Germano Celant e le libertà dell’arte

Quella dell’arte è questione tanto sostanziale quanto materiale. Oltre a cercare di coglierne l’essenza e spiegarne le opere, l’indagine su di essa ottiene fruttuosi risultati mettendo in luce anche temi quali la vitalità e l’operosità umana che la animano. Entrambi sono centrali nella riflessione critica di Germano Celant, formulata ponendo attenzione alle libertà dell’arte e alle possibilità della teoria. Questo breve testo ne mostra alcuni aspetti.

Condiviso da artisti e teorici, il proposito di svelare la natura dell’arte diventa tra i più ambiti soprattutto dalla seconda metà del Novecento. Il presupposto comune è riuscire a cogliere la quintessenza dell’arte mostrando che essa è azione, possibilità progettuale, manifestazione del pensiero e intervento concreto nella realtà. Da qui l’idea, di ispirazione romantica, che si potrebbe anche fare a meno di oggetti e materiali. Tanto che, come si dirà dagli Anni Sessanta, l’arte può anche essere “concettuale”.
Nel quadro di queste riflessioni, Germano Celant ha sviluppato il suo discorso critico attraverso l’osservazione storica e l’indagine sulle pratiche artistiche. Dalla prima prende forma il suo pensiero sulle relazioni tra l’arte contemporanea e quella tradizionale, dalla seconda deriva l’individuazione delle specificità dei diversi modi di fare arte. Nel 1970, in un articolo pubblicato su Casabella, Celant scrive che un’arte può essere considerata concettuale perché in essa “agire, pensare, comunicare sono diventati fatti estetici ed artistici” grazie a Duchamp, che “ha fatto esplodere l’apparenza e vi ha sostituito l’idea”. In quest’ultima, l’opera d’arte trova dunque “principio e forma, ragione ed uso” poiché “si offre così in maniera immateriale, non lascia una traccia unica, ma si dissolve in mille canali”. Questi alcuni tratti tipici delle opere concettuali. Altri, rispetto a quelli che invece Celant aveva messo in luce pochi anni prima descrivendo un’arte che può essere detta “povera”.

LA VITALITÀ DELL’ARTE SECONDO CELANT

Un frutto della osservazione storica e della indagine sulle pratiche è anzitutto la riflessione, all’inizio frammentaria e in forma di appunti, sul rapporto tra l’uomo e la società odierna. Sulla possibilità che il primo mediante l’arte possa contribuire al sistema della seconda individuando alternative nella contingenza, negli eventi, nel libero agire umano. Gli appunti di quel “testo lacunoso” del 1967, come Celant lo commentava concludendolo, informavano di altri modi di fare arte rispetto alla tradizione. Influenzata da inclinazioni concettualiste, l’Arte Povera però non si risolve né solo in idee né solo nei materiali. Essa era descritta in seguito come manifestazione concreta che esprime tanto “il libero progettarsi dell’uomo” quanto la predilezione degli artisti per “l’essenzialità informazionale” e per “verificare continuamente il proprio grado di esistenza (mentale e fisica)” (Celant 1968a: 65). Manifestando “l’esigenza di identificarsi con l’azione e il processo in corso» e la ricerca «di rapporti vitali e dialettici con la realtà” (cfr. Celant 1968b: 102), l’Arte Povera conserva comunque profondi legami con la tradizione artistica nella misura in cui favorisce nuovamente l’espressione delle sue libertà creative e del dinamismo vitale che la anima.

GERMANO CELANT E L’ANTROPOLOGIA ARTISTICA

Infatti, come Celant ha precisato in una intervista con Antonio Gnoli su Repubblica, “Arte Povera” indica anzitutto una attitudine. Una propensione operativa che può assumere forme diverse e che riporta in primo piano la vitalità e le libertà dell’arte. Celant le descrive nella sua riflessione critica in termini di spazio, idee, materiali naturali, energia. Vale a dire, considerando gli esiti conseguiti gradualmente dagli artisti nel quadro del complicato scenario dal secondo dopoguerra italiano. In esso mentre “le immagini si dissolvono e le forme entrano in un vortice di materie indistinte e incandescenti” (Celant 1990: XI), il rapporto tra arte e vita si ridefinisce lentamente. Ciò appariva in particolare nella poetica di Piero Manzoni, in un nuovo “discorso sull’origine” (ivi: XII) attraverso il quale si gettavano le basi per “operare sull’essenza dell’arte, senza tentare di costruire qualcosa di diverso, che non sia la stessa arte” (ivi: XXVII). Gli sviluppi successivi Celant li spiega formulando una ipotesi: “quella di continuare ‘l’antropologia artistica’ di Manzoni, che aveva messo al centro l’essere umano come l’essente che fornisce la misura ad ogni prodotto del percepire e del sentire” (ibidem).

