Intervista ad Antonio Marras, lo stilista che resiste al mondo che cambia

Da Alghero a Roma e poi a Milano. Antonio Marras si racconta, nel solco della mostra che ha curato per il Museo nazionale archeologico ed etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari

La moda pensa molto ai trend e alle vendite, molto meno ai contenuti. Ma qualcuno che prenda sul serio l’arte del vestire, raccontando storie e intrecciando oggetti apparentemente distanti, esiste ancora. Antonio Marras, nato nel 1961 ad Alghero, che lui ricorda come “un’isola nell’isola”, debutta come stilista a trent’anni nel 1991 a Roma e l’anno successivo conquista anche Parigi. Da lì in poi il suo percorso è caratterizzato da alti e bassi, fino alla nascita del suo brand e al ruolo di direttore artistico da Kenzo, abbandonato poi nel 2011. Non solo abiti, ma anche teatro e arte, come emerso dalla mostra Sulle tracce di Gavino Clemente, andata in scena al Museo nazionale archeologico ed etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Il risultato? L’esaltazione di reperti archeologici e testimonianze di arte moderna e contemporanea, in un dialogo fra origini antiche, tradizione e attualità.
Marras è un eclettico che non teme il cambiamento, rimanendo legato al proprio approccio e costruendosi un mondo su misura: il concept store NonostanteMarras, nel cuore di Milano. È lì che ci siamo incontrati, tra specchi, vestiti, pezzi d’arredo e creatività. Il luogo creato da Marras consiste in una personale trasposizione del suo ideale di casa, dal giardino esterno illuminato sotto la pioggia alla cucina in perfetto stile italiano e all’area occupata da oggetti di vario tipo, assumendo le sembianze di un salone adatto ad accogliere gli ospiti.

Antonio Marras, foto Matteo Galvanone, produzione e photo editing Alessia Caliendo

Antonio Marras, foto Matteo Galvanone, produzione e photo editing Alessia Caliendo

INTERVISTA AD ANTONIO MARRAS

La collezione SS23 e Sulle tracce di Gavino Clemente, la mostra da te curata a Sassari, hanno qualcosa in comune, ovvero la capacità di narrare e di far tornare a vivere oggetti e storie di epoche diverse. Lo credi anche tu?
Io non credo a niente, però so per certo che ho bisogno di fare. Non c’è mai un progetto prestabilito, questa mostra è stata semplicemente il frutto della mia necessità di provare a connettere cose, persone e oggetti agli antipodi, che magicamente hanno trovato un’armonia e una collocazione in una sorta di mosaico. Non so cosa realmente succeda, però ho sempre bisogno di cambiare e di fare cose belle.

Un approccio casuale?
Lo definirei da incosciente o da ignorante che non ha paura. Il senso della paura non fa parte di me, sebbene io sia vergognoso. Sono animato dall’incoscienza e dalla volontà di imparare dal prossimo, muovendomi senza conoscere i processi che condurranno a un presunto risultato. Voglio fare cose che non conosco, senza avere nessun elemento che mi possa preparare al confronto con queste.

Aperto a un qualsiasi stimolo, dunque.
Sì, decisamente. Sono molto curioso, soprattutto di cose stravaganti. Il mio cervello scarta tutto ciò che mi annoia, e mi annoio molto facilmente. Ma basta un piccolo dettaglio per farmi ricostruire una scena o una situazione, specialmente quando non voglio. Come se conservassi ricordi, persone e oggetti in alcuni cassetti, che svuoto regolarmente quando lavoro con il “multiplo”.

Antonio Marras, foto Matteo Galvanone, produzione e photo editing Alessia Caliendo

Antonio Marras, foto Matteo Galvanone, produzione e photo editing Alessia Caliendo

IL PROCESSO CREATIVO DI ANTONIO MARRAS

Credi che l’Antonio Marras di ieri, quello di Kenzo per intenderci, e l’Antonio Marras di oggi siano uguali oppure no?
Non credo, più che altro è cambiato il mondo. Io faccio un lavoro bellissimo con lo stesso entusiasmo del primo giorno. Ho riempito uno spazio, che non avevo, per portare avanti il mio mondo parallelo, a sua volta suddiviso in due emisferi: moda da un lato e installazioni e teatro dall’altro. Mantengo due studi ben distinti, uno in cui lavoro sui tessuti e un altro in cui mi rifugio alla fine della giornata tra cose che compro, sistemo e raccolgo, lavorandoci su naturalmente. Il processo è sempre quello, ma in continua evoluzione in base alle singole creazioni. Direi anche articolato e perverso, specialmente per i pezzi unici creati nei nostri studi.

