Tra sogno e radici. L’Egitto di Youssef Nabil a Venezia

In parallelo alla mostra incentrata su Henri Cartier-Bresson, Palazzo Grassi ospita la monografica dedicata alle fotografie di Youssef Nabil. Istantanee colorate a mano da un Egitto che prende forma nel labile confine tra realtà e fantasia, nostalgia e senso della realtà.

Abbandonare la propria terra significa tranciare di netto radici involontarie, che parlano di generazioni, famiglia, memoria. Lo sa bene Youssef Nabil (Il Cairo, 1972), costretto a lasciare l’Egitto per inseguire i propri sogni, nel solco di una vena artistica che non avrebbe trovato linfa nel Paese d’origine. Eppure quella terra buttata alle spalle conserva il sapore di un luogo nel quale fare ritorno, almeno con l’immaginazione, sovrapponendo al limite delle tradizioni la libertà suggerita dal colore, da scatti “proibiti”, dove cinema, pittura e fotografia si tendono la mano, in uno sforzo estetico, e concettuale, frutto di un taglio quasi chirurgico rispetto ai propri natali.

YOUSSEF NABIL E L’EGITTO

L’Egitto evocato da Nabil nelle immagini esposte a Palazzo Grassi, in contemporanea alla mostra che celebra Henri Cartier-Bresson, ha tonalità sgargianti, dipinte a mano dall’artista su stampe alla gelatina d’argento, in bilico fra una tecnica antica e un presente fuori sincrono, dove Nabil non riesce a guadagnare spazio e identità. Eppure il rimando all’Egitto non si inabissa, ma spicca, deciso e al tempo stesso sognante, nelle istantanee che ritraggono la cantante Natacha Atlas provocatoriamente intenta a fumare hashish o l’intreccio di gambe fra due uomini in Deux Djellabas del 2007. Un Egitto lontano, che trova nel cinema la sua ragione d’essere e nella realtà il suo contrario. “Una delle cose che mi faceva felice in Egitto era il cinema”, afferma Nabil nella conversazione con André Aciman riportata in catalogo. “Ho scoperto tutto un mondo grazie al cinema: l’idea che puoi fuggire dalla tua vita e dalla tua storia per due ore o giù di lì e immergerti nell’esistenza di qualcun altro. Poi torni alla realtà perché quella non era che la scoperta di una magia”.

Youssef Nabil, Natacha fume le Narguilé, Cairo 2000. Hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist. Pinault Collection

Youssef Nabil, Natacha fume le Narguilé, Cairo 2000. Hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist. Pinault Collection

LE FOTOGRAFIE COLORATE DI NABIL

È la medesima magia che si respira osservando le opere di Nabil, visioni di un Egitto “altro”, fatto di colori acidi e donne libere, di orientamenti sessuali non stigmatizzati e di un’autonomia artistica non imbrigliabile. Un Egitto nel quale Nabil vorrebbe tornare, dopo essersene allontanato nel 2003, interrompendo radici che percorrono gli scatti realizzati dall’altra parte del mondo, a Los Angeles. Il parossismo tra realtà e fantasia si raggiunge in I Will Go to Paradise, la serie, datata 2008, che conclude l’itinerario espositivo. Vestito con abiti tradizionali, Nabil avanza verso il mare, inabissandosi sotto la luce del tramonto. Ritorno alla terra di origine o definitiva condanna? La risposta sfugge, inseguendo i raggi di un ultimo sole senza stagione.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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