Letizia Battaglia e le sue bambine. Il caso Lamborghini a Palermo

Clamorosa sollevazione sui social contro le fotografie che la grande fotografa palermitana aveva scattato per una campagna Lamborghini. Tra accuse di sessismo e difese a oltranza, la polemica esplode. E il Sindaco di Palermo chiede il ritiro delle immagini. Cosa non ha funzionato?

Era già accaduto con il colosso automobilistico Audi, la scorsa estate. Un pandemonio era esploso in rete, dopo il lancio di uno spot dedicato all’ultima auto sportiva dell’azienda tedesca. Protagonista una bambina bionda di circa quattro anni, appoggiata sul muso di una fiammante RS4: un vestitino a fiori, un paio di sneaker, occhiali da sole sul nasino e una banana in mano. Immagine sessista, allusiva – dissero i più – che riproponeva con un’inquietante accezione pedofila il vecchio cliché “donne e motori” (rafforzata da quel frutto ironicamente fallico): nel sistema di simboli patriarcale la potenza delle macchine è tutt’uno col potere del maschio e con la virilità ipertrofica, ovvero col dominio della femmina. Dalle sexy signorine del car washing, alle avvenenti “ombrelline” delle gare sportive, passando per le tante modelle immortalate vicino a un’auto da pubblicizzare, si tratta di un mondo ben codificato, ammuffito ancorché ancora vivo, certamente impresso nell’immaginario collettivo.
E però, nel tempo, si evolve la consapevolezza diffusa, insieme al piano dei valori, del linguaggio, della comunicazione: dinanzi all’indignazione popolare Audi dovette scusarsi e ritirare il suo spot. Moralismo? Eccesso di malizia? L’avanzata inarrestabile del politically correct? A dirla tutta, qualcosa di disturbante in quell’immagine c’era. Ma soprattutto mancava un messaggio chiaro che rendesse comprensibile – e dunque accettabile -la presenza della ragazzina. Difficile che gli esperti a lavoro per il brand non avessero intuito il timbro sottilmente perverso di certi accostamenti. Speravano, più probabilmente, che agissero in maniera sotterranea, quasi subliminale. E invece la soglia della consapevolezza e della sensibilità, rispetto a certi temi, oggi è mutata.

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LE BAMBINE DI LETIZIA

Il caso scoppia di nuovo, del tutto simile, a distanza di pochi mesi. Stavolta siamo a Palermo, il missile su quattro ruote è una Lamborghini gialla e invece di uno spot c’è una sequenza di fotografie, diffuse sul web per il progetto“With Italy, For Italy”: 21 fotografi di fama internazionale raccontano le bellezze paesaggistiche d’Italia, includendovi altrettanti modelli della celebre casa di automobili deluxe (italiana di origini, oggi nelle mani di Audi: errare è umano, verrebbe da dire, perseverare è marketing diabolico).
Per la tappa siciliana Lamborghini sceglie Letizia Battaglia. Chi meglio di lei? Icona di una Palermo raccontata fin dagli Anni ‘80 con occhio spietato,  pieno di tenerezza, di verità, di passione, di violenza e di seduzione: dalle intense foto di mafia, che la resero celebre nel periodo del quotidiano L’Ora, a quelle scattate fra i quartieri poveri della città; dall’attivismo sociale agli scatti con i pazienti dell’ex ospedale psichiatrico, e poi i colletti bianchi, i tribunali, gli arresti, gli uomini delle istituzioni; e i piccoli che giocano in strada, e le donne e gli uomini che incarnano l’amore, la miseria, il piacere, l’intreccio consueto del romanzo familiare.
E poi le bambine. Un soggetto sempre indagato e accarezzato, tessendo la più intima cronaca urbana: nelle bambine di Letizia, disegnate da un bianco e nero qui dolce, lì drammatico, la forza visiva aveva il peso di una disarmante verità, racchiusa nei volti minuti, nelle indocili intelligenze, negli occhi impauriti o fiammeggianti, nei sorrisi monelli, nell’ammiccare giocoso e in una forma di magnetismo puro, infantile, come puro e scandalosamente adulto era il dolore.
E c’era, in questo tornare e ritornare sul tema, l’ostinata ricerca di un fuoco perenne nel proprio sguardo di reporter: un candore e un’autenticità da custodire, nonostante l’inferno visto in faccia, tra il crimine quotidiano e gli omicidi di Stato.

