orlando