All’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1948, la prima edizione post-guerra, la collezionista Peggy Guggenheim proponeva un compendio delle migliori firme artistiche dell’Europa e degli Stati Uniti, includendo due esponenti dell’Espressionismo astratto, Pollock e Rothko. Proprio in quell’anno Afro Libio Basaldella (Udine, 1912 – Lugano, 1976) riceveva una lettera dall’amico artista Corrado Cagli, che lo avvertiva che presto le sue opere sarebbero state visionate dai direttori del MoMA, intenti a selezionare le opere per la mostra Twentieth Century Italian Art, che fu poi il suo esordio americano.

LA MOSTRA DI AFRO A VENEZIA
La mostra veneziana di Ca’ Pesaro ci introduce al lavoro degli Anni Cinquanta con un omaggio al periodo lagunare costituito da schizzi veloci e con un autoritratto che rivela le posizioni precedenti, debitrici al Cubismo francese. Un presagio delle strutturazioni e sovrapposizioni di colore, con campiture intessute ai segni, come nei monumentali pannelli della Città, opera del 1951, o come in Villa Fleurent e Cronaca Nera, dove la figurazione è ormai superata. La pittura di Afro conquista una libertà nel colore, non più aggrappata alla traccia semantica, come dirà Cesare Brandi, che ha necessità perciò di sorgere dall’interiorità dell’artista, senza la paura di risultare prettamente soggettiva. È un richiamo alla dimensione della pittura come memoria e sentimento: “… non ho paura della parola ‘sogno’, non ho paura della parola ‘lirica’ o della parola ‘emozione’ … Io spero che nelle mie pitture circoli un presentimento, una speranza, come di un’alba”.
LA CARRIERA DI AFRO TRA ITALIA E STATI UNITI
Nel periodo a cavallo tra il 1955 e il 1968 il pittore si afferma a livello internazionale, supportato dalla Galleria Viviano di New York, e vince il Premio Comune di Venezia riservato a un pittore italiano nell’ambito della Biennale del 1956. Fitti gli scambi e i dialoghi con i pittori statunitensi come Arshile Gorky e Willem De Kooning, che ritroviamo nella sala dedicata agli amici di Afro, accanto al concretismo di Scialoja e Burri. Flussi e scambi tra le varie correnti artistiche a cavallo di Italia e Stati Uniti, che si moltiplicano grazie al vivo interesse del mercato americano.
Negli Anni Settanta le tele rivelano un intento più gestuale: le pennellate diventano più spesse per creare immagini “oscure”, ma evocative. Così forme e colori si articolano come spazio contiguo alla realtà e la tela di Afro non funge più solo da specchio di un sentimento, ma si appropria della realtà stessa dell’emozione.
‒ Antonella Potente
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