Letizia Battaglia, La bambina con il pallone, Quartiere La Cala, 1980, Palermo © Letizia Battaglia

Letizia Battaglia, La bambina con il pallone, Quartiere La Cala, 1980, Palermo © Letizia Battaglia

Oggi la Palermo di Letizia Battaglia, griffata Lamborghini, ha il volto di una bambina dalla pelle diafana e le lunghe chiome color tiziano, più normanna che araba, più stranita e straniata che in sintonia col genius loci. Sguardo languido e un primo piano stretto, che lascia sfocare l’automobile sullo sfondo, alla sua sinistra: stonata la corrispondenza secca tra l’espressione ingenua e un poco vacua di lei, nell’assenza di empatia con l’obiettivo, e le linee affusolate del bolide giallo. Sono accanto, perché?
Un’altra giovane modella, con la sua preadolescenza impacciata, posa davanti all’oggetto cult in diverse situazioni: top corto e micro short, seduta al centro di una piazza storica, oppure di spalle, in costume da bagno, su una panchina in riva al mare; o ancora ritta in mezzo al traffico, abbracciata ad un’amica. Capelli biondi al vento, fisici flessuosi, sguardi vagamente complici, che appaiono però disorientati: piccole testimonial spaesate ed imbronciate, finite lì per effetto di una casualità senza chiave d’accesso e di lettura.
Forzato, sbiadito il campo dei segni e delle sottese narrazioni. Come si rivela il marchio Lamborghini attraverso questi scatti? E come si inerisce Palermo nel racconto?  La “città-bambina”, che si prefiggevano di rappresentare, è un luogo che “esprime il sogno”, ha dichiarato Battaglia, lo stesso suo sogno di eterna fanciulla, “che vuole un mondo sincero e rispettoso”. Una retorica onesta, che qui non trova adeguata forma né riscatto.

Letizia Battaglia per Lamborghini, campagna With Italy, 2020

Letizia Battaglia per Lamborghini, campagna With Italy, For Italy, 2020

ASPRE POLEMICHE E OPPOSTE FAZIONI

Ma c’è un elemento che pare non aver lasciato dubbi. La faccenda della componente erotica canalizza l’attenzione e la polemica esplode in un lampo. Sembra ancora l’odioso, obsoleto, scontato binomio tra donne e motori, per di più utilizzando delle minorenni. Non era nell’intenzione dell’autrice, di questo ne abbiamo certezza. Ma la sottovalutazione dello stereotipo, o magari l’incapacità di ribaltarlo, di trasporlo, di farne altro con convinzione, hanno generato l’equivoco. Con tutta l’ingenuità di chi, evidentemente, s’è lasciata condurre fin dentro un progetto insidioso, segnato da feroci logiche d’impresa e da una comunicazione imponente, amplificata.
La maggior parte dei commentatori reagisce male, molti trascendono nell’insulto, una gara al giudizio e all’accusa che nei confronti di una professionista con molti anni di militanza, di successi e di rigore, diventa ingiusta stortura. Ma non è solo la più greve vox populi a rivoltarsi contro Lamborghini e la sua musa palermitana. Tante le critiche misurate, articolate, moderate, nella necessità di alimentare un dibattito pubblico intorno alle immagini e al loro impatto sul mondo contemporaneo, proprio in una fase storica in cui di arte nessuno ragiona, mentre la critica stessa si sfila, per convenienza, per incapacità, per quieto vivere, per noia.
E invece, che di tutto questo si parli è un bene. Ed è un bene che si mettano in discussione non solo cliché negativi, non solo significati nascosti e possibili interpretazioni, ma anche maestri, riferimenti autorevoli, artisti che contano, figure di potere. Un fatto sano, civile. Che per certuni diventa lesa maestà, insubordinazione: nell’appassionata polarizzazione dello scontro sul caso Lamborghini, la fazione “pro” ha protetto l’artista sotto un mantello d’intangibilità, che con il rispetto umano e la stima non ha nulla a che vedere. Chiunque abbia osato muovere una critica, pur quieta e argomentata, è diventato un “nano” dinanzi alla gigantessa, un “poveretto” al cospetto dell’intoccabile, un “analfabeta funzionale”, un “borghesuccio” spaventato dall’audacia creativa. Insomma, plateali forme di piaggeria, in qualche caso oneste manifestazioni d’affetto, dimenticando che l’infallibilità non è cosa umana e divina nemmeno. Riflettere sulle immagini è invece un esercizio fecondo. E là dove il dubbio del fallimento chiama a una meditazione suppletiva, siamo dinanzi a un’occasione. Avercene.

