L’arte veneta e le ragioni del cuore. Daniele Capra ricorda Lionello Puppi

È venuto a mancare, lo scorso fine settimana, uno dei più significativi studiosi di arte veneta dell’ultimo secolo. Insaziabile amante di Palladio e di quel Cinquecento percorso da inedite inquietudini moderne.

Conobbi Lionello Puppi quando era già anziano, una decina di anni fa. Senile per età ma non certo per vigore, era per me uno studioso che apparteneva alla mitologia, in particolare per i suoi studi su Palladio, l’architettura e la pittura veneta. In quei mesi stava lavorando alla mostra che raccontava gli ultimi anni di Tiziano, i sui rapporti con la bottega, le ultime commissioni e il senso di prossimità della morte. Ma per me allora era soprattutto l’autore della monografia su Palladio, scritta a quattro mani con Donata Battilotti, pubblicata da Electa. Su quel libro di architettura in bianco e nero (un long seller degli Anni Settanta tutt’ora in libreria), regalatomi in premio dopo aver passato l’esame di terza media e che era evidentemente troppo complesso per la mia età, avevo perso decine di ore baloccandomi su quel mondo temporalmente distante ma fisicamente vicino in cui cultura letteraria, amore per l’antico, filosofia e arte si mischiavano in un unico sorprendente amalgama, le cui costituenti erano alquanto difficili da discernere.

RAGIONI VENALI

Quando gli parlai per la prima volta, nonostante i modi affabili, avevo la sensazione di essere vicino a un monumento che però, in qualche modo, mi apparteneva. Puppi, che era nato a Belluno nel 1931 ed era stato docente di Storia dell’Architettura prima all’Università di Padova e successivamente di Arte Moderna e Iconologia a Ca’ Foscari a Venezia e con numerose pubblicazioni sul Cinquecento, era stato un sostenitore di un approccio trasversale alla storia dell’arte, basato sui documenti ma anche sull’analisi delle relazioni tra gli attori del sistema, le discipline, gli ambienti culturali, le dinamiche di potere e quelle economiche. La summa di questo approccio risulta particolarmente evidente nell’edizione completa dell’Epistolario di Tiziano – da lui curata e pubblicata nel 2012 da Alinari Sole 24 ore –, da cui emerge un artista che, oltre ad avere una grande cura nella relazioni con la committenza, spesso favorite da amicizie importanti come quella con Pietro Aretino, è ossessionato dagli aspetti economici e dal denaro. In questo senso il fatto di liberare lo studio dell’arte da una lettura puramente accademica, che prende in considerazione in modo esclusivo gli aspetti alti, per riallacciarla anche agli elementi più prosaici della vita e alle sue urgenza anche venali, può essere considerato un contributo di particolare rilievo.

El Greco, Guarigione del cieco, 1573-74. Galleria Nazionale, Parma

El Greco, Guarigione del cieco, 1573-74. Galleria Nazionale, Parma

IL TERZO NOME DEL GATTO

Ma per me Lionello Puppi è stato soprattutto l’autore de Il terzo nome del gatto. Raffaello, la metamorfosi e il labirinto (il titolo del libro prende ispirazione dalla celebre poesia di T. S. Eliot I nomi dei gatti), pubblicato da Marsilio e ora non più in commercio, in cui egli sonda il mondo delle ipotesi e delle interpretazioni possibili ma non verificabili, che possono occupare la fantasia dello studioso e permettere di ricostruire legami e fatti plausibili, benché scientificamente non suffragati da alcun documento. Nel leggere e ricercare la storia, spiega Puppi, vi sono degli ineludibili legami sotterranei tra le opere: delle pascaliane ragioni del cuore, sfuggenti, erronee forse, ma capaci di aprirci nuovi orizzonti prima insondati, veri e presenti solo come i fantasmi della nostra immaginazione sanno essere. Sono significati e argomentazioni ipotetici e non facilmente intellegibili, come il terzo nome del gatto: oltre a quello che noi gli attribuiamo e a quello generico di “gatto”, ve ne è un altro, segreto, che solo il felino conosce, e a cui risponde in forma esclusiva.

LE GRANDI MOSTRE

Le ultime mostre importanti realizzate da Puppi sono state quella di grande intensità intellettuale su Giorgione (curata con Antonio Paolucci e Enrico Maria Dal Pozzolo) a Castelfranco Veneto, città natale del pittore, e quella su El Greco a Treviso, con pezzi di grande intensità, ma anche delle cadute significative, frutto evidentemente di compromessi imposti. In quel caso non mancarono le polemiche, sia per l’inutile inserimento nella mostra di chiacchierati disegni di Bacon, sia per l’attribuzione a Michelangelo, evidentemente frettolosa, di una Crocefissione.
Negli ultimi anni non sono poi mancate da parte sua le polemiche sui quotidiani contro il sistema della grandi mostre prive di contenuto scientifico, in particolare contro Marco Goldin e la tipologia di mostre-evento, sempre più numerose nel nostro Paese. Con interventi misurati, talvolta leziosi nella scrittura, ha denunciato la stupida faciloneria e la ricerca dell’effetto da circo mediatico, conscio, però, che le cose sarebbero solo potute peggiorare.

Daniele Capra

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Daniele Capra

Daniele Capra

Daniele Capra (1976) è curatore indipendente e militante, e giornalista. Ha curato oltre cento mostre in Italia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Austria, Croazia, Albania, Germania e Israele. Ha collaborato con istituzioni quali Villa Manin a Codroipo, Reggia di Caserta, CAMeC…

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