Una storia della fotografia dal punto di vista delle donne

Parola a Marianne Thiery, fondatrice della casa editrice parigina Textuel, che ha dato alle stampe un volume nel quale si ripercorre la storia della fotografia dal punto di vista femminile.

Non poteva che essere una casa editrice creata da una donna e specializzata in fotografia a pubblicare una storia mondiale della fotografia declinata interamente e sistematicamente al femminile. Marianne Thiery ha fondato Textuel nel 1995 a Parigi, una casa editrice pluridisciplinare che coniuga scienze umane, arte contemporanea, fotografia, musica ed è attenta alle tematiche femministe e ai gender studies. Dal 2009 Actes Sud ha comperato una parte del capitale della società ma il resto è rimasto a Marianne, dunque Acte Sud è diventato éeditore associato e distributore dei libri di Textuel, ma ha lasciato l’autonomia e le scelte editoriali all’équipe di Textuel. Marianne nel frattempo si è circondata di giovani collaboratrici.

Anna Atkins, Alaria esculenta, tratta da Photographs of British Algae. Cyanotype Impressions, 1849 50 © The New York Public Library

Anna Atkins, Alaria esculenta, tratta da Photographs of British Algae. Cyanotype Impressions, 1849 50 © The New York Public Library

INTERVISTA A MARIANNE THIERY

Quale è stato il progetto più coraggioso e ambizioso della tua casa editrice nel periodo così incerto del lockdown, quando in Francia le librerie fra tante polemiche sono rimaste chiuse a lungo?
Sicuramente Une histoire mondiale des femmes photographes: visti i costi del progetto, ho preso un enorme rischio per una casa editrice delle dimensioni della nostra, ma il libro e stato un bel successo. È frutto del lavoro di una équipe di ricerca formata interamente da donne e diretta da Marie Robert e Luce Lebart, che presentano i lavori di 300 fotografe provenienti da tutto il mondo. Dalle pioniere alle contemporanee, il libro offre visibilità a molte artiste che hanno poco spazio nelle storie della fotografia tradizionali.

Ci fai qualche esempio?
Julia Margaret Cameron fu la prima donna a essere ammessa alla Royal Photographic Society. In seguito a una depressione riceve in dono da sua figlia una fotocamera e Julia Margaret, all’età di 48 anni, inizia a fotografare trasformando un vecchio pollaio in una camera oscura e realizzando opere che presto suscitano l’attenzione, l’interesse e l’invidia dell’alta società. Le accuse di approssimazione tecnica sanno tanto di pregiudizio culturale verso le donne fotografe e verso un approccio alla fotografia fuori dai canoni di riproduzione oggettiva della realtà. I suoi soggetti sono noti personaggi conosciuti nei salotti letterari frequentati sin dalla giovinezza. Dagli albori della fotografia anche le innovazioni tecniche sono il risultato del genio femminile, si pensi ad Anna Atkins, la prima fotografa a utilizzare la cianotipia per realizzare il suo erbario. La sua catalogazione delle alghe della costa britannica ottenuta grazie alla cianotipia nel 1843 divenne un libro, British Algae: Cyanotype Impressions. Oggi lo potremmo definire il primo libro d’artista autoprodotto, da molti considerato il primo libro fotografico della storia perché antecedente a The Pencil of Nature di Fox Talbot.

Elisabeth Hase, Senza titolo (Donna sotto la doccia), 1932 33 ca. © Estate of Elisabeth Hase. Courtesy Robert Mann Gallery

Elisabeth Hase, Senza titolo (Donna sotto la doccia), 1932 33 ca. © Estate of Elisabeth Hase. Courtesy Robert Mann Gallery

UN VOLUME NON EUROCENTRICO

Quali sono le caratteristiche del volume?
Il volume vuole essere una storia mondiale e non eurocentrica, può essere letto anche cronologicamente ripercorrendo le storie di artiste più o meno note. Oltre alle 450 immagini presentate nelle 504 pagine del libro, sono presenti le schede biografiche delle fotografe compilate da 160 redattrici del gruppo di ricerca interamente femminile.

Quali sono i benefici di un approccio non eurocentrico?
Una storia non eurocentrica ci permette ad esempio di scoprire le figure di Elizabeth Pulman, la prima fotografa professionista della Nuova Zelanda. Tra il 1871 e il 1900 gestisce uno studio ad Auckland, dove scatterà numerosi ritratti degli aborigeni Maori. O gli scatti di Marie-Lydie Bonfils, che lavorò nello studio del marito, nella nota Maison Bonfils a Beirut, senza veramente firmare le sue opere. La palestinese Karimeh Abbud è un altro caso esemplare: nata in Palestina, Abbud fu scoperta solo dopo la sua morte, nel 1940. Eppure già nel 1930 apre il suo proprio studio e firma le sue immagini con uno stampino, dove si legge: Karimeh Abbud ‒ donna fotografo. Il suo scatto Pozzo di Maria è oggi “un documento storico di questo sito cattolico sacro; vi si vede la fontana della Vergine nel 1925, utilizzata dagli abitanti del villaggio palestinese”, come scrive nella sua scheda biografica Kristen Gresh, curatrice del Museum of Fine Arts di Boston.