Letizia Battaglia per Lamborghini campagna With Italy 2020 4 1 Letizia Battaglia e le sue bambine. Il caso Lamborghini a Palermo

Letizia Battaglia per Lamborghini, campagna With Italy, 2020

UNA CAMPAGNA NON RIUSCITA

Pare sia stata quindi la questione morale a far sobbalzare esperti e profani, smaliziati e conservatori. Perché? Il tema dell’infanzia per le moderne società occidentali è sacro, di una delicatezza estrema. E l’accostamento fra erotismo e fanciullezza muove corde profonde, pericolose. Eppure di dissacrazioni e di provocazioni ne abbiamo digerite in quantità, fra arte, cinema, letteratura. Siamo davvero diventati tutti bacchettoni?
Ora, non è possibile affrontare il tema senza considerare un fatto: per quanto Battaglia sia un’illustre fotografa, non siamo qui dinanzi a un’opera pura, né a un documento, ma a una campagna di comunicazione pubblicitaria, se pur confezionata in una lodevole forma culturale. Il messaggio passa per altri canali, fuori da spazi espositivi e luoghi connotati; e cambiano l’identità, l’aspettativa e la predisposizione d’animo del fruitore; diversa è l’aura, così come l’approccio dell’autore, e ancora gli obiettivi, le strategie, i processi di formalizzazione.
Una pubblicità, nell’ambito del target individuato, punta a un consenso ampio – già l’opera d’arte non è detto che sia interessata al consenso, anzi, spesso ha cercato il contrario – o comunque cerca una reazione capace nel tempo di trasformare l’utente casuale e distratto in assiduo consumatore (di messaggi, di modelli, di merci, etc.).
Se una campagna non funziona, perché genera disagio, respingimento, fastidio, senza arrivare a determinare di contro una qualche fruttuosa rottura degli schemi, ecco che a rimetterci sarà l’azienda stessa, in termini di perdita di prestigio o persino di fatturato: diversi casi insegnano come sia possibile elaborare strategie vincenti di shockvertising  sulla base di studi di marketing con obiettivi  a lungo termine e strumenti applicativi a medio e breve termine, e poi analisi del target, creatività sottile, ironia, un calcolo sostanziale del rischio, partendo da un’idea chiara, ampia e definita dell’identità del brand e della narrazione da costruire. Non è roba semplice, davvero.

Letizia Battaglia per Lamborghini, campagna With Italy, 2020

Letizia Battaglia per Lamborghini, campagna With Italy, For Italy, 2020

E il caro, vecchio “purché se ne parli”? In generale non è uno stratagemma da prendere in considerazione. La reputazione di un marchio è un valore sostanziale, da coltivare con estrema cura, lavorando su fronti diversificati.
Nemmeno lo scopo della campagna Lamborghini, che era quello di realizzare un diario di viaggio attraverso il Paese – rafforzando l’originaria italianità del brand e la sua vocazione al bello, attribuendogli una connotazione colta – ha qui il suo compimento: Palermo, nelle foto di Letizia Battaglia, si vede poco e niente. La relazione tra le fanciulle, la squillante “Aventador Svj” e la città da celebrare, sembra essere saltata. Non si capisce dove sia il nodo concettuale del progetto e intorno a cosa ruoti la comunicazione, a parte quel giallo che fagocita il campo visivo, nonostante il dichiarato intento di lasciare sullo sfondo l’automobile, come elemento “accessorio”. Non si capisce quale piano si stia cercando di stimolare, tra l’affabulazione, l’emozione, la memoria o il ragionamento. Le bambine sembrano piazzate sul set senza l’avallo di una storia, di un claim folgorante, di un senso che corrisponda a una potenza iconografica adeguata.
Senza dimenticare che il tipo di automobile ha, in questo gioco, un ruolo determinante. Con una Fiat 500 d’epoca il risultato sarebbe stato chiaramente un altro. Qui siamo dinanzi a una macchina sportiva, lussuosa, con prestazioni altissime, e a un marchio che rivendica il suo mix di “dinamismo, raffinatezza e aggressività”.  La “Aventador” è uno “squalo”, pensato per divorare i chilometri e “dominare” la strada. Possibile che si ignori del tutto l’aspetto semiotico del discorso, costruendo intorno al prodotto delle immagini a prescindere e a caso?
Una campagna confusa è una campagna fallace. Tanto più se lascia spazio ad un’ambiguità morale, che – in assenza di una forza estetica adeguata – risulterà per la massa l’unico elemento tangibile, inevitabilmente respingente.

