Corpo, violenza e pittura. La mostra di Miriam Cahn a Milano

Fra le protagoniste alla Biennale di Venezia curata da Cecilia Alemani, la pittura di Miriam Cahn è in scena all’ICA di Milano. Riflettori puntati sul corpo, anche nelle sue connotazioni più fisiche e crude

Miriam Cahn (Basilea, 1949) è doppiamente presente in Italia in queste settimane: alla Fondazione ICA di Milano con la mostra intitolata Gezeichnet, un’antologica esaustiva e intensa; alla Biennale di Venezia, con un generoso spazio riservatole da Cecilia Alemani, in cui è esposto un gruppo di lavori illuminanti. In entrambi i casi, si tratta di una produzione carica di indicazioni e traiettorie interpretative intorno a questioni che il nostro tempo sfiora ma non risolve. In primis, il tema del corpo: inquadrati nella dialettica personale/collettivo, i corpi ectoplasmