Tre donne svelano i misteri di Otello

Una regista, una maestro concertatore (donna anche lei) e una scenografa/costumista. Un trio in grado di rivoluzionare e attualizzare “Otello”. Con buona pace di quei critici italiani che gridano allo scandalo per aver osato toccare Verdi. Da Bucarest, al Festival Enescu, l’inviato Giuseppe Pennisi.

Cipro è un isolotto (pochi scogli, una piattaforma di ferro, una torre di guardia, un tronco d’albero stilizzato, un recinto) in un Mediterraneo dove tutto è scuro: il mare, il cielo. Vi è una borghesia locale, a cui appartengono Cassio, Emilia, Rodrigo e soprattutto Jago, ma gran parte delle popolazione è composta da migranti; altri ne sbarcano sui gommoni. In effetti, il Palazzo del Governatore della Repubblica Serenissima sembra un CIE dei giorni nostri. Otello e Desdemona sono “diversi” dagli altri perché vengono dalla capitale e hanno esperienze di vita diverse da quelle di chi è del o sbarca sull’isola. Desdemona non ne soffre: con Emilia si dedica a portare acqua minerale e cibo ai nuovi arrivati e a giocare con i bambini, nonché a calmare le tensioni nel campo (il balletto nel primo atto è un’ubriacatura in cui guardie e migranti riempiono i loro stomachi di vino e tentano di molestare le donne).
In questo ambiente, così lontano dalle gerarchie militari in cui è sempre vissuto, vengono alla luce tutte le debolezze di Otello; l’insularità del luogo ne accentua la solitudine e, quindi, la nevrosi. Non riesce a gestire il campo (e per questo nel terzo atto è rimosso dall’incarico). Gestisce ancora peggio il proprio privato, quando Jago comprende di avere tra le mani un’arma mortale che può diventare assassina e ripagarlo delle proprie frustrazioni di militare di carriera fallito.

Otello - Festival Enescu, Bucarest 2013

Otello – Festival Enescu, Bucarest 2013

Questo è l’Otello di Verdi, Boito e Shakespeare nella rilettura fornita il 6 settembre al Teatro Nazionale dell’Opera di Bucarest nel quadro del Festival Enescu 2013 (circa 200 appuntamenti di livello internazionale in un mese). È il frutto del lavoro di un anno di tre donne: Vera Nemirova (regista 40enne bulgara nota per la sua Lulu di cinque anni fa a Salisburgo e per come, venendo dal teatro sperimentale, ha ammodernato la drammaturgia di molti teatri tedeschi, specialmente quello di Francoforte), Kery-Lynn Wilson (maestro concertatore 45enne che in Italia “sfondò” una dozzina di anni fa, quando dovette sostituire Sinopoli in un Lohengrin a Firenze) e Viorica Petrovici (scenografa e costumista stabile del Teatro, ma di provenienza dalla scultura astratta).
È un Otello che ha fatto arricciare il naso ad alcuni critici musicali italiani in sala, ma che ha entusiasmato una platea dove molti giovani erano presenti in sala. È un Otello tenerissimo (fa l’amore con Desdemona in un canotto dopo il duetto del primo atto) ma violento (tenta di stuprarla dopo quello del terzo, per poi piangere come un vitello). È un Otello il cui contesto sociale (aristocrazia in smoking e militari in alta uniforme, immigrati vecchi e nuovi vestiti come straccioni) è chiarissimo e accentua una tragedia privata in cui nell’ultima scena Jago trafigge Emilia e appare nel palco di proscenio come unico, diabolico vincitore.
Sotto il profilo musicale, senza dubbio la compagnia stabile (pur sfoggiando un ottimo coro, il cui maestro ha superato gli 85 anni, un’orchestra di livello e un buon livello medio di cantanti) non può gareggiare con Salisburgo e con La Scala. Ma ascoltare che si travisa Verdi vuol dire avere sia una conoscenza epidermica del lavoro sia affidare il teatro in musica italiano ai musei delle arti e tradizioni popolari.

Otello - Festival Enescu, Bucarest 2013

Otello – Festival Enescu, Bucarest 2013

Ragioniamo. Alla “trilogia popolare” del Verdi che ha appena raggiunto la maturità (Rigoletto, Trovatore e Traviata) e in cui codifica il melodramma del XIX secolo occorre giustapporre il dramma in musica della “trilogia della perfezione” (Aida, Otello e Falstaff) del Verdi tra i sessanta e gli ottant’anni, ma proteso verso il XX secolo. Le tre versioni di Don Carlo sono tappe importanti verso il dramma musica dell’ultima fase verdiana. Aida, Otello e Falstaff sono tre opere senza una nota in più o una in meno (fatta eccezione per alcuni ballabili aggiunti per l’edizione parigina della seconda): il melodramma e le sue convenzioni sono ormai superate e, metabolizzata in vario grado la lezione wagneriana, siano già nel “musikdrama” del XX secolo, in cui parola e musica sono fuse in quadri ininterrotti, il declamato si trasforma in ariosi e concertati, l’orchestra e il canto sono in stretto equilibrio, i “pezzi chiusi” non esistono più e vengono incorporate forme antiche (fughe, anche ciaccone) in strutture musicali modernissime.
La produzione di Otello richiede uno sforzo enorme. In primo luogo, per decenni le interpretazioni sono state maldestramente tinte di verismo, mentre siamo alle prese con un lirismo stilizzato e innovativo che anticipa il grande teatro del Novecento (ad esempio, Wozzeck e Peter Grimes, altre due tragedie della diversità e della debolezza, nonché della solitudine e della paranoia che ingenerano). In secondo luogo, la difficoltà oggettiva di trovare un protagonista in grado d’essere fragilissimo, dietro l’apparenza di forza e solidità, e di cantare come un heldentenor nell’Esultate!, di raggiungere registri baritonali nel secondo e terzo atto, di emettere legati morbidissimi e tenerissimi nel duetto d’amore e di scivolare in un diluendo dolcissimo nella scena finale. In terzo luogo, la necessità di una straordinaria perizia orchestrale, in quanto Verdì regalò a Otello la scrittura più ricca di tutta la sua musica.

Otello - Festival Enescu, Bucarest 2013

Otello – Festival Enescu, Bucarest 2013

Le tre autrici non hanno “tradito” Verdi: lo hanno tirato fuori dalla teca e reso attuale. E con uno spettacolo a bassissimo costo di allestimenti. I soprintendenti dei teatri italiani, sempre pronti a piangere miseria, dovrebbero fare a gara per portarlo nel nostro Paese.

Giuseppe Pennisi

http://festivalenescu.ro/

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Giuseppe Pennisi

Giuseppe Pennisi

Ho cumulato 18 anni di età pensionabile con la Banca Mondiale e 45 con la pubblica amministrazione italiana (dove è stato direttore generale in due ministeri). Quindi, lo hanno sbattuto a riposo forzato. Ha insegnato dieci anni alla Johns Hopkins…

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