Balthus, The Victim, 1946

Balthus, The Victim, 1946

L’ARTE DELLO SCANDALO

L’arte, infine, è un’altra cosa. Ha altre finalità e altri terreni di conflitto, di sfida, di ricerca, di diffusione. Le fotografie di Letizia Battaglia per Lamborghini galleggiano in un limbo strano. Scatti non significativi (può accadere che anche un grande artista produca cose minori) rimangono irrisolti, indefiniti: non funzionano a dovere. Svogliati, forzati, magari non sostenuti da una forte motivazione, a differenza di centinaia di scatti dell’autrice questi parlano una lingua depotenziata, scegliendo un po’ il gioco del “patinato”, un po’ quello della cronaca pop adolescenziale. Senza trovare la quadra.
Se stiamo sul terreno specifico dell’estetica e dell’arte – assodato che in tema di linguaggi, di luoghi comuni e di sensibilità collettiva una campagna pubblicitaria deve muoversi con estrema attenzione, secondo parametri propri – va da sé che non è certo lo scandalo erotico il tema. Se avessero spostato qualcosa, se avessero realmente destabilizzato, se avessero operato uno scardinamento visivo e concettuale, queste foto sarebbero state in qualche maniera metabolizzate. Avrebbero trovato, al netto delle inevitabili polemiche, una propria dimensione. Il punto è che questo non accade.
Non è dunque il perbenismo il problema. Non è il moralismo a buon mercato. Non ci si siamo scandalizzati dinanzi alle pagine di Sade, al cinema di Pasolini, al teatro di Genet, o alle tele di Balthus, con le sue ragazzine restituite in punta di erotismo, di inquietudine, di poesia arcaica e di severità pittorica. Ne siamo stati turbati, ma abbiamo accettato la sfida di un’arte capace di problematizzare, di spingere forme e contenuti oltre la linea del consenso, dentro la complessità di sistemi di senso e di linguaggio. Tornando ai bambini e alla fotografia più recente, viene in mente ad esempio quell’incantevole scatto di Turi Rapisarda, una piccola Maya desnuda, risolta in un bianco e nero carezzevole, stampata in un formato importante, colma di un’indefinibile tensione umana: nel suo aggraziato, palese riferimento a Lewis Carrol, un’immagine in equilibrio tra vertiginosa tenerezza e inspiegabile seduzione. Lo scandalo, nel perimetro infinitamente possibile dell’arte, trova in questi casi una sua ragione.

Turi Rapisarda, Bellissima, 2003, stampa digitale su carta cotone da negativo, 120 x 180 cm, esemplare unico

Turi Rapisarda, Bellissima, 2003, stampa digitale su carta cotone da negativo, 120 x 180 cm, esemplare unico – collezione privata

Non risolte come opere, né come strumenti di comunicazione, vittime di un’ambiguità involontaria (che è già un errore), le fotografie di Battaglia per Lamborghini non sono allora criticabili per l’eventuale tasso di provocazione e per l’uso di stereotipi culturali, ma per l’incapacità di averne fatto un discorso profondo, radicale.Probabilmente, all’intuito selvatico e all’intelligenza emotiva di una grande fotografa come lei, un lavoro commissionato da un’azienda automobilistica andava stretto. Probabilmente gli scatti scelti dalla committenza non saranno stati i migliori: non facile, in casi come questi, il rapporto tra chi paga e chi crea, pur nella volontà di fare comunicazione attraverso progetti culturali.
E nel mentre, in mezzo a questa polemica esplosa a 40 anni dai morti ammazzati, dal sangue sull’asfalto e dalle connivenze d’apparato, Palermo non è la più stessa. Sono cambiati i tempi, gli scenari, i volti, gli scorci, le occasioni: una città per turisti, di nuovi business e di parvenze internazionali, di una mafia strisciante che non ha più volto né nome, che non lancia pallottole in strada e che non fa rumore. Una città dove i matti non vagano tra i viali dell’ex manicomio, dove i quartieri senza scuole e senza fognature sono un ricordo non troppo lontano; una città che attrae collezionisti in vacanza, che cresce, e che svilisce, che perde di umanità e si acconcia come un set pubblicitario: non più teatro di drammaturgie esasperate, tra ingenuità, violenza e disperazione. Che ci fa, Letizia Battaglia, in questa giostra? Cosa avrebbe potuto tirarne fuori, a 85  anni, con il suo sogno retrò, idealista, di combattente e di bambina?
Ridicole in ogni caso le accuse di essersi svenduta per soldi a un grosso marchio – una fortuna, quando capita, purché si mantengano identità e rigore – e sbagliata la mossa del Sindaco Orlando, che ha ordinato la sospensione della campagna, per cui aveva dato i permessi di ripresa: un gesto eccessivo, quasi populista, che arrivando dall’autorità politica orienta di nuovo la questione sul fattore “morale” (stava a Lamborghini, casomai, valutarne gli effetti sul suo target e decidere se ritirare, sulla base di valutazioni tutte aziendali). Il tema resta invece legato al senso e alla qualità. Un progetto forte può permettersi di disturbare, di spostare l’ordine delle cose, di maneggiare luoghi comuni, di toccare corde controverse, eventualmente peccaminose. La potenza non è un optional. Anzi, è un lasciapassare. E non c’è potere, autorità o polemica popolare che possa zittirne l’eco, anche dopo la censura e la sparizione.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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