Resistenza e prigionia. La mostra di Htein Lin a Bolzano

In occasione della nuova mostra di Ar/Ge Kunst su Htein Lin, artista e attivista birmano, abbiamo intervistato Zasha Colah e Francesca Verga, le nuove direttrici artistiche della sede di Bolzano

La prima mostra del 2023 di Ar/Ge Kunst a Bolzano è Die Fliege is a fly in volo, dedicata alla pratica artistica e attivistica di Htein Lin (Myanmar, 1966). Incarcerato per anni dal regime a causa delle sue attività di protesta, Lin ha trasformato la sua prigionia in un’occasione di produzione artistica. Abbiamo intervistato le nuove direttrici artistiche di Ar/Ge Kunst, Francesca Verga e Zasha Colah, per approfondire la mostra e il loro lavoro.

Il Myanmar, luogo in cui Htein Lin è stato prigioniero politico dal 1998 al 2004 e anche l’anno scorso, sembra una realtà molto lontana dalla nostra. In che modo le opere e le vicende personali di Htein Lin dialogano con il presente occidentale?
Il Myanmar è un luogo con una storia stratificata di influenze e colonizzazioni, che hanno lasciato tracce visibili nella politica attuale del Paese. Certamente il contesto di una dittatura militare è ben lontano da una repubblica parlamentare, ma a noi interessava far conoscere il lavoro di un artista che si è trovato a produrre in una cornice di costrizione e limitazione della libertà individuale, in un contesto di impossibilità di costruzione. I lavori di Htein Lin, prodotti in carcere sui tessuti e sulle divise dei prigionieri, sono molto forti, ci parlano di diritti umani, libertà di parola, di immaginazione, e ciò apre uno spazio dove un’azione politica è possibile. Le performance, anch’esse eseguite in carcere per i compagni di prigione, portano con sé una comicità e leggerezza difficili da trovare in determinati contesti di oppressione sistemica.

Htein Lin, detail from the serie 000235

Htein Lin, detail from the serie 000235

Le performance di Htein Lin sono reinterpretate da suoi amici e altri artisti che vi hanno assistito: qual è, per voi, il valore della testimonianza e del reenactment delle performance di Htein Lin?
Nella mostra ripercorriamo parte del lavoro di Htein Lin attraverso le voci di artiste e artisti coinvolti nel suo gruppo di lavoro, amiche e amici che hanno vissuto le stesse esperienze, o che hanno visto le sue performance. Quando abbiamo deciso di riportare parte del suo lavoro performativo, Htein Lin era ancora in carcere (lo è stato tra l’agosto e il novembre 2022 con la moglie Vicky Bowman). Volevamo mettere in mostra quella esperienza performativa e lo abbiamo fatto chiedendo ad altre artiste e artisti di riproporre il suo lavoro, attraverso una loro interpretazione. Per esempio, Amol Patil, che ha visto la performance The Fly di Htein Lin nel 2012 a Kochi, in India, ha presentato questo lavoro attraverso un’installazione sonora, utilizzando dei tubi di scarico di rifiuti domestici in cui ha inserito delle casse acustiche che riproducono un rumore sotterraneo, rimosso, che è quello delle macchine: rumore di macchine tessili, macchine da scrivere, mosche e insetti. Mentre Moe Satt, che è stato in prigione per 100 giorni nel 2021, ha rimesso in scena la stessa performance, vestito con le nuove divise carcerarie, quelle blu che hanno sostituito per evitare che si usassero ancora come tela. Chew Ei Thein ha invece prodotto un video in cui questa personificazione della mosca è stata portata all’estremo, continuando dove Htein Lin ha finito la sua performance. Abbiamo voluto presentare il reenactment attraverso nuove interpretazioni, cercando di superare un’assenza: quella dell’artista quando era in carcere e l’assenza del documento della performance che ci potesse dare una lettura chiara di cosa era stata.

