In Danimarca gli appassionati di metal detector vanno a caccia di arte

Oltre 5mila danesi si dedicano a cercare reperti nel loro tempo libero, mettendoli a disposizione del Museo Nazionale di Copenaghen, che ora li ringrazia con una mostra

In Danimarca può capitare molto spesso, mentre si è in automobile o in treno, di avvistare persone che perlustrano i campi con un metal detector. Sono tutte alla ricerca di reperti artistici, di oggetti del passato inghiottiti dalla terra e negli anni hanno contribuito in maniera determinante ad arricchire il patrimonio storico del Paese.
Nel Museo Nazionale di Copenaghen arriva per la prima volta una mostra interamente dedicata ai detectorist, alle loro importanti scoperte e alla storia di questo hobby così diffuso. Si intitola The hunt for the Denmarks past e durerà fino a febbraio 2024.
I danesi stanno creando insieme i loro musei, ognuno può partecipare. Questa esposizione è un modo per rendere loro omaggio”, dice Line Bjerg, a capo del team che analizza ogni oggetto rinvenuto e curatrice della mostra.

The hunt for the Denmarks past, exhibition view at The National Museum of Denmark, Copenhagen, 2023. Photo Joakim Züger, The National Museum

The hunt for the Denmarks past, exhibition view at The National Museum of Denmark, Copenhagen, 2023. Photo Joakim Züger, The National Museum

LA STORIA DEI RITROVAMENTI IN DANIMARCA

La storia dei ritrovamenti in realtà è molto più antica e inizia con una legge del 1241, con cui si stabiliva che ogni oggetto in oro e argento senza proprietario appartenesse al Re. Per molto tempo la strategia è stata quella di fondere tutto, poi dal XVII secolo la Corona ha cominciato a collezionare reperti da mostrare alle altre famiglie reali seguendo una moda europea. Oggi nulla di tutto questo appartiene più alla monarchia ma al Museo Nazionale, che riceve le scoperte dai musei locali, dove i detectorist le consegnano. La regola stabilisce che tutti gli oggetti risalenti a prima del 1536 vadano consegnati al museo più vicino, dopo quella data lo stesso vale solo per gli oggetti d’oro e i grandi reperti d’argento.
Due sono le scoperte fatte da persone comuni e passate alla storia prima dell’avvento dei metal detector. Nel 1639 la merlettaia Kirsten Svendsdatter rischiò di inciampare in uno dei corni d’oro di Gallehus (400 d.C.). Furono rubati nel 1802 dal Museo Nazionale, dove sono conservate due repliche. Esattamente cento anni più tardi Frederik Willumsen trovò una reliquia della prima età del bronzo (1400 a.C.), un carro solare con motivi nordici.

SCOPERTE E METAL DETECTOR

L’arrivo dei metal detector negli Anni Ottanta del secolo scorso ha segnato una svolta nel settore, grazie alla lungimiranza dei dirigenti museali dell’epoca. “Hanno stabilito una connessione con le persone attraverso i musei locali e la strategia ha avuto un ampio successo. E credo che questo abbia creato un terreno fertile per la fiducia tra i dilettanti e i professionisti”, racconta Bjerg. Mentre in molti Paesi questa pratica veniva vietata, in Danimarca i detectorist sono diventati una risorsa e hanno cominciato a contribuire alle mostre con gli oggetti ritrovati, trasformando le ricerche in un evento sociale da condividere con altri appassionati. Oggi si stima che ce ne siano oltre 5mila, in un Paese di quasi sei milioni di abitanti, con associazioni sparse su tutto il territorio a livello regionale.
Ogni anno facciamo quella che noi chiamiamo ‘la carovana’. Andiamo nei musei locali e raccogliamo tutti i vari ritrovamenti. Per me è come se fosse Natale perché non so cosa ci sia nelle scatole”, afferma Bjerg. L’anno scorso gli oggetti arrivati sul suo tavolo hanno raggiunto quota 18mila. Nel 2021 sono stati addirittura 30mila, in parte anche grazie alla ripresa post-pandemica, quando le persone si sono riversate sui campi per recuperare il tempo perduto. L’afflusso continua a essere ingente e la squadra di Bjerg, composta da dieci persone tra curatori, segretari e conservatori, fa molta fatica a catalogare ogni reperto. Di solito gli si assegna un numero, lo si analizza e si capisce se è destinato a un’esposizione o a un magazzino.

Portrait of Hjalte Wadskjær Mølgaard. Photo Silke Wadskjær Mølgaard

Portrait of Hjalte Wadskjær Mølgaard. Photo Silke Wadskjær Mølgaard

COME SI CERCANO I REPERTI

Hjalte Wadskjær Mølgaard ha 23 anni e studia archeologia all’università. Fin da piccolo è appassionato di storia, prima delle guerre mondiali e poi dell’antichità, soprattutto l’era dei vichinghi. A 14 anni fa la sua prima scoperta, uno sperone di una scarpa di epoca medievale: “Da lì iniziò tutto”, dice. Dopo due mesi acquista il suo primo metal detector, affinando la sua tecnica di anno in anno. Dietro la fase della ricerca sul campo c’è infatti un attento studio delle mappe, specialmente quelle dell’Ottocento, dove Mølgaard cerca di capire l’esistenza di antichi insediamenti attraverso nomi e strade. Anche Google Maps può aiutare: una visuale dall’alto permette di individuare la presenza di vecchi centri abitati dal colore delle coltivazioni in un esempio di archeologia aerea.
Una volta individuato il terreno propizio, il passo successivo è chiedere il permesso al proprietario, che viene quasi sempre accordato. Ma può anche succedere che i detectorist debbano scontrarsi con un no. Secondo Mølgaard, questo avviene per un problema di disinformazione che spinge i proprietari a pensare che un ritrovamento possa portare all’apertura di uno scavo archeologico, senza avere nulla in cambio. I metal detector, però, sono molto precisi: segnalano la presenza di oggetti a una distanza di 30 centimetri e per ogni segnale si scava un buco molto piccolo, poi richiuso cercando di lasciare la terra intatta.
Durante la fase di ricerca, i segnali di un metal detector possono essere molti: “Può suonare 100, 200 volte e nel 98% dei casi quello che trovi sono rottami. Per questo, quando ti capita qualcosa di interessante, è sempre una sorpresa”, afferma Mølgaard. I detectorist sanno che, una volta trovato un reperto, non bisogna pulirlo, per evitare di danneggiarlo. Va solo inserito in una busta di plastica e portato nel museo locale più vicino, che si occuperà di destinarlo alla sede nazionale. Prima di consegnare i suoi oggetti, Mølgaard ne colleziona una decina e per ognuno scatta qualche foto da tenere come ricordo.
Ai veri detectorist come lui l’idea di tenere i reperti per sé senza consegnarli non è mai balenata per la testa: “Chi sceglie di farlo non è benvenuto nella comunità. C’è una sorta di aspetto sociale che ti porta a rispettare le regole. Per questo quasi non esistono persone che non hanno consegnato gli oggetti”, sostiene. In misura minore contribuisce anche la ricompensa per i reperti che il Museo Nazionale conserva senza rispedirli al mittente. Sia Bjerg che Mølgaard preferiscono non fornire dettagli al riguardo, ma nell’ultimo anno la Danimarca ha pagato ai detectorist oltre sei milioni di corone (circa 800mila euro), per una media di 50 euro a oggetto. In ogni caso si tratta di cifre “abbastanza degne da non spingere a vendere gli oggetti sul mercato nero”, spiega Mølgaard.

Finger ring with rock crystal and dark enamel inlay, 16th-17th century. Found near Viborg by Rasmus Heiberg Søndergaard. Photo Søren Greve

Finger ring with rock crystal and dark enamel inlay, 16th-17th century. Found near Viborg by Rasmus Heiberg Søndergaard. Photo Søren Greve

GLI OGGETTI IN MOSTRA A COPENAGHEN

La mostra The hunt for the Denmarks past ospita uno degli oggetti trovati da Mølgaard. Si tratta di un anello d’oro di epoca medievale raffigurante il volto di Cristo. Accanto c’era anche una sorta di timbro utilizzato dal nobile Nils Krabbe, confermato da un documento del 1408. “Mi piace pensare che quell’anello sia stato suo”, dice il detectorist. Quando il Museo Nazionale lo ha contattato per dirgli che uno dei suoi reperti sarebbe stato utilizzato per l’esposizione, già non lo sentiva più suo: “Sono solo quello che l’ha trovato. Non penso di aver alcun diritto”, afferma.
Il tesoro più importante della mostra è quello scoperto nel villaggio di Vindelev, vicino a Jelling, terra di origine del regno danese. Si tratta di 22 oggetti d’oro del VI secolo trovati da una coppia di amici, Ole Ginnerup Schytz e Jørgen Antonsen, che hanno permesso di scoprire l’esistenza di un proto-regno e, grazie a una moneta, una menzione di Odino risalente a 150 anni prima che si facesse riferimento alla sua esistenza come a quella di un dio.
Ma quello che rende diversa questa mostra è proprio la parte dedicata ai detectorist, alle loro abitudini, ai loro rituali e ai loro metodi di ricerca. Ce ne sono alcuni che hanno tatuaggi con le loro scoperte, un altro ha rivestito la sua auto di foto degli oggetti ritrovati. Una comunità che ha cominciato a fare anche uso dei social come strumento divulgativo, contribuendo a rafforzare un hobby già molto diffuso. “Consiglierei a una persona di comprare un metal detector solo se ama la storia, non per i soldi, perché sarebbe semplicemente stupido. E poi è anche salutare e più divertente di correre o camminare nelle foreste”, sostiene Mølgaard.

Alessandro Leone

Copenaghen // fino a febbraio 2024
The hunt for the Denmarks past
NATIONAL MUSEUM
Ny Vestergade 10
https://en.natmus.dk/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Alessandro Leone

Alessandro Leone

Ha frequentato il master di El País a Madrid, dove ha lavorato per più di un anno. Scrive su media italiani e ispanici come L’Espresso, Fatto Quotidiano, Domani, IRPI, Il Tascabile, El Salto, El Diario, AS. Fondatore di Brújula Global,…

Scopri di più