A Milano la mostra del grande artista James Lee Byars

Una retrospettiva traccia un profilo della ricerca di Byars morto nel 1997 e riscoperto successivamente dalla critica americana. La prima grande mostra in Italia, con opere da scoprire e riscoprire

Non è frequente vedere un curatore così felice nel presentare quel che vedremo in una mostra.  È invece accaduto all’HangarBicocca per la mostra di James Lee Byars.  Ma effettivamente Vincente Todolì qui si è superato. L’ esposizione, la prima retrospettiva in Italia dedicata all’artista americano dopo la sua scomparsa,nasce anche dalla relazione di amicizia instauratasi tra Todolí e Byars al quale il curatore ha dedicato in passato prima una mostra a Valencia (1994) e una seguente a Porto (1997). Negli spazi delle Navate l’HangarBicocca è ora raccolta una vasta selezione di opere alcune delle quali mai presentate in precedenza nel nostro paese.  James Lee Byars (Detroit, Michigan, 1932 – Il Cairo, 1997) che è una delle figure più significative dell’arte del secolo scorso.  Ha dato vita a un notevole corpus di opere utilizzando i materiali più diversi: foglia d’oro e cristallo, marmo, velluto, seta, carta, film, dipinti a inchiostro, corrispondenza, persino oggetti baroccheggianti qualsiasi soluzione gli permettesse rimandi simbolici ed estetici tra forma e contenuto.

James Lee Byars, The Chair of Transformation, 189. Installation view at Pirelli Hangar Bicocca, Milano. Photo Agostino Osio
James Lee Byars, The Chair of Transformation, 189. Installation view at Pirelli Hangar Bicocca, Milano. Photo Agostino Osio

Chi era James Lee Byars

Gli americani si sono accorti di lui solo quando è morto nel 1997, anche se da allora hanno prestato attenzione. Ma la sua carriera si è svolta principalmente in Europa dove influenzato un’intera generazione di artisti nell’ambito dell’arte concettuale e performativa.  Un esempio tra i molti possibili. Interpellato sull’argomento il pittore Francesco Lauretta ricorda ammirato la sua tesi finale dal titolo “JLB?? “redatta a conclusione del Corso di Storia dell’Arte tenuto nel 1989 da Antonio Tonato all’Accademia di Venezia.
È forte la tentazione di inserire Byars in questa o quell’altra casella: performance, minimalismo, concettualismo… ma, come per gli artisti europei ai quali si sentiva più vicino (Marcel Broodthaers e Joseph Beuys) la sua stravaganza e la sua misteriosa privacy congiurano per rendere il suo lavoro troppo “prezioso” per alcuni, troppo imperscrutabile per altri. E poi ci sono le sue dichiarate preoccupazioni filosofiche: Grandi Idee, o meglio Grandi Domande: sulla perfezione, la morte e l’eternità, espresse in un linguaggio che abbraccia la storia dell’arte, la scienza e le vetrine dei grandi magazzini.
Con una formazione che spazia dall’arte alla psicologia, dall’astronomia alla filosofia, Byars affascinato dalla cultura giapponese nel 1958 si trasferisce a Kyoto dove vive per quasi 10 anni. Lì si immerge in un’estetica altra che lo porta ad assimilare nel suo fare artistico nella sua arte elementi del teatro Nô e del buddismo Zen ottenendone una visione unica e personale della realtà e delle sue componenti fisiche e spirituali.

James Lee Byars, Red Angel of Marsille, 1993. Installation view at Pirelli Hangar Bicocca, Milano. Photo Agostino Osio
James Lee Byars, Red Angel of Marsille, 1993. Installation view at Pirelli Hangar Bicocca, Milano. Photo Agostino Osio

La mostra retrospettiva all’Hangar Bicocca

Attraverso l’uso di media tra i più differenti, Byars ha dato vita a una riflessione mistico-estetica sui concetti di perfezione e ciclicità e sulla figura umana. Lo ha fatto spesso attraverso il coinvolgimento diretto del pubblico in azioni temporanee o in interventi su larga scala.  Centrale il rapporto con il pubblico: negli anni Sessanta Byars realizza “abiti collettivi” indossabili da più persone contemporaneamente, nel 1967 il New York Times dedica un articolo all’apparizione di 100 persone capitanate dalla studiosa femminista Shere Hite che camminano per New York indossando un’unica sciarpa rossa lunga quasi 1,5 chilometri. 
La mostra che raccoglie la sfida performativa di Byars ha un impianto site specifc come accade del resto a tutte le esposizioni dell’Hangar. In questo caso l’ordine delle opere presenti è di tipo cronologico. All’ingresso della Navate appare The Golden Tower una torre ricoperta di foglia d’oro alta 21,25 metri. Nello spazio del Cubo, al termine del percorso espositivo appaiono le 1000 sfere di vetro rosso di Red Angels of Marseille.

Il progetto non realizzato da Byars

Ricoperta di foglia d’oro The Goden Tower, è una scultura concepita per essere esposta in spazi pubblici nell’idea di Byars doveva essere alta oltre 300 metri.  In realtà la sua prima realizzazione risale al 1990, quando fu presentata al Martin-Gropius-Bau di Berlino. Solo dopo la sua morte – esaudendo un desiderio più volte espresso che Byars non vide mai realizzato – questa scultura concepita dall’artista come strumento per avvicinare cielo e terra, materiale e spirituale, viene nel 2017 installata in Campo san Vito sul Canal Grande. Byars era particolarmente legato a Venezia dove a partire dal 1982 ha vissuto e lavorato in alcuni periodi della sua vita. Certo non stupisce che fosse un visionario e per questo inserisco qui un altro ricordo di Francesco Lauretta a proposito di una passeggiata del 1987 in sua compagnia: “ci fermammo non so più esattamente dove.  Osservando la laguna che si apriva davanti a noi Byars disse: guarda la torre dorata, non è magnifica?  Davanti a noi però non c’era nulla, io però risposi: è splendida!” A chiudere l’intera esposizione arriva come detto al Cubo Red Angel of Marseilles (1993) ottenuto assemblando piccole, perfette, fragili sfere di vetro rosso, ognuna capace di rilasciare una traccia di luce naturale sul pavimento dove sono posate. Lavorando insieme a maestri vetrai Byars ne ha fatto elementi utili per ricreare la figura di un angelo color rubino.

Aldo Premoli



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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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