La mostra ha una dimensione multicanale e include una pubblicazione. Potete dirci di più?
L’attività espositiva è un’attività artistica collaborativa che si espande fuori dalle mura del Kunstverein e include una serie di altri formati. Nel caso delle pubblicazioni, abbiamo voluto produrre un racconto associato tematicamente alle mostre in programma, commissionato ad artiste/i o scrittrici/ori e pubblicato da Ar/Ge Kunst, che possa fungere da linea guida alle mostre. Non più un testo meramente curatoriale, ma piuttosto un racconto immaginifico che si colloca tra il reale e l’immaginario, e che possa essere inteso come una delle produzioni culturali presentate. Spesso leggiamo i contenuti delle mostre attraverso un testo critico che “insegna” al visitatore come guardare una mostra, ma questi stessi scritti sono un’interpretazione soggettiva del contenuto, che può essere letto in un numero infinito di altri modi e mondi possibili. Le pubblicazioni sono dei tascabili, nelle tre lingue in cui siamo soliti parlare (italiano, tedesco e inglese), disegnati da Giulia Cordin e Lorenzo Toso, con un’illustrazione in copertina in collaborazione con alcune studentesse e studenti della Libera Università di Bolzano.

Saturday of Crippling, October 1999, Mandalay Jail, Mixed media on cotton, photo Iman Salem

Saturday of Crippling, October 1999, Mandalay Jail, Mixed media on cotton, photo Iman Salem

IL FUTURO DI AR/GE KUNST A BOLZANO

Come direttrici artistiche di Ar/Ge Kunst, quale percorso state cercando di intraprendere?
Stiamo lavorando per intessere una serie di relazioni e rafforzare il lato collettivo incluso nel nome esteso di Ar/Ge Kunst, Arbeitsgemeinschaft (comunità di lavoro), e quindi creare uno spazio di condivisione e di ascolto, un luogo dove sia possibile per artiste/i produrre nuove storie e rileggerne altre, un luogo che abbia al centro l’immaginazione e la fabulazione. Il Kunstverein diventa quindi uno spazio molto malleabile, in cui artiste e artisti, attraverso processi di ricerca dialogica con altre/i professioniste/i, possano creare nuove forme collettive di produzione culturale.

Ci fate qualche esempio concreto?
Dal punto di vista della produzione, abbiamo chiesto a Studio GISTO (Alessandro Mason e Pietro Lora) di ripensare l’illuminazione di Ar/Ge Kunst, e il risultato è stata la produzione di una struttura portante per l’exhibition design, rendendo lo spazio più efficiente a livello energetico ma anche più funzionale: GISTO ha costruito una struttura appesa al soffitto a cui si possono appendere opere, oggetti, proiettori e altre strutture. La nostra intenzione è anche di rendere più efficienti le risorse investite annualmente nel design e installazione.
Per quanto riguarda l’exhibiting, stiamo cercando di abbandonare l’idea di una mostra statica all’interno dello spazio espositivo, per accettare il suo cambiamento nel tempo. La prossima attivazione che faremo, il 4 aprile 2023, è un’ulteriore parte della mostra, che verrà inserita nella mostra per apportarvi nuovi contenuti, nuove prospettive. Per farlo, includeremo diversi formati: le pubblicazioni, interventi artistici nella vetrina che dà sulla strada, le passeggiate (una performance urbana o non urbana, attraversamenti nel territorio) associate tematicamente a ogni mostra.

Quale consiglio vorreste dare ai visitatori di Die Fliege is a fly in volo?
Un consiglio forse può essere quello di lasciarsi andare e divertirsi alla vista di questi lavori, incuriosirsi attraverso le storie che custodiscono, senza farsi intimorire dalla lontananza di certi luoghi. Anzi, forse quello che la mostra cerca di sottolineare è proprio l’assenza di distanze: ogni cosa è interconnessa e quello che succede dall’altra parte del mondo ci tocca come qualsiasi cosa davanti a noi. L’esperienza diventa totalizzante e fluida, tra ciò che si vede e ciò che non si vede.

Alberto Villa

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di arte contemporanea scrivendo per magazine di settore e curando mostre. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di…

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