Anche Leonardo da Vinci lo faceva, non si stancava mai di modificare i suoi dipinti.
Paragone azzardato ma sì, voglio sempre cambiare, e ancora di più quando ci si avvicina alle presentazioni delle collezioni e si crede di poter fare di meglio. Sono insaziabile e non mi stanco mai mentre faccio ciò che più mi piace. E non è cambiato nulla dalla prima volta, infatti mi chiedo chi o cosa mi faccia fare ancora questo lavoro.

E ti sei mai chiesto come venisse percepito il tuo approccio all’arte del vestire? Specialmente oggi che la moda è astratta, invece la tua è poetica, legata al passato e non al futuro prossimo.
No, ne sono totalmente indifferente. Si arriva a un certo punto della propria esistenza in cui qualcuno è fondamentale e qualcun altro no. Ho avuto la fortuna di fare ciò che volevo veramente, continuandolo a fare tutt’oggi, e sono riuscito a raggiungere proprio questa consapevolezza con il passare del tempo.

Antonio Marras, foto Matteo Galvanone, produzione e photo editing Alessia Caliendo

Antonio Marras, foto Matteo Galvanone, produzione e photo editing Alessia Caliendo

LA MOSTRA CURATA DA ANTONIO MARRAS A SASSARI

Ritornando alla mostra a Sassari, perché è stata importante?
Innanzitutto, perché la mostra è sinonimo di rinascita. Questo padiglione era inagibile da circa dieci anni e mi è stato chiesto di ripristinarlo, perciò ho presentato un progetto tutto mio. Ho preso riferimenti e situazioni assurde e li ho proposti davanti a un team di esperti senza il timore che fossero rigettati. La mia unica paura è quella delle malattie che ti rendono dipendente dal prossimo, sarà per la mia necessità di essere libero di creare ciò che voglio, privo di norme sociali o di limiti di qualsiasi tipo.

E poi cosa è successo?
Te lo mostro direttamente dal catalogo a cui hanno preso parte Bianca Pitzorno e altri sette scrittori. Ho impostato la mostra come se fosse una scatola nera, mettendo al suo interno composizioni di pezzi provenienti da abiti differenti e caratteristici dei tanti paesi della Sardegna. Per alcuni è stato scandaloso, ma io non ci vedo nulla di così scabroso. Anzi, abbiamo ricreato situazioni di pura fantasia che seguono un percorso composto da tutto ciò che avevano nel loro repertorio. E non è cronologico perché credo che ciascuno di noi voglia e possa vedere ciò che vuole. Alla base di questo progetto ci sono naturalmente tantissimi schizzi e bozzetti, come per le mie collezioni.

So che sei un amante della poesia. Quali poesie ti hanno ispirato o colpito recentemente?
Che bella domanda. Sicuramente una di Erri De Luca che ho pubblicato recentemente sul mio profilo Instagram, in cui si parla di nostalgia come presenza di “persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti”. È qualcosa che mi sta molto a cuore perché ho sempre pensato di voler ritornare ad Alghero, dove ho deciso di costruire il mio ufficio stile, ma non è stato così perché a Milano ho trovato i miei spazi. E poi una di Cesare Pavese, in cui si esalta il potere della poesia. Essendo un ragazzo dislessico e discalculico, ho trovato la mia salvezza nelle rime e in quei fogli vuoti in cui c’erano solo poche righe.

Giulio Solfrizzi

https://antoniomarras.com/it

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Giulio Solfrizzi

Giulio Solfrizzi

Barese trapiantato a Milano, da sempre ammaliato dall’arte del vestire e del sapersi vestire. Successivamente appassionato di arte a tutto tondo, perseguendo il motto “l’arte per l’arte”. Studente, giornalista di moda e costume, ma anche esperto di comunicazione in crescita.

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