Il design e la fantasia di Alessandro Mendini a Napoli

Prorogata fino al 5 aprile, la mostra che il MADRE di Napoli dedica ad Alessandro Mendini ripercorre la storia di un designer amante della sperimentazione e della commistione fra discipline.

La mostra Alessandro Mendini: piccole fantasie quotidiane gode di un doppio primato: è la prima retrospettiva che un museo pubblico italiano dedica al poliedrico artista e progettista milanese dopo la sua scomparsa, avvenuta nel febbraio dello scorso anno, ed è la prima mostra di design allestita al Madre di Napoli.
Il percorso espositivo, curato da Gianluca Riccio e Arianna Rosica e prodotto dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee della Regione Campania, condensa cinquant’anni di attività creativa ai massimi livelli (dal 1970, anno in cui Alessandro Mendini assume la direzione della rivista Casabella), scegliendo come chiave di lettura principale il rapporto tra la poetica mendiniana e la cultura artistica d’avanguardia, con l’obiettivo di restituire la vivacità e la curiosità intellettuale di un uomo che in un celebre disegno si era rappresentato come un drago: una creatura composita con il corpo da architetto, la testa da designer, la coda da poeta e così via. Al centro non ci sono, quindi, le icone, i prodotti industriali frutto della collaborazione con le aziende che hanno fatto la storia del made in Italy, ma piuttosto il grande lavoro di ricerca che li precede e che incrocia in più punti il percorso dell’arte contemporanea, dialogando con l’Arte Povera e il Futurismo, raccogliendo gli echi della cultura divisionista e metafisica oppure instaurando un confronto critico con l’estetica della Pop Art.

PAROLA AI CURATORI RICCIO E ROSICA

Costruire questo progetto a Napoli, per i curatori, si è imposto da subito come un’evidenza. “L’idea della mostra è nata qui in Campania, due o tre anni fa. Gianluca e io stavamo lavorando con Alessandro a due progetti per il Festival del Paesaggio di Capri”, racconta Arianna Rosica. “Lui ha accettato subito, purtroppo però non c’è stato il tempo di sviluppare il tutto fino in fondo. Dopo la sua scomparsa abbiamo lavorato a stretto contatto con l’Atelier Mendini e con le sue figlie, Fulvia ed Elisa, che ci hanno permesso di accedere all’archivio”.
Tra il progettista e la città c’è un legame importante: è qui che Mendini ha lavorato di più e che si è espresso in maniera più piena anche dal punto di vista metodologico. “Con le ‘Stazioni dell’Arte’, per esempio, ha messo in pratica la sua idea di progettazione come dimensione comunitaria”, spiega Gianluca Riccio. “Non un luogo di affermazione egocentrica, quindi, ma un luogo di apertura al contributo di altri architetti e artisti, in un’idea utopica di collaborazione tra le arti. Nel suo lavoro c’è, poi, una vena che potremmo definire mediterranea, una solarità che si esprime nell’uso del colore e della luce”.

Alessandro Mendini. Piccole fantasie quotidiane, exhibition view at Madre, Napoli 2020. Photo Amedeo Benestante

Alessandro Mendini. Piccole fantasie quotidiane, exhibition view at Madre, Napoli 2020. Photo Amedeo Benestante

LE SEZIONI DELLA MOSTRA A NAPOLI

Il racconto si sviluppa attraverso una sequenza di stanze tematiche che corrispondono ad altrettanti momenti della poetica mendiniana: dal Radical, la sezione più nutrita, nel quale ritroviamo l’esperienza a forte carica utopica e anarchica di Global Tools, con la ricostruzione di un’opera per sua natura effimera come la Sedia di paglia del 1974, e gli Oggetti ad uso spirituale realizzati intorno alla metà degli Anni Settanta, alla Città filosofica, con le installazioni urbane degli Anni Novanta e Zero, passando per Alchimia Futurismo, Mobile Infinito, Proust (con l’iconica poltrona e con tutte le variazioni sul tema successive, fino ai Tre Primitivi del 2018) e Stilemi. “Abbiamo scelto di usare un doppio binario: c’è una linearità temporale che però si interseca quasi da subito con un piano temporalmente sfalsato”, chiarisce ancora Riccio. “Questo riflette quello che era un metodo di Mendini. Progetti realizzati negli Anni Settanta e Ottanta vengono rielaborati e ripresi nel tempo, magari a distanza di anni. C’è una continua idea di ripensamento, un ritornare sulla sua stessa storia per riviverla, magari ribaltando funzioni e obiettivi”.

MENDINI E NAPOLI

Mediterranea, caotica, generosamente eclettica, Napoli è la città italiana in cui la mano del milanesissimo Alessandro Mendini è più evidente. Qui, più che altrove, la sua idea di “museo all’aperto” urbano, in cui anche le strade, i mercati e le piazze sono considerati opere d’arte, si concretizza in una serie di interventi che non si riducono a un semplice maquillage estetico ma, al contrario, incidono in profondità sullo spazio pubblico e sulla sua fruizione da parte degli abitanti. Il dialogo tra il progettista e la città ‒ sempre forte e mutualmente proficuo, seppure talvolta turbato da improvvise dissonanze ‒ comincia intorno alla metà degli Anni Novanta.

Alessandro Mendini. Piccole fantasie quotidiane, exhibition view at Madre, Napoli 2020. Photo Amedeo Benestante

Alessandro Mendini. Piccole fantasie quotidiane, exhibition view at Madre, Napoli 2020. Photo Amedeo Benestante

MOSTRE E GIARDINI

Nel 1996 le Scuderie di Palazzo Reale ospitano una sua mostra, Artinmosaico, con quindici piccole costruzioni rivestite di tessere di mosaico Bisazza a rappresentare altrettante forme archetipiche dell’architettura: strada, ponte, muro, chiesa… Tra il 1997 e il 1999 Mendini lavora al restyling della Villa Comunale, uno dei principali giardini storici di Napoli, con l’aggiunta di una cancellata “luminosa” che ingloba i lampioni. Proprio questi ultimi, alti, snelli e decisamente contemporanei, susciteranno una serie di polemiche dando il via a una querelle, anche politica, tra sostenitori della sperimentazione e istanze conservatrici.

LE STAZIONI DELL’ARTE

Nello stesso periodo parte il progetto delle Stazioni dell’Arte, che vede Mendini nel ruolo di coordinatore e si basa su tre principi: le fermate della metropolitana come occasione di riqualificazione urbana ed estetica di interi quartieri, l’eclettismo dei progettisti chiamati a ridisegnarle (si va da Gae Aulenti a Karim Rashid, da Dominique Perrault ad Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura), l’intima collaborazione delle opere d’arte di artisti internazionali con le architetture che le ospitano. Due stazioni, Salvator Rosa e Materdei, portano la firma dell’Atelier Mendini. La prima sembra suggerire il tema tutto partenopeo del presepe, con il corpo principale che, con le sue arcate, riprende l’andamento di un ponte romano e quasi lo ingloba, la guglia d’acciaio dall’aspetto fiabesco e i palazzi circostanti, arrampicati sulla collina e nobilitati dall’intervento di artisti come Ernesto Tatafiore e Mimmo Paladino. La seconda offre suggestioni acquatiche con i suoi mosaici nei toni del verde e dell’azzurro, un’impressione rafforzata dalla presenza, all’esterno, della grande carpa giapponese protagonista della scultura di Luigi Serafini.

‒ Giulia Marani

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Articolo pubblicato su Grandi Mostre #23

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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