Guida a Le Havre: la città rinata dai bombardamenti grazie al cemento

Rasa al suolo dai bombardamenti alleati del 1944, Le Havre si è rialzata grazie a un intervento architettonico senza precedenti. Interamente incentrato sul cemento armato

Le Havre è un compendio di architettura della seconda metà del XX Secolo. Le ragioni sono semplici e al contempo tragiche: la città – uno dei principali porti francesi e postazione chiave per controllare l’Oceano Atlantico – venne rasa al suolo dal bombardamento delle forze alleate del 5-6 settembre 1944. La città, nata intorno al porto creato nel 1517 per volontà di Francesco I e arricchitasi grazie al commercio coloniale (caffè, cotone, legname…), poi base transatlantica per i viaggiatori che cercavano fortuna nel Nuovo Mondo, deve rifondarsi. Sono poche le testimonianze architettoniche del periodo fra la fine del XVIII e la prima metà del XX secolo sopravvissute a quell’evento catastrofico. Fra queste c’è la Maison de l’Armateur, posta di fronte al Bassin de la Manche: un capolavoro neoclassico del 1790, costruito dall’architetto Paul-Michel Thibault e poi divenuta la casa di ricchi commercianti locali, i Foäche. Trasformato in museo, il palazzo illustra la vita privata di una famiglia benestante di fine Settecento: salone di lettura, biblioteca, cabinet de curiosités, sala dei modellini delle navi… Assieme al Fort Chabrol, un grande immobile datato 1900 situato in Boulevard de Strasbourg, alla Villa Maritime (boulevard Albert 1er), all’Immeuble Braque (in stile Art Nouveau, appartenuto al padre del pittore Georges Braque) è uno dei pochi edifici risparmiati dal bombardamento che rimandano ad una Le Havre scomparsa nel volgere di poche ore.

Le Havre. Uno dei blocchi abitativi di Avenue Foch © Photo Dario Bragaglia
Le Havre. Uno dei blocchi abitativi di Avenue Foch © Photo Dario Bragaglia

La ricostruzione di Le Havre nel dopoguerra

La città rinata dalle sue ceneri nel secondo Dopoguerra può essere spiazzante anche per chi è consapevole che qui troverà un manuale a cielo aperto di urbanistica e architettura contemporanea. Sensazione ancor più marcata, se si arriva dal retroterra normanno fatto di tradizioni conservate, di maison à colombages, chiese gotiche, abbazie romaniche. Le Havre è il regno del cemento, il risultato dell’esigenza di dare velocemente soluzioni abitative, al contempo salubri ed economiche, a una popolazione di migliaia di abitanti rimasti senza casa. Le Havre è, nello specifico, la concretizzazione delle idee teoriche di Auguste Perret, il maestro del béton armé, il cemento armato che con lui assumerà una dignità autonoma. La ricostruzione di Le Havre diventa una priorità nazionale e fra il 1945 e il 1964 l’Atelier Perret costituito da un centinaio di architetti coordina questo progetto che, per dimensioni (150 ettari) e durata (circa 20 anni), non ha precedenti in Francia.
Oggi si può passeggiare fra il Quartier Perret, il Front de Mer, il Quartier Saint François, la Place dell’Hôtel de Ville, l’Avenue Foch fino alla Porte Océan per scoprire questo complesso urbano del XX Secolo che nel 2005 è stato iscritto nel Patrimonio mondiale dell’Unesco.

Le Havre. L'appartamento testimone delle ricostruzione della città coordinata da Auguste Perret. Credit Le Havre etretat tourisme
Le Havre. L’appartamento testimone delle ricostruzione della città coordinata da Auguste Perret. Credit Le Havre etretat tourisme

