Apre il Boijmans Depot di Rotterdam. La rivoluzione in un deposito museale

Dopo questa inaugurazione il concetto stesso di deposito museale faticherà a essere quello di un tempo. A Rotterdam è visitabile il Depot del museo Boijmans con l’architettura di MVRDV e con un progetto ad alto tasso di coinvolgimento

L’apertura del Depot del museo Boijmans Von Beuningen a Rotterdam ‒ firmato dallo studio MVRDV ‒ segna un momento spartiacque della museologia moderna. Non è la prima volta che un museo cerca di dialogare (e far dialogare il pubblico) con i suoi depositi, ma è la prima volta che questo avviene in maniera così dichiarata, cercata, lucida. Addirittura creando un nuovo landmark urbano in pieno centro città. Un landmark urbano perfino ancor più iconico del museo stesso. Da domani il Boijmans nell’immaginario condiviso o nelle memorie dei turisti che verranno a visitarlo sarà ricordato probabilmente più per le fattezze del suo deposito che per il suo stesso edificio storico. Non parliamo solo di una partita architettonica, ma anche di una faccenda esperienziale, curatoriale e, da non tralasciare, di una sfida lanciata a tutti gli altri musei: come gestiranno da domani i loro depositi? Faranno finta di nulla? Abbiamo gli esempi dello Schaulager della Fondazione Laurenz e del Vitra Schaudepot ‒ peraltro entrambi firmati da Herzog & de Meuron ‒ ma non è la stessa cosa e non parliamo di depositi di grandi musei… Insomma a Rotterdam in questi giorni si sta scrivendo un pezzetto di storia dell’arte che farà da riferimento: per la prima volta un importante museo apre, in maniera permanente, i suoi depositi e si struttura per farci entrare un grande numero di persone ogni giorno prendendosi carico dei problemi di sicurezza, di conservazione, di climatizzazione.

Il Boijmans Depot di Rotterdam

Il Boijmans Depot di Rotterdam

DEPOT BOIJMANS. IL DEPOSITO CHE CAMBIA IL MODO DI VEDERE IL MUSEO

Per noi curare le mostre sarà clamorosamente diverso d’ora in poi. Una volta chiedevamo di vedere un’opera nella nostra sterminata collezione e chi si occupava dei depositi ce la faceva trovare pronta, aperta, scartata da analizzare. Oggi tiriamo una maniglia, viene fuori un rack con quell’opera appesa e tutte quelle che ci sono attorno. E così ti vengono nuove idee, nuovi spunti, magari la mostra che hai in testa diventa qualcosa d’altro. Mi sto interrogando molto su quale impatto abbia una struttura del genere sulla nostra creatività di curatori, di inventori di mostre, è qualcosa che non ha precedenti”. Così Francesco Stocchi, curatore per l’arte moderna e contemporanea al Boijmans di Rotterdam dal 2012, racconta l’impatto che il Depot del museo avrà sul suo lavoro ancor prima che sul pubblico dei visitatori.

DEPOT BOIJMANS. CAPACITÀ DI CAMBIARE LE COSE

Ma la sensazione è che un progetto come quello del Depot potrà essere disruptive e game changer non solo per i curatori del museo. Si tratta di un progetto che lancia sfide al pubblico, per certi versi anche agli artisti, sicuramente le lancia agli altri musei, mette in campo e mescola le carte dei concetti stessi di “stage” e di “backstage”. Cosa è museo? Cosa non lo è? Dove transita il confine? Quali sono le opere realmente “esposte”? Quali invece sono lì in attesa di essere esposte altrove, a Rotterdam o nel mondo? Queste e molte altre domande. Per la prima volta una grande raccolta museale si apre al pubblico grazie a un edificio-deposito realizzato appositamente per conservare le opere (150mila pezzi) e per renderle visibili. Il Depot del Boijmans, progettato dallo studio olandese MVRDV, è stato realizzato perché il grande museo Boijmans Van Beuningen aveva banalmente bisogno di un deposito. Le opere erano tenute nei seminterrati, che si allagavano continuamente e si era dovuto provvedere nei decenni affittando capannoni ben climatizzati in giro per l’hinterland, uno perfino in Belgio. Costosissimi. E lontanissimi: “Ogni volta 40 minuti di macchina per andare a vedere un’opera”, racconta ancora Stocchi, “mentre ora è tutto vicino”. Ora li hanno disdettati tutti, anche se il risparmio sugli affitti passivi di certo non compensa i 95 milioni spesi per il nuovo edificio tra contributi della città e donazioni.

