Una mano ne rincorre un’altra su una superficie tondeggiante. Altrove un volto si specchia in un altro, ma nel mentre le fisionomie hanno subito una netta metamorfosi. Poi un segno nero invade aree concave, quelli bianchi fanno vibrare vasellame e portacandele.
La costante è il segno, che accarezza e poi scava. Talvolta penetra con veemenza la materia, mentre due mani ‒ anzi, quattro ‒ l’hanno già modificata, plasmando forme contorte o lineari, esaltando eroticamente la struttura che diventa scultura, anche quando è un vaso o un piatto. Sono le ceramiche – forse sono oltre duecento, tra quelle grandi e le più piccole – che Kiasmo (ovvero il designer Vincenzo D’Alba) e Antonio Marras hanno prodotto negli ultimi mesi (si racconta di sedute di lavoro estenuanti e Marras scherzando ci dice che è stato letteralmente “sequestrato” nel laboratorio) nella bottega dei Fratelli Colì di Cutrofiano.
Vederle tutte insieme nello spazio NonostanteMarras è un colpo d’occhio. Ci sono le forme plastiche alte oltre due metri (una scacchiera di visi, tracce, bianchi e neri) e i piccoli oggetti. C’è il segno voluttuoso del pennello e, soprattutto, c’è una grande intesa che unisce progettualità e creatività differenti per un progetto – voluto dal direttore creativo di Kiasmo, Francesco Maggiore, discreto e brillante.
‒ Lorenzo Madaro