Ferite aperte, ferite a parte. JR a Firenze e a Roma

Cosa ci dice dell'arte e dei musei l'intervento dello street artist francese JR a Palazzo Strozzi e proprio in queste ore a Roma? L'opinione di Claudio Musso.

Per chi come me è tormentato da anni dall’arte urbana e dai Visual Studies, il progetto di JR per Palazzo Strozzi non poteva passare inosservato. Qui però la questione dirimente non è la valutazione qualitativa dell’opera, dell’artista o dell’intenzione curatoriale: La Ferita, così si intitola l’apparato scenico orchestrato dall’artista francese, diventa semmai il pretesto per una riflessione attorno a come vediamo (ne)i musei. Non è alla struttura che si para sul celeberrimo prospetto bugnato che vogliamo fare riferimento, quanto al fatto che l’interpretazione più diffusa che ne è stata data si concentra sull’accessibilità degli spazi espositivi – i musei, su tutti – in epoca Covid.
Ma se il punto non fosse questo? Se la serrata dei luoghi dell’arte ci portasse a interrogarci sulle modalità di fruizione, anzi, più precisamente di percezione di quelli stessi ambienti? Cantava Diana Est nel 1983 su testo di Enrico Ruggeri: “Fuori dai musei / Nuovi amici miei / Si distruggerà / La civiltà delle banalità” e oggi in effetti il dibattito è scatenato da un artista che dell’Inside Out (letteralmente rovesciare l’interno all’esterno, o “esternalizzare l’arte”, direbbe Paul Virilio) ha fatto persino un marchio registrato.
La battaglia tra il “dentro” e il “fuori” dal museo pare essere quella più avvincente, tanto che basta farsi un giro sui social per imbattersi, senza particolare fatica, in serie di commenti, botta e risposta, quando non veri e propri dissing di appartenenti alle due fazioni. E allora la facciata del museo non è più solo il fronte prospiciente sulla strada dell’edificio che lo ospita, può diventare metafora della soglia che separa appunto gli eventuali visitatori dal contenuto (le opere) attraverso una sottolineatura del contenitore (che nell’etimologia, oltre a “tenere insieme”, comprende il “tenere fermo”, nel senso di raffrenare, o addirittura reprimere).

È giusto chiedere alla Street Art di sopravvivere nei nostri occhi (e non solo) ben oltre la durata di uno sguardo?

Da questa accezione estesa è forse più semplice comprendere perché nell’immaginario comune le pareti dei musei, come di altri luoghi deputati a “custodire” la cultura, siano visualizzate come sbarre di una gabbia all’interno della quale sono stati rinchiusi animali selvaggi e pericolosi. In chiave retorica ne consegue che i musei vengano spesso descritti come luoghi “inaccessibili”, spazi elitari di cui il pubblico si doveva “riappropriare” mentre, con la stessa enfasi, la Street Art o l’arte urbana sia indicata come libera, priva di barriere o di filtri.
Queste due visioni, già deleterie per i soggetti a cui si riferiscono, sono state poi raccontate come se avessero un rapporto di causa-effetto. È possibile guardare al museo aspettandosi l’immediatezza dell’arte nello spazio urbano? È giusto chiedere alla Street Art di sopravvivere nei nostri occhi (e non solo) ben oltre la durata di uno sguardo? “Tutto ormai è monumentaneo”, chiosava Alessandro Bergonzoni con un geniale neologismo, ormai più di un anno fa.

– Claudio Musso

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #59-60

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Claudio Musso

Claudio Musso

Critico d'arte e curatore indipendente, la sua attività di ricerca pone particolare attenzione al rapporto tra arte visiva, linguaggio e comunicazione, all'arte urbana e alle nuove tecnologie nel panorama artistico. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia e Storia…

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