Inpratica. Noterelle sulla cultura (III)

“L’Italia è, quanto alle opinioni, a livello cogli altri popoli, eccetto una maggior confusione nelle idee, ed una minor diffusione di cognizioni nelle classi popolari”. Questo scriveva nel 1824 Giacomo Leopardi. E ora qualcosa è cambiato? Sì, nel senso che la catastrofe è avvenuta. E bisogna raccontarla.

Entertainment culturale ed educazione sembrano definitivamente oggi, soprattutto in Italia, pensati e realizzati per bambini: per bambini adulti, o adulti bambini. E la cosa più agghiacciante di tutto ciò è che questi dispositivi mostruosi, costosissimi e inutili vengono illustrati e ostentati da quegli stessi membri di comunità che sono stati depredati in un passato recente della propria identità, personale e collettiva (questa robaccia preconfezionata, questa paccottiglia piena tra l’altro di falsificazioni storiche, funziona forse un po’ come i cocci di bottiglia per gli Indiani d’America).
Ora per l’uso e il dominio degli stranieri, […] l’Italia è, quanto alle opinioni, a livello cogli altri popoli, eccetto una maggior confusione nelle idee, ed una minor diffusione di cognizioni nelle classi popolari. Queste opinioni però operano sullo stato e sulla vita degl’italiani in maniera diversa che presso gli altri, per la diversità somma delle sue circostanze, e quindi ne risulta che con opinioni appresso a poco, e massime in buona parte della nazione, conformi, essa è di costumi notabilmente diversi dagli altri popoli civili” (Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, 1824).
Quello di questi sessantenni è un paternalismo senza padri. Che cosa vuol dire questa assurdità? Che ci trattano come se fossimo bambini o adolescenti, come se fossimo irresponsabili e avessimo bisogno della loro guida: solo che essi sono del tutto incapaci non solo di guidare, ma anche di immaginare una guida. L’unica direzione che concepiscono, e che possono concepire, è quella di farci agire secondo il loro interesse. Incapaci di pensare, avendo distrutto un intero Paese abbastanza florido, continuano incredibilmente a pretendere che ci conformiamo a quelle quattro miserabili scemenze che credono di aver imparato quando avevano vent’anni. Concetti ammuffiti, inservibili, abortiti. Eppure c’è un posto che questi concetti hanno devastato e adattato alla propria (brutta) immagine, imponendovi regole che sarebbero disfunzionali e inaccettabili ovunque: l’Italia. Il “Belpaese” è stato riconfigurato e sfigurato a loro somiglianza.

Monica Vitti e Michelangelo Antonioni davanti a un'opera di Alberto Giacometti

Monica Vitti e Michelangelo Antonioni davanti a un’opera di Alberto Giacometti

Dal 2006 gli unici redditi relativi (cioè rispetto alla media italiana) a crescere sono quelli di chi ha più di 55 anni. Quelli degli over 65, per esempio, otto anni fa erano poco sotto la media mentre oggi la superano del 15%. La situazione invece peggiora per tutti gli altri e giù fino ai 30enni, il cui reddito relativo ha preso il colpo più pesante rispetto a vent’anni fa. La disuguaglianza fra giovani e anziani diventa ancora più evidente se guardiamo alla ricchezza. Da un lato questo non deve sorprendere troppo: lavorando per dieci, venti o trent’anni in più si ha tempo per mettere da parte il proprio denaro – magari comprare una casa che da sola costituisce buona parte della ricchezza degli italiani. Ma quand’è che troppo diventa troppo? Difficile dirlo a priori, eppure impressiona il calo nella ricchezza relativa dei giovani: dal 1991 è diminuita del 76% mentre quella degli over 65 è aumentata di oltre il 50%. Anche i quarantenni se la passano tutt’altro che bene, con una perdita del 44%. Certo, dirà qualcuno, reddito e ricchezza degli anziani in qualche modo tornano indietro ai più giovani. È vero. Ecco allora un’intera generazione fondata sulla carità e la paghetta del babbo e del nonno: chiamateli pure bamboccioni” (Davide Mancino, Povertà, la mappa della disperazione in Italia. I giovani in vent’anni hanno perso quasi tutto, “L’Espresso”, 25 agosto 2014).

Descrivere questa catastrofe.
Narrare questa catastrofe.
Vivere questa catastrofe.
Abitare questa catastrofe.
Incarnare questa catastrofe.
Essere questa catastrofe.

(Solo così, davvero, tutto ciò che è stato pensato e immaginato e costruito nei decenni e nel secolo che ci ha preceduto giustificherà questo momento storico e culturale, e assumerà per noi un senso. Senza nostalgia, senza rimpianto, senza rimorso. Esplodere. Implodere. Isolamento. Concentrazione.)

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi

Ora il passeggio, gli spettacoli e le Chiese sono le principali occasioni di società che hanno gl’italiani, e in essi consiste, si può dir, tutta la loro società (parlando indipendentemente da quella che spetta ai bisogni di prima necessità), perché gl’italiani non amano la vita domestica, né gustano la conversazione o certo non l’hanno. Essi dunque passeggiano, vanno agli spettacoli e divertimenti, alla messa e alla predica, alle feste sacre e profane. Ecco tutta la vita e le occupazioni di tutte le classi non bisognose in Italia. Conseguenza necessaria di questo è che gl’italiani non temono e non curano per conto alcuno di essere o parer diversi l’uno dall’altro, e ciascuno dal pubblico, in nessuna cosa e in nessun senso” (Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, cit.).

Christian Caliandro

 

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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