Fare arte con la distruzione. Intervista ad Anselm Kiefer

Protagonista della mostra-evento al Palazzo Ducale di Venezia, Anselm Kiefer ci accompagna in un itinerario che affonda le radici nella filosofia, si immerge nella storia e individua nella distruzione uno strumento indispensabile per fare arte. Una lunga intervista “dal Barocco ai giorni nostri”

A breve distanza dall’avvio della 59esima Biennale d’Arte, Venezia è tornata sotto i riflettori globali con una mostra destinata a lasciare il segno. Fino al prossimo ottobre, la Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale fa da cornice al poderoso intervento site specific di Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945), invitato a misurarsi con un luogo simbolo della vita politica e culturale della Serenissima.
Risultato? Un’installazione di dipinti creati appositamente dall’artista tedesco, innescando un dialogo intimo ed eclatante con le opere di Bellini, Carpaccio, Veronese, Tiziano, Tintoretto esposte nell’ambiente in cui avveniva l’elezione del Doge. A fare da bussola – e da titolo – sono le parole di Andrea Emo, filosofo veneto del Novecento scoperto pochi anni fa da Kiefer, il quale ha individuato nel suo pensiero sorprendenti punti di contatto con la propria poetica. Tutto resto è parte di una storia che ci siamo fatti raccontare dall’artista.

Anselm Kiefer. Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce (Andrea Emo). Exhibition view at Palazzo Ducale, Venezia 2022 © Anselm Kiefer. Photo Georges Poncet. Courtesy Gagosian

Anselm Kiefer. Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo). Exhibition view at Palazzo Ducale, Venezia 2022 © Anselm Kiefer. Photo Georges Poncet. Courtesy Gagosian

Un incendio distrusse la Sala dello Scrutinio nel 1577 e il fuoco distrugge i libri nelle parole di Emo che danno il titolo alla sua mostra. Inoltre lei ricorre al fuoco come strumento creativo. Fuoco e luce sono complementari: quale ruolo giocano, insieme all’idea di distruzione, all’interno della sua opera?
Fin dai primi Anni Settanta ho chiamato in mio aiuto il fuoco. Creai, fra le altre, opere intitolate Painting of the Scorched Earth, Nero paints, The Burning of the District of Buchen.
Quando partecipai alla Biennale di Venezia nel 1980, il titolo della mostra era Verbrennen, Verholzen, Versenken, Versanden (Burning, Lignifying, Sinking, Silting Up). Altri lavori si riferiscono a giovani uomini in una fornace ardente o all’“ignis sacer”, che rimanda all’“ergot”, un fungo che colpisce il grano e lo rende immangiabile. Milioni di persone sono morte a causa sua nel corso dei secoli. Ci sono molte combinazioni di parole che vengono in mente, ad esempio fuoco amico, battesimo del fuoco, e ovviamente il fuoco degli alchimisti, che ha un ruolo indispensabile nella trasformazione della materia. Anche ciò che Eraclito pensa del fuoco è importante in questo contesto; solo il fuoco può tramutare la realtà in forma, in misteriosa soggettività. In questo senso, non ho mai percepito il fuoco come qualcosa di distruttivo, ma sempre come un nuovo inizio.

E per quanto riguarda le parole di Emo?
Il titolo dell’installazione – Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce – non si riferisce all’incendio del 1577, ma è una citazione dagli scritti di Andrea Emo. Dice che il nulla non è qualcosa che precede l’essere, ma che l’essere e il nulla sono inestricabilmente collegati. Tutto ciò corrisponde alla mia idea di creazione. Quando inizio a dare forma a un’immagine, so che, allo stesso tempo, è la sua negazione. Non c’è alcun capolavoro, ma piuttosto l’avvio di una trasformazione in continua evoluzione. All’inizio della mia carriera come pittore, negli Anni Sessanta, ero disperato perché dovevo ancora rendermi conto che non sarei mai riuscito a creare “l’opera d’arte in sé”. Dopo un po’ di tempo, sono riuscito a ricavare un sistema, una strategia, un metodo da questo fallimento costante. E quando, dopo più di quarant’anni, ho scoperto per caso Andrea Emo, quello è stato il fondamento filosofico del mio metodo. Ero felice e affascinato da questa meravigliosa intesa con il filosofo. Era come se avessi conosciuto Andrea Emo decenni fa. I quarant’anni intercorsi fra la scoperta del filosofo e l’inizio della mia carriera pittorica si sono ridotti a un solo istante, a un secondo logico. Perché il tempo non è qualcosa di fisso, è malleabile.

