Eugenio Tibaldi alla Cooperativa Dolce di Bologna. Con Stampone curatore e l’annuncio di un Premio

A Bologna il progetto di Eugenio Tibaldi, curato da Giuseppe Stampone, per la Cooperativa Sociale Dolce, che si occupa di formazione, migrazione, tematiche legate al sociale. Ha coinvolto utenti e dipendenti. Ecco le immagini della mostra.

Sono due artisti che sanno tentare nuove strade ed esplorare territori inediti, Eugenio Tibaldi e Giuseppe Stampone, legati da una profonda stima e da percorsi che spesso si intrecciano in collaborazioni e nuovi progetti. Qui, per Inclusio. L’inclusione attraverso l’arte e la cooperazione, che inaugura il 2 febbraio 2018, Stampone veste l’abito inconsueto del curatore. Ma non si tratta di un gesto intellettuale, come tanti che abbiamo visto negli ultimi anni, con artisti alle redini di mostre e biennali, ma di un “atto politico”, in coerenza con quella che è la cifra della sua ricerca.

UN PERCORSO DI COOPERAZIONE

“Giuseppe”, spiega Tibaldi, “è un grande attivatore di situazioni. Ha inoltre il grande dono di trasmettere l’importanza di alcune cose a persone che non fanno parte del mondo dell’arte”. Il lavoro che i due hanno svolto insieme è stato di dialogo e di mediazione ed ha avuto tre mesi di confronto con i dipendenti, i quadri e gli utenti della Cooperativa Sociale Dolce. Si tratta di un’azienda con più di 3mila dipendenti – tra le più antiche cooperative dell’Emilia Romagna – che si occupa di formazione, migrazione, tematiche legate al sociale. Tra le prime novità per il lavoro di Tibaldi (qui accompagnato da un testo del curatore Simone Ciglia e uno dello storico della filosofia Giuseppe D’Anna) c’è la scelta di non utilizzare immagini autoprodotte, quanto scatti forniti dalla cooperativa e dai collaboratori interni e esterni. I primi hanno inviato foto che riguardano gli uffici, i secondi dettagli del loro posto di lavoro che non amano, i terzi immagini che documentano i difetti della propria casa. Ciò che si compone – e questo invece è molto “tibaldiano” – è una nuova architettura, dove tutti questi disordini compongono paesaggi che non esistono, mettendo ordine nelle cose. Completa il tutto l’intervento degli utenti, che offrono all’artista una lampada, questa volta vera, per dare luce al disagio.

PERCHÉ TIBALDI

Questo”, spiega Stampone, “è un progetto che mette l’etica al centro. Tibaldi è tra i pochi artisti che riesce a formalizzare un approccio etico all’arte con fare architettonico e strutturale. Più la formalizzazione è forte e più lo spettatore riesce a trasfigurarsi e a connettersi. Molti che lavorano su questi temi tendono a rimanere sulla superficie della dittatura dello spettatore. Io penso che questa dittatura debba terminare e che lo spettatore debba fare esperienze in questi meta-progetti”. Tra questi, in mostra, negli spazi della Cooperativa dedicati all’archivio, ci sono i “ritratti inclusivi” che intrecciano fino a comporre volti quasi picassiani, a volte invece riusciti ed armonici, i selfie di dipendenti e utenti che mostrano “la parte migliore di sé, come gli altri vogliono che tu li veda”, come commenta Tibaldi. Queste immagini sono anche diventate parte del calendario della Cooperativa, inviato a stakeholder e dipendenti. L’inclusione diventa dunque fusione di corpi ed espressioni di tutte le razze, di tutte le etnie, ma diventa anche un tavolo per la sala riunioni, composto da vari tavoli pescati nelle case bolognesi, banchi di scuola, madie, piani antichi o moderni, superfici in formica, belli da vedere e da toccare, ma che devono ricordare a chi si siede per lavorare “che sta prendendo decisioni per tante persone”.

UN NUOVO PREMIO

C’è infine il Pilastro, oggetto monumentale e completamente inusuale nella ricerca dell’artista di Alba, anche se attinente nei contenuti. “Rispecchia il mio interesse per le periferie. Pilastro è un quartiere di Bologna, collegato alle vicende della banda della Uno Bianca. Lì opera l’Associazione Pilastrino che recupera ragazzi in difficoltà con un centro di aggregazione, gestita anch’essa da Dolce. Ho chiesto ai ragazzi, in età scolare, di portarmi un oggetto da casa. Mi hanno regalato lampade, orsacchiotti, quadri, cavi. Ho ripreso dunque la struttura di base dell’edilizia popolare, un pilastro 30x30x270. Ho costruito l’anima di ferro e dentro vi ho colato oggetti e resina. È diventato una sorta di carotaggio, una testimonianza del presente, ma anche una riflessione su come è stata pensata fino ad ora l’edilizia popolare, senza stratificazione sociale”. Giuseppe Stampone, che è inoltre il direttore artistico del progetto di inclusione con l’arte e che ha lanciato nel 2017 il programma con una propria mostra, annuncia una grande novità. “L’anno prossimo il tutto evolverà in un premio. Chiameremo 15 artisti che lavorano su arte e cooperazione e gli chiederemo un progetto. Le proposte saranno poi valutate dalla commissione scientifica che stiamo formando. L’artista sarà poi invitato a realizzare il percorso che io e Eugenio abbiamo compiuto nel 2017 e nel 2018”.

– Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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