La Maison du Patrimoine a Le Havre

Per capire lo spirito avveniristico che ha guidato la ricostruzione di Le Havre, conviene partire dalla Maison du Patrimoine e dall’appartamento testimone che riassume le idee sull’organizzazione degli spazi, sulle innovazioni tecnologiche e sull’arredo proposti agli abitanti che dovevano essere reinsediati. Fra i concetti di base, vanno ricordati la doppia esposizione degli appartamenti per sfruttare al meglio la luce naturale, cucina e bagno attrezzati, riscaldamento centralizzato ad aria. Anche l’arredamento – che si basa sui mobili disegnati da René Gabriel nel soggiorno, André Beaudoin nella camera da letto e di Marcel Gascoin nella camera dei ragazzi – è esemplificativo dell’introduzione del design industriale di qualità nella quotidianità della classe media francese. Si stava infatti entrando in quel periodo che i francesi definiscono Trente Glorieuses, ovvero gli anni che vanno indicativamente dal 1945 al 1975 e che in parte coincidono con il nostro “boom economico”, contraddistinti da un miglioramento delle condizioni medie di vita. Nell’appartamento testimone sono stati raccolti tutti quegli oggetti e apparecchi che simboleggiano la rivoluzione nella quotidianità domestica del secondo dopoguerra: frigorifero, cucina a gas, pentola a pressione, aspirapolvere, lavatrice, giradischi, macchina per scrivere.

Le Havre. Eglise Saint-Joseph © Photo Dario Bragaglia
Le Havre. Eglise Saint-Joseph © Photo Dario Bragaglia

Una panoramica sulla ricostruzione di Le Havre

A pochi passi dall’appartamento testimone, l’Hôtel de Ville e la sua piazza (243 x 192 metri, una delle più grandi d’Europa) sono il simbolo monumentale della ricostruzione della città. Il cuore della macchina amministrativa cittadina ritrova, nel 1958 per volontà di Perret, lo stesso luogo d’anteguerra. Qui si ammirano due idee chiave nel vocabolario dell’architetto franco-belga: la persistenza della classicità, con il ricorso al colonnato per i saloni di rappresentanza, e la presenza di una torre di 72 metri per sistemare gli uffici, simbolo di modernità. Le visite guidate che ci portano fino alla terrazza panoramica della torre sono l’occasione per gettare il miglior sguardo complessivo su tutta l’area interessata dal piano urbanistico di Perret. Proprio sotto di noi l’Avenue Foch conduce dalla place de l’Hôtel de Ville à la Porte de l’Océan che si apre sul porto e le spiagge (tra fine Ottocento e inizio Novecento, all’inizio del turismo balneare, la città è stata una apprezzata destinazione di vacanze e scenario privilegiato per la pittura en plein air degli Impressionisti). Nelle intenzioni del progettista, la grande avenue diventa gli Champs-Elysées di Le Havre: allea pedonale, parcheggi, controviale e grandi marciapiedi convivono su una larghezza di 80 metri (la lunghezza complessiva è di 700 metri) costeggiati da edifici di dimensione simile, ma differenti nelle scelte di colori, finestre, balconi, colonne, pannelli di riempimento. Molti isolati sono ornati di bassorilievi che evocano le Glories du Havre: artisti, scrittori, marinai, soldati, architetti, industriali, esploratori ricordano che la città ha avuto anche un passato importante.
Qui, come altrove, si comprende il motivo per cui Perret viene spesso definito il poeta del cemento armato.Il mio calcestruzzo – ebbe a dichiarare nel 1944 – è più bello della pietra, lo lavoro, lo cesello… perché è una pietra che nasce, quella naturale è una pietra che muore”. Si osservano le diverse tipologie utilizzate che acquistano un chiaro valore decorativo oltre che strutturale. Un materiale che con Auguste Perret conquista caratteri di nobiltà ed entra definitivamente nella storia dell’architettura.
L’edificio da non mancare è l’Eglise Saint-Joseph. Impossibile non identificarla: la sua torre-lanterna ottogonale è alta 107 metri e, col buio, viene valorizzata da una suggestiva illuminazione. I lavori iniziano nel 1951 e vengono terminati nel 1957, dopo la morte di Perret, dagli architetti del suo atelier. Impressionante all’esterno, la chiesa lo è ancor di più all’interno. Lo slancio verticale del cemento armato si alterna con 12.768 vetri colorati realizzati da Marguerite Huré. I colori variano a seconda dell’orientamento: tonalità fredde a est e a nord, colori dorati e caldi a ovest e a sud. Scuri nella parte bassa della chiesa, i vetri si schiariscono nella parte alta della torre, per diventare traslucidi al culmine a simboleggiare la spiritualità del luogo.