Anselm Kiefer. Photo credit Georges Poncet

Anselm Kiefer. Photo credit Georges Poncet

KIEFER, VENEZIA E LA STORIA

Nel suo lavoro ha sempre fatto i conti con la storia e ora si è trovato a misurarsi con quella di Venezia in un edificio simbolo della città. Che tipo di esperienza è stata?
È stata una grande sfida “dipingere sopra” le meravigliose opere di Tintoretto e immergermi nella storia di Venezia – una storia sfaccettata e contraddittoria che ha avuto luogo tra l’Oriente e l’Occidente, tra il Sud e il Nord. È stato un progetto fantastico, che ho accettato nonostante il rischio costante di fallire, e mi ha impegnato per due anni. Perché la storia intesa come qualcosa di fisso, garantito, non esiste (il vincitore riscrive la storia a suo favore). Per me la storia è un materiale, al pari dell’argilla che lo scultore usa nel suo lavoro.

Può descrivere l’iter che l’ha portata alla realizzazione del ciclo di opere presenti a Venezia – dall’idea iniziale alle scelte sul fronte dei materiali?
Inizialmente ho letto molto sulla storia di Venezia, addentrandomi sempre di più nelle sue ramificazioni pressoché indistinguibili, nei suoi riferimenti e nelle sue contraddizioni, che poi ho rimaneggiato e rimodellato finché non sono diventati la mia storia.

Quanto tempo ha impiegato e quante opere ha distrutto?
È difficile, se non impossibile, fornire un ordine temporale. Perché la mia storia e quella di Venezia in pratica coincidono. Io non ho iniziato nel 1945, sono andato molto più indietro, toccando non soltanto le epoche umane ma anche quelle geologiche e addirittura cosmiche. Non esistono unità misurabili in anni per queste ere. Come la Terra è in costante cambiamento (basti pensare alla scoperta della deriva dei continenti da parte di Wegener), così i miei lavori sono soggetti a un cambiamento altrettanto costante. E non so dirti il numero di volte in cui le “immagini” sono state distorte, riprese e distrutte nuovamente. Posso solo dire questo: siamo prigionieri delle immagini, che diventano immagini di liberazione solo quando le abbiamo distrutte – ovvero nell’esperienza della morte e della resurrezione. “Ogni iconoclastia è un nido di immagini”, direbbe Andrea Emo.

Lei ha creato una sorta di storia del presente e del futuro attraverso una stratificazione – pittorica e metaforica – che prende forma sui diversi piani del passato. Come artista, potrebbe descrivere il suo rapporto con la storia?
Tutto ciò che di nuovo creano gli artisti, i poeti e gli scrittori avviene attraverso la memoria. Non esiste novità se non nella memoria. Il nuovo nasce da noi, che siamo il futuro – se possiamo farne a meno. Grazie ad Andrea Emo ho imparato che la storia è una catena di azioni ed eventi illogici e astorici, che non hanno nulla a che fare con il rapporto causa-effetto. Solo chi ha la forza di volere l’impossibile e di capire il non-logico, di inventare una causa che non ha effetto, può comprendere la trama del tempo e della storia. Da ciò deriva l’idea, secondo Andrea Emo, che “ogni azione storica significa la negazione della storia tutta”.

Quando scoppia una guerra sembra sempre che il passato torni in vita. Ora che una “nuova” guerra è iniziata, un “nuovo” passato è diventato il nostro presente. Come dovrebbe rispondere l’arte a tutto questo?
Non credo che la guerra sia appena iniziata. Siamo dentro la Terza Guerra Mondiale da lungo tempo. Nel 1991, quando l’Unione Sovietica crollò, si sarebbe potuta evitare un’altra guerra, ma l’occasione fu distrutta dall’Occidente, che vide se stesso come il vincitore. Ma chi può ancora essere vincitore oggi, nell’epoca della bomba atomica? In Germania il 1945 fu chiamato Zero Hour (Stunde Null). Mi è sempre sembrato assurdo. Perché, parafrasando Bertolt Brecht, “è ancora fertile il grembo da cui è nato”. Nel 1969 realizzai l’azione intitolata Occupations con il braccio alzato in un saluto hitleriano perché sentivo che qualcosa veniva nascosto, trasformato in tabù. Volevo sapere di cosa si trattava e se potesse succedere di nuovo, in qualsiasi momento.