Chi sono le due curatrici del volume?
Luce Lebart, che ha pubblicato precedentemente Les grands photographes du XXe siècle, e Marie Robert, curatrice incaricata del dipartimento di fotografie al Musée d’Orsay. La sua esposizione Qui a peur des femmes photographes? 1839-1945, presentata al pubblico nel 2015, è stata una vera rivelazione. Marie Robert ha sulla fotografia uno sguardo da storica interessata soprattutto alle scienze sociali. Ha insegnato all’École du Louvre una storia della fotografia dal punto di vista del gender. Oggi lavora a un progetto che integri gli esordi del cinema nel percorso permanente del Musée d’Orsay.

Luce Lebart & Marie Robert (a cura di) ‒ Une Histoire mondiale des femmes photographes (Editions Textuel, Parigi 2020) © Pushpamala N.

Luce Lebart & Marie Robert (a cura di) ‒ Une Histoire mondiale des femmes photographes (Editions Textuel, Parigi 2020) © Pushpamala N.

DONNE E FOTOGRAFIA

La storia della fotografia si intreccia con quella delle donne fin dalla sua nascita. Come si spiega la minore visibilità delle donne nelle storie della fotografia tradizionali?
Il problema al centro del volume è già contenuto nel titolo dell’introduzione di Marie Robert, Una lunga tradizione di discredito: il libro è una sorta di riscatto dalle ingiustizie della storia scritta dagli uomini occidentali. I primi manuali di storia della fotografia sono stati scritti da due donne a cavallo tra le due guerre. Uno, A hundred years of photography: 1839-1939, lo ha firmato la tedesca Lucia Schultz; l’altro, La photographie en France au dix-neuvieme siècle, la giovane amica di Walter Benjamin, la fotografa ebrea tedesca Gisèle Freund, eppure lo spazio dato alle donne fotografe nelle storie della fotografia tradizionali, nei premi ecc. è minore. Molte delle artiste fotografe hanno sperimentato, sia nella tecnica sia nello stile, a volte anticipando il lavoro dei colleghi uomini. Ma spesso questo merito non è stato riconosciuto, né economicamente né professionalmente. A volte è stato persino attribuito alla persona o al compagno con cui lavoravano, come nel caso di Lucia Schultz, moglie del fotografo e pittore ungherese László Moholy-Nagy, o di Gerda Taro, che, oltre a essere la compagna di Robert Capa, è stata la prima fotoreporter uccisa al fronte, durante la guerra civile spagnola, nel 1937. Lee Miller, invece, è stata considerata allieva e modella di Man Ray prima di vedere riconosciuto il suo talento. Ma nel nostro progetto si dà spazio anche a personaggi completamente dimenticati, come Elena Lukinichna Mrozovskaia, Natalia Baquedano-Hurtado, Annapurna Dutta e Tsuneko Sasamoto . Anche la vicenda di Vivian Maier illustra bene come molte artiste fotografe siano state prima dimenticate poi riscoperte.

La copertina sembra la risposta femminista alla frase ironica e celebre di Godard:Tout ce dont vous avez besoin pour faire un film, cest dune fille et dun flingue”.
In questo caso l’immagine è quella provocatoria dell’artista contemporanea e performer indiana Pushpamala N., che si mette in scena con un abito dorato e oppone all’obiettivo la canna della pistola. Anche la scelta della copertina non è dettata solo da ragioni estetiche, ma dalla volontà di presentare artiste non occidentali e sottolineare il tema del female gaze, che è soprattutto uno strumento nella lotta per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne. È una ribellione, una risposta, un affronto al patriarcato che affligge i nostri schermi.

Questi sono i nomi delle artiste italiane presentate: la leggendaria Contessa di Castiglione, Tina Modotti, Wanda Wulz, Lisetta Carmi e Letizia Battaglia. Non sono poche, all’interno di un panorama planetario, ma non può sfuggire la considerazione che la più giovane del gruppo è nata nel 1935.
Abbiamo dovuto fare delle scelte e, per poter inserire un numero di fotografe non occidentali proporzionato, abbiamo dovuto ridurre ed escluderne molte occidentali. Ancora tanto lavoro resta da fare, ma il taglio del volume ha riscosso un vero successo.

Elisabetta Villari

Luce Lebart & Marie Robert (a cura di) ‒ Une Histoire mondiale des femmes photographes
Editions Textuel, Parigi 2020
Pagg. 504, € 69
ISBN 9782845978430
www.editionstextuel.com

ACQUISTA QUI il libro Une Histoire mondiale des femmes photographes

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Elisabetta Villari

Elisabetta Villari

Elisabetta Villari, docente all’Università di Genova (DIRAAS), dove insegna Antropologia dell’immagine del mondo greco e antropologia del mondo antico. È stata invitata all’ENS a Parigi e all’UCSC in California come visiting professor. Ha tenuto seminari anche all’EPHE, all’INHA a Parigi e all’EHESS…

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