Germano Celant   Artmix (Feltrinelli, Milano 2008)

Germano Celant Artmix (Feltrinelli, Milano 2008)

GERMANO CELANT: LE PRATICHE, LA SCRITTURA

Centrali nella sua riflessione critica sono sia quella condizione esperienziale originaria sia la operosità umana alla base delle trasformazioni dell’arte. Entrambi gli aspetti risaltano con chiarezza nel suo libro pubblicato dal Centro Di nel 1976, Precronistoria 1966-69: raccolta di testi che esprime fruttuosamente il suo approccio storico e critico. Una indagine che, offrendo una ricapitolazione degli accadimenti del periodo indicato nel titolo, presentava nelle stesse pagine il pensiero di artisti e teorici. Un “tessuto storico” in cui si intrecciano i fili delle pratiche a quelli della riflessione critica. Così, insieme agli scritti di artisti come Mel Bochner, Piero Gilardi, Robert Morris, Michelangelo Pistoletto, vi erano oltre ai suoi anche quelli di Lucy Lippard, Tommaso Trini, Daniela Palazzoli, Maurizio Calvesi. Una fase imprescindibile per il rinnovamento dell’arte contemporanea veniva perciò ricostruita attraverso i fatti e le interpretazioni.

POSSIBILITÀ DELLA CRITICA

Nella introduzione alla nuova edizione di Precronistoria, pubblicata nel 2017 dalla casa editrice Quodlibet, Celant torna su questi aspetti. Il riesame di quel percorso permette di riconoscere quella fase, pensabile come un “periodo d’incubazione”, non solo cruciale per l’“invito a lasciar parlare le cose e la realtà” (Celant 2017: IX, XIII) ma anche per rivedere le stesse possibilità della critica. Prima c’è l’arte, poi la teoria. “Ecco allora la consapevolezza che l’analisi storica o la verifica analitica vengono sempre dopo. Come si fa ad avverarle insieme? È possibile condividere gli eventi senza trascenderli in una scrittura?” (ivi: X) – si chiede Celant a più di quarant’anni dalla sua indagine. Gli stessi quesiti animano anche altri suoi scritti. Per esempio, in quelli raccolti nel volume Artmix le libertà dell’arte sono descritte tenendo conto sia dei diversi ambiti di produzione (architettura, cinema, design, moda…) sia delle risorse teoriche che di volta in volta devono essere introdotte per spiegarli. Proprio perché a rigenerare la critica è anche la consapevolezza che le “arti sono ‘mutanti’”, come scrive Celant omaggiando gli insegnamenti di Eugenio Battisti e Gillo Dorfles (Celant 2008: IX).

– Davide Dal Sasso

BIBLIOGRAFIA

Celant, Germano (1967), Arte Povera Appunti per una guerriglia, in “Flash Art”, n. 5.
Celant, Germano (1968a), Arte Povera, Arte Povera [cat.], Galleria De’ Foscherari, Bologna; disponibile anche in Celant, Germano [1976] 2017: 64-72.
Celant, Germano (1968b), Azione Povera, in Arte Povera più Azioni Povere [cat.], Marcello Rumma, Salerno; disponibile anche in Celant [1976] 2017: 102-113.
Celant, Germano (1970), Arte concettuale, in “Casabella”, n. 347.
Celant, Germano [1976], Precronistoria 1966-69, Quodlibet, Macerata, 2017².
Celant, Germano (1990), L’inferno dell’arte italiana. Materiali 1946-1964, Costa & Nolan, Genova.
Celant, Germano (2008), Artmix. Flussi tra arte, architettura, cinema, design, moda e televisione, Feltrinelli, Milano.

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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