Quali reazioni si aspetta dal pubblico della mostra veneziana?
Qualsiasi reazione, soprattutto la più semplice e la più arguta, è benvenuta.

Anselm Kiefer. Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce (Andrea Emo). Exhibition view at Palazzo Ducale, Venezia 2022 © Anselm Kiefer. Photo Georges Poncet. Courtesy Gagosian

Anselm Kiefer. Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo). Exhibition view at Palazzo Ducale, Venezia 2022 © Anselm Kiefer. Photo Georges Poncet. Courtesy Gagosian

ANSELM KIEFER E LA FILOSOFIA DI ANDREA EMO

L’essere e il nulla sono fortemente connessi nel suo lavoro. L’arte quale ruolo gioca?
Solo un artista iconoclasta è un buon artista. Lao Tse disse: “Perciò, può esserci qualcosa che fornisce il valore, ma non c’è nulla che fornisca l’utilità”. Heidegger ha sempre concepito il nulla come l’antitesi dell’essere. Ma in Andrea Emo non c’è una simile cronologia; l’essere è sempre la presenza del nulla stesso. Il nulla non è presente se non come essere. Andrea Emo dice che “l’essere e il nulla si trasformano nel momento. Uno si trasforma costantemente e ritmicamente nell’altro. Possono solo sembrare di esistere in una condizione di prima e di dopo”.

Quando afferma che solo un artista iconoclasta è un buon artista, pare che l’idea di distruzione sia al tempo stesso il punto di partenza e il traguardo del processo creativo. Come gestisce il potenziale della distruzione?  
La distruzione è un mezzo per fare arte. Io metto i miei dipinti all’aperto, li metto in una vasca di elettrolisi. La scorsa settimana ho esposto una serie di dipinti che per anni sono stati sottoposti a una sorta di “radiazione nucleare” all’interno di container. Ora soffrono di malattie da radiazione e sono diventati temporaneamente meravigliosi.

Le rovine, la distruzione e la rinascita sono interconnessi nel ciclo della storia. Venezia è una fonte di ispirazione da questo punto di vista?
Per me le rovine non sono nulla di strano – sono belle, rappresentano un inizio. Da bambino non avevo giocattoli, ma tra le macerie della nostra casa, che fu bombardata la notte in cui nacqui, potevo trovare un sacco di materiali. Costruivo case, alte anche parecchi piani, a partire dai mattoni. Ed è per questo che trovo così tanto materiale per la mia storia personale in quella di Venezia.

C’è qualche edificio o angolo della città che l’ha colpita maggiormente?
Vidi per la prima volta i mosaici dorati della Basilica di San Marco quando avevo 17 anni. Trascorsi intere giornate in quelle grotte dorate, in quella luce ghiacciata. Ero come intrappolato. Oggi, quando visito queste cantine d’oro sotto e sopra il livello del suolo, penso a ciò che Octavio Paz scrisse a proposito dell’oro degli Aztechi, rubato da Colombo e mostrato in abbondanza nelle chiese cristiane. Octavio Paz individua una diretta e contraddittoria connessione tra l’oro e le feci. Si avvale della psicologia, che vede nell’erotismo anale una fase infantile e pregenitale della sessualità individuale, che corrisponde all’Età dell’oro nell’ambito dei miti sociali. Il sole dorato è la vita, ma quando ci brucia diventa sinonimo di morte. Gli escrementi, d’altro canto, sono materia morta, ma sono portatori di vita sotto forma di fertilizzante. Gli escrementi sono l’equivalente di un sole marcio, così come l’oro è luce ghiacciata. Potrei proseguire spiegando come l’oro accumulato nelle cantine diventi il caveau di una banca – il capitalismo – e poi come conduca in forma astratta al globalismo (vedi nei miei dipinti i carrelli della spesa sospesi sopra la laguna). Potrei anche riferirmi a Marx, che nei primi tempi sottolineava il carattere magico dell’oro, ma ci porterebbe troppo lontano. Come vedi, Venezia e la sua storia evocano ogni tipo di pensieri, dal Barocco ai giorni nostri.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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