La fotografia di Vivian Maier a Conegliano

Scoperti solo nel 2007, gli scatti della fotografa-bambinaia Vivian Maier sono diventati emblema della street photography del secolo scorso. Ora a ospitarli è il Palazzo Sarcinelli di Conegliano, in provincia di Treviso

Vivian Maier (New York, 1926 – Chicago, 2009), quando era in vita, non ha mai esibito la sua produzione. Non ha mai presentato la sua impressionante mole di lavoro costituita da oltre centoventimila negativi, film in super 8 e 16 mm, varie registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppati. Non ha mai frequentato circoli fotografici o firmato immagini davanti ad ammiratori osannanti. La sua esistenza trascorre nel più assoluto anonimato, forse è questo che affascina il grande pubblico. I suoi scatti, che ormai fanno parte della cultura visiva generale, l’hanno resa un’esponente di spicco della street photography, accomunandola ai grandi maestri francesi come Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson. Dal 2007, anno della sua scoperta, le mostre a lei dedicate sono state parecchie. L’ultima in ordine di tempo è allestita al Palazzo Sarcinelli di Conegliano, in provincia di Treviso.

Vivian Maier, New York, ottobre 1953. Credits Estate of Vivian Maier. Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Vivian Maier, New York, ottobre 1953. Credits Estate of Vivian Maier. Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

GLI AUTORITRATTI DI VIVIAN MAIER

Nel suo lavoro ci sono tematiche ricorrenti: scene di strada, ritratti di sconosciuti, bambini nella culla, ragazzine che giocano per strada, primi piani di gambe, ma principalmente autoritratti. E su di loro si concentra l’attenzione dei curatori della rassegna veneta. Ne sono stati selezionati novantatré, una decina a colori, dislocati in dieci sale. Ma non sono autoritratti da studio: Maier li utilizza per condurre chi guarda tra le vie di New York e Chicago. Si è fotografata in modo compulsivo, guardandosi sempre frontalmente, la Rolleiflex al collo, attenta a catturare il proprio riflesso nelle vetrine, lasciando tracce di sé in visioni frastagliate che si ripetono per effetti specchianti. Riflessi originati anche dalle cromature di uno pneumatico o dal retro di un luccicante specchietto retrovisore, dalle pozzanghere d’acqua.
Un altro aspetto da non trascurare negli autoritratti è l’ombra, elemento inconfondibile in grado di rendere presente ciò che è assente. Quando fotografa se stessa Maier sfugge al nostro sguardo, come se non ci fossimo. I suoi occhi si situano più in alto dei nostri, osservano con il naso per aria qualcosa che non vediamo e che appartiene solo a lei, al suo essere in quell’istante. Il suo sguardo ci passa, letteralmente, sopra la testa, come se l’interlocutore occasionale fosse un ostacolo da superare. Sono questi i presupposti che scandiscono il percorso espositivo in tre sezioni.

Vivian Maier, Self-portrait, New York, 1953. Credits Estate of Vivian Maier. Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Vivian Maier, Self-portrait, New York, 1953. Credits Estate of Vivian Maier. Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

LE SEZIONI DELLA MOSTRA DI VIVIAN MAIER A CONEGLIANO

Il nome della prima sezione è Shadow. L’ombra, da qualcuno identificata con l’inconscio freudiano, dovrebbe fare riferimento a ciò che la proietta, Maier invece sembra considerarla un tratto estraneo, che tuttavia non può fare a meno di rappresentarla. Come in quella foto dove spicca la sua ombra intera, di spalle, mentre riprende, posata a terra, una borsa aperta da cui sbuca un numero della rivista Time. Frammenti di realtà che raccontano frammenti di vita di cui spesso non ci si accorge.
Nella seconda sezione, Reflection, la fotografa elabora modalità di auto raffigurazione che la collocano sul crinale tra visibile/invisibile. Appanna i propri lineamenti rendendoli sfocati, il suo volto tende a sottarsi, ma la sua presenza è tangibile nel momento in cui l’immagine viene imprigionata. In una appare il riflesso di Maier nel vetro di una macchina leggermente abbassato, con un gatto che sembra non accettare la propria condizione: sporge la testa per respirare mentre mostra i lunghissimi baffi e i denti aguzzi.
Protagonista della terza sezione è Mirror, lo specchio, lo strumento che permette a Maier di confrontarsi con il proprio sguardo che si ripercuote su altri specchi, senza limiti. Come nella foto di quella piccola stanza con i cuscini sistemati alla meno peggio e gli abiti buttati alla rinfusa. E lei che si vede riflessa in uno specchio con la testa abbassata, pronta allo scatto.

Fausto Politino

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Fausto Politino

Fausto Politino

Laureato in Filosofia con una tesi sul pensiero di Sartre. Abilitato in Storia e Filosofia, già docente di ruolo nella secondaria di primo grado, ha superato un concorso nazionale per dirigente scolastico. Interessato alla ricerca pedagogico-didattica, ha contribuito alla diffusione…

Scopri di più