Le Havre. Il Volcan, complesso culturale progettato da Oscar Niemeyer © Photo Dario Bragaglia
Le Havre. Il Volcan, complesso culturale progettato da Oscar Niemeyer © Photo Dario Bragaglia

Le Havre: dagli Anni Sessanta a ogg

L’interesse architettonico di Le Havre non si esaurisce con la ricostruzione del dopoguerra. Nei decenni successivi, altri edifici e interventi urbanistici sono stati commissionati ad architetti di grido e hanno contribuito ad alleggerire quell’immagine di uniformità regolatrice nata dalla stringente programmazione degli Anni Quaranta e Cinquanta.
Il primo progetto a distaccarsi dalle idee perrettiane è quello degli architetti Guy Lagneau, Raymond Audugier, Michel Weill e Jean Dimitrijevic (assistiti da Jean Prouvé come ingegnere) che realizzano nel 1961, di fronte al porto, la prima delle Maison de la Culture volute da André Malraux. Uno spazio flessibile e luminoso (restaurato nel 1996 e nel 2006 da Laurent Beaudoin) che oggi ospita il Musée d’art moderne (MuMa) intitolato proprio all’allora ministro per la cultura. Il Museo custodisce una delle più ricche collezioni di opere impressioniste. Fino al 24 settembre si possono ammirare le opere di Albert Marquet, uno dei grandi interpreti del paesaggio normanno. In mostra oltre cinquanta dipinti e disegni di collezioni pubbliche e private, per la prima volta a confronto con quelli di altri pittori con cui Marquet intrattenne relazioni: Dufy, in particolare, ma anche Matisse, Friesz, Camoin, Valtat.
Nel 1969 viene costruita la passerella (architetto Guillaume Gillet) che collega i due lati del Bassin du Commerce di fronte al cosiddetto Volcan, il complesso culturale progettato da Oscar Niemeyer e costruito fra il 1978 e il 1982. Anche qui è protagonista il cemento, ma le grandi vele sono dipinte di bianco e hanno forme curve e tondeggianti che contrastano con la razionalità squadrata degli edifici circostanti. Tutta l’opera, costituita da due volumi principali, uno emergente con più evidenza a forma di cono vulcanico, l’altro più discreto (le petit Volcan) che ospita una biblioteca, è stata sottoposta tra il 2010 e il 2015 a importanti lavori di restauro che l’hanno ulteriormente valorizzata. Nel 2006 lo studio di architettura Dottelonde realizza la Biblioteca Universitaria, mentre nel 2008 vengono realizzati i Bains des Docks, un complesso dedicato agli sport acquatici progettato da Jean Nouvel. Largamente ispirato al concetto delle terme romane ospita su una superficie complessiva di 5.500 metri quadrati una decina di bacini d’acqua, spazi ludici per l’infanzia per le famiglie e la balneoterapia, una sala fitness, e una grande piscina a cielo aperto (21×50 metri). Fra le ultime realizzazioni che hanno cambiato il volto della città, segnaliamo lo Stade Océane (2012, Groupement Vinci Construction France / Scau Architectes et KSS Architects/Iosis), l’Ecole Nationale Superieure Maritime du Havre (2015, Architectes AIA associés) e il Campus EMN et Cité Numérique (2020, Architecte Groupe 6).

Le Havre. Catene de containers. Credit Le Havre etretat tourisme
Le Havre. Vincent Ganivert, Catene de containers. Credit Le Havre etretat tourisme

L’arte contemporanea a Le Havre

Dal 2017, anno in cui sono stati festeggiati i 500 anni della città, Le Havre invita artisti internazionali a progettare opere in formato XXL che dialogano con gli scenari urbani. L’iniziativa si chiama Un Eté au Havre e la direzione artistica è stata affidata a Jean Blaise (già protagonista della rinascita artistica di Nantes) che solo quest’anno, per la sesta edizione (fino al 17 settembre), ha passato il testimone a Gaël Charbau. L’opera più emblematica è l’arco di container colorati installati da Vincent Ganivert sul Quai de Southampton. Di forte impatto anche UP#3, la scultura monumentale che Sabina Lang e Daniel Baumann hanno collocato sulla grande spiaggia cittadina. E ancora, Impact al Bassin du Commerce o Monsieur Goéland in place du Vieux Marché. In totale sono diciassette le opere da scoprire.

Dario Bragaglia

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Dario Bragaglia

Dario Bragaglia

Dario Bragaglia si è laureato con Gianni Rondolino in Storia e critica del cinema con una tesi sul rapporto fra Dashiell Hammett e Raymond Chandler e gli studios hollywoodiani. Dal 2000 al 2020 è stato Responsabile delle acquisizioni documentarie e…

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