Di che cultura abbiamo bisogno?

In una condizione di incertezza collettiva, la cultura dovrebbe fornirci risposte e distrazioni, ricercando l’empatia con le persone, e non più proponendosi come entità iperspecialistica. Quale modello seguire?

Gli ultimi anni hanno segnato dei cambiamenti importanti sotto il profilo nazionale e internazionale. Cambiamenti che hanno generato una serie di trasformazioni che oggi fatichiamo a inserire all’interno di narrazioni preesistenti. Questo quadro, i cui contorni sono percepibili tanto in una visione macroscopica quanto nei riflessi più concreti e quotidiani, sta portando a una sempre più evidente ricerca di nuove narrazioni in grado di restituire una visione di medio o di lungo periodo.

CULTURA E SPECIALIZZAZIONI

In questo contesto, la cultura può davvero rappresentare lo strumento attraverso il quale indagare il nostro tempo e fornire risposte che non si limitino all’interpretazione del contingente. Per soddisfare tale bisogno condiviso, tuttavia, è necessario che anche il mondo della cultura si adegui ai cambiamenti in corso, proponendo una visione realmente nuova, generata da una modalità di confronto che superi gli schemi tradizionali sinora adottati.
Negli ultimi decenni, infatti, in modo del resto coerente con quanto è stato possibile osservare all’interno di tutte le altre discipline, anche nel settore culturale è stata adottato un approccio tendente alle specializzazioni. Tali specializzazioni, che hanno marcatamente segnato l’intero Novecento, si sono tradotte, nel settore culturale, in un percorso che ha condotto alla costituzione delle cosiddette “nicchie di mercato”. I convegni sono divenuti sempre più specialistici, e così intere discipline, come la musica colta (eccezion fatta per le ibridazioni con la musica elettronica) e l’arte contemporanea in generale, hanno lasciato sempre più spazio a consumi culturali meno densi, fruibili rapidamente e senza quello che un tempo veniva definito “costo cognitivo”, vale a dire il costo che la persona sostiene in termini di attivazione dell’attenzione.

“È necessario che il mondo della cultura si adegui ai cambiamenti in corso, proponendo una visione realmente nuova”

LA CULTURA DEVE STIMOLARE LA CURIOSITÀ

Il risultato di questa dinamica è, tuttavia, divisivo. Basta guardare con attenzione le statistiche legate a qualsivoglia tipologia di consumo o fruizione culturale per valutare come ci siano intere porzioni di popolazione che non vivono esperienze culturali di alcun tipo. Il che significa, quindi, che ci sono intere porzioni di popolazione che non entrano in alcun modo in contatto con stimoli o riflessioni che non siano quelle espresse dalle persone della propria cerchia di conoscenze, dalla televisione o dai social network (in questo senso, anche i dati sulla lettura dei periodici – fisici e online – presentano vuoti di domanda significativi).
Limitando la riflessione a ciò che i dati degli ultimi anni esprimono, le interpretazioni possibili di questo fenomeno sono due: la prima è che ci sono migliaia e migliaia di cittadini che non sentono alcuna esigenza di confrontarsi con pensieri differenti da quelli espressi dai propri canali abituali e che, nemmeno se correttamente stimolati potrebbero presentare cambiamenti in termini di preferenza; la seconda è che, invece, l’attuale offerta culturale non è stata in grado di soddisfare bisogni conoscitivi di una parte numericamente rilevante della popolazione italiana.
Non importa quali delle due ipotesi sia corretta. Soltanto su una possiamo realmente intervenire. Il che impone al mondo della cultura di agire per stimolare la curiosità delle persone, non per questo appiattendosi sulla vacuità dei contenuti da “scrolling compulsivo”, ma intercettando domande che se esistono non trovano risposta.

Giornali. Photo Markus Spiske (via Unsplash)

Giornali. Photo Markus Spiske (via Unsplash)

CULTURA ED EMPATIA

Si sono sempre più sviluppate, negli ultimi anni, delle interpretazioni disciplinari che stanno avendo un discreto successo, anche tra i social network. Dalla geologia alla fisica, fino alla storia, sempre più persone seguono contenuti che affrontano contenuti densi. Da molti questa curiosità è stata posta in relazione a una sorta di processo di semplificazione dei contenuti.
Uno sguardo più attento, tuttavia, non può non notare come molti dei contenuti in questione siano tutt’altro che “semplici”: temi come la nascita dei Comuni o la trasformata di Fourier non possono di certo essere etichettati in questo modo. E nemmeno questo fenomeno può essere spiegato indicando, come pure si è soliti fare, la bravura del divulgatore.
Un ulteriore tema potrebbe far riflettere: in quasi tutti i casi, i contenuti proposti rispondono a quesiti letti in modo nuovo, coerente con il nostro tempo, non solo per il canale utilizzato, ma anche perché pongono al centro l’esperienza dell’individuo. Un elemento che si collega a discipline accademiche importanti, come la public History o la public Archaeology che, volendo semplificare, non si limitano a raccontare i macro-eventi, ma indagano anche le “condizioni di vita” delle persone. Quello che si crea è un elemento di “vicinanza” reale: le tappe fondamentali della vita di un imperatore sono elementi la cui rilevanza è condivisa da tutti, ma che inevitabilmente chi non è appassionato di storia non percepisce come vicini; sapere quali fossero i “pensieri” o i “sogni” delle persone, crea invece un legame diretto con loro.
La fisica spiegata su YouTube ha lo stesso criterio: non ci spiega un fenomeno lontano. Prende episodi quotidiani e ne spiega il motivo.

“L’attuale offerta culturale non è stata in grado di soddisfare bisogni conoscitivi di una parte numericamente rilevante della popolazione italiana”

IL MODELLO DEI FENOMENI CULTURALI

Il nostro Paese si trova a vivere in un momento di transizione, che proietta moltissimi cittadini in una condizione di tendenziale incertezza. Tale incertezza stimola interrogativi che non sempre trovano risposte efficaci, da un lato per una tendenziale disaffezione alla fruizione culturale, dall’altro per la settorializzazione che ancora contraddistingue una buona parte del mondo culturale. Parallelamente, esistono dei veri e propri fenomeni culturali, l’analisi del cui successo potrebbe fornirci risposte interessanti in termini di creazione di contenuti.
Non si intende di certo affermare che qualsiasi dispositivo culturale debba iniziare a fare i video su TikTok o su Instagram (meglio precisarlo). Ma sarebbe il caso che ciascuna disciplina inizi a interrogarsi su come presentarsi per rispondere a bisogni contenutistici concreti delle persone.
Strutturare un’analisi della domanda, nel senso più vero e importante del termine: capire il bisogno che non è soddisfatto dall’offerta esistente e identificare le modalità per poter fornire un servizio, un prodotto, un contenuto, o un qualsiasi dispositivo culturale, che intercetti il bisogno di cultura che molti non sanno nemmeno di avere.
Siamo abituati a pensare che da un lato stia il bisogno di contenuti, dall’altro quello di distrazioni. Sta a chi produce cultura fare in modo che queste due dimensioni smettano di essere antitetiche.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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