Il sistema di scale nella parte centrale del Boijmans Depot

Il sistema di scale nella parte centrale del Boijmans Depot

BOIJMANS DEPOT. I CONTENUTI

Certo, il Depot poteva costare molto meno. All’inizio infatti l’idea era di realizzarlo in estrema periferia, lungo le tangenziali, anche per aiutare la logistica. La direzione del museo con a capo Sjarel Ex si impuntò per volerlo in pieno centro, a fianco degli spazi storici del Boijmans, rosicchiando un pezzettino di parco, impegnandosi per trovare i soldi in più che sarebbero stati necessari. Oggi, dopo una quindicina d’anni dalle prime idee e dopo un bel po’ di polemiche (i cittadini non hanno molto gradito che si costruisse al posto di un parco pubblico), a Rotterdam c’è una piccola-grande rivoluzione: un classico museo ottocentesco che per la prima volta non solo ha a fianco il suo funzionale storage, ma oltretutto lo rende anche visitabile proponendo un’esperienza unica al proprio pubblico: mettere gli occhi nel dietro le quinte. Il Depot non è infatti solo un deposito di opere: lo possiamo considerare diviso in almeno tre mondi.
In primo luogo, certo, un deposito di opere. Ben fruibile e accuratamente segmentato per materiali e altri criteri. Con un potente lavoro sulla climatizzazione, la sicurezza e la tecnologia (“ciò di cui siamo più orgogliosi? Le porte tagliafuoco”, scherzano dallo studio MVRDV). Si entra nelle gallerie dei quadri in storage indossando rigorosamente un camice bianco protettivo e pulendosi accuratamente le suole delle scarpe. In secondo luogo un hub di laboratori: i luoghi dove i restauratori lavorano ad esempio, dove fanno manutenzione delle opere, dove approfondiscono e studiano qualche dipinto, controllano l’ammalorarsi delle opere su carta. Tutto visitabile, coi professionisti che sono lì e possono risponderti, li vedi al lavoro veramente. Esperienzialità al massimo.
In terzo luogo uno storage a disposizione di privati che hanno oltretutto la possibilità di adoperare il Depot come porto franco con vantaggi fiscali non trascurabili. Che senso ha quest’ultimo elemento? Semplice: avere “in casa” molte collezioni importanti che sarà più facile coinvolgere quando occorrerà qualche prestito per qualche importante mostra. Oltre che rappresentare un piccolo introito aggiuntivo per la non semplice sostenibilità della macchina. Già esiste una grande collezione che ha preso uno spazio in affitto approfittando di tecnologie e know how così ben disponibili al centro città, è quella della KPN, la società telefonica olandese. Anche loro l’hanno resa visitabile e se ti affacci ti fanno scorrere i carrelli per mostrarti le opere.

Visitatori ai depositi del Boijmans Depot

Visitatori ai depositi del Boijmans Depot

BOIJMANS DEPOT. LA VISITA

La visita spazia di piano in piano tra magazzini attrezzatissimi; un sistema piranesiano di scale interne; ascensori che sfrecciano; teche trasparenti sospese nel vuoto zeppe di opere famose; appuntamenti giornalieri del public program; visite guidate e visite individuali mediate dalla app progettata appositamente; laboratori; teche mobili che rivoluzionano ambienti con un pulsante e rack manuali che permettono di visualizzare le opere altrimenti nascoste tirandole fuori su binari; autentiche gallerie espositive tipo normale museo (ce ne sono tre) fino ad arrivare all’ultimo piano di nuovo all’aperto dopo un percorso claustrofobico che lascia poche concessioni all’apertura verso l’esterno. Quando si è in cima finalmente (o purtroppo) si mette la testa fuori da questa specie di metaverso museale. Si respira. E qui c’è il ristorante Renilde del giovane chef Jim de Jong e attorno, a suggerire relax, un boschetto di betulle a tutta circonferenza, autentico spazio pubblico e deck panoramico sulla città, ritorno alla realtà, alberi in vetta nello stesso numero degli alberi sottratti a terra. Anche per avere un argomento da opporre alle proteste dei cittadini che in questo lotto tra il museo e l’ospedale avrebbero voluto solo un parco. “E allora noi il parco lo abbiamo moltiplicato grazie alla superficie specchiante, non solo abbiamo compensato gli alberi tolti portandoli sul tetto, ma abbiamo anche replicato più volte tutta la natura del Museumpark che c’è attorno”, ha spiegato Winy Maas che è la “M” di MRDV. Tutti si affaticano a ripetere che questo “non è un museo”, ma l’attacco a terra dell’edificio è a tutti gli effetti museale: guardaroba, armadietti, bookshop e oggettistica, nessuna differenza con un New Museum di New York o con un Palais de Tokyo di Parigi.

LE MOSTRE AL NIEUWE INSTITUUT

Nei pressi del Depot c’è un’ulteriore opportunità in queste settimane per approfondire il lavoro dello studio MVRDV: una piccola, concentrata mostra sull’archivio di questa importante firma architettonica è allestita nel Nieuwe Instituut, importante realtà di studio più che di esposizione focalizzata su architettura, digital e urbanistica (seguono anche il Padiglione olandese alla Biennale) che costituisce assieme ad altre istituzioni una sorta di ‘museum mile’ del Boijmans District di Rotterdam da oggi ingemmata con il catino specchiante del Depot.

Il nuovo Bkijmans Depot di Rotterdam

Il nuovo Bkijmans Depot di Rotterdam

BOIJMANS DEPOT. NUOVA FRONTIERA DEL COINVOLGIMENTO DEL PUBBLICO

Avrete l’impressione di poter fare tutto con le opere, guardarle, scoprirle, osservarle mentre vengono curate, guardarle spostarsi e fluttuare. No, non potete toccarle, quello ancora no”, scherza Winy Maas. Le opere non si possono toccare, è vero, ma il Depot del Boijmans compie ugualmente un passo ulteriore (o un salto?) nella sfida del coinvolgimento del pubblico. E lo fa con un’enfasi ancor più marcata poiché apre mentre il suo museo-madre è chiuso: il Boijmans infatti è in profondo restauro e riaprirà tra una vita, nel 2028, bisognoso di ritocchi dopo 170 anni di gloriosa storia e quasi 90 nella stessa malandata sede oggi riflessa negli specchi del Depot. La rigenerazione è firmata dello studio Mecanoo mentre la grande bandiera somma dei Paesi d’Europa disegnata sulla piazza retrostante il museo e il Depot è di Rem Koolhaas (che poco più in là ha la sua Kunsthal); come a dire che i più grandi progettisti olandesi sono al lavoro in questo pezzettino di città. In questo intervallo il Depot sarà protagonista assoluto, senza la ‘concorrenza’ del suo stesso museo, perfino di notte con le proiezioni dell’opera permanente di Pipilotti Rist sugli specchi e sul pavimento esterno, una delle commission del Depot stesso.
Ma tra un po’ di anni, quando lo spazio tradizionale riaprirà, il pubblico avrà di nuovo voglia di entrare in un museo “normale”? O la reputerà ancor più di prima un’esperienza ottocentesca? E le scuole, dovendo scegliere, in quale spazio organizzeranno la gita? E i turisti, tornando a casa, dopo aver visitato il Boijmans e il suo Deposito, cosa si ricorderanno maggiormente? Dove sarà collocata insomma l’asticella del coinvolgimento e dell’interazione sotto la quale il pubblico non manifesta interesse? Cosa dovranno inventarsi i musei tradizionali per star dietro alle sfide lanciate ai nuovi format di museo? Tante domande restano in sospeso e questo è buon segno, intanto venerdì 5 novembre 2021 Sua Maestà il Re d’Olanda inaugura il Depot Boijmans Van Beuningen.

Massimiliano Tonelli

www.boijmans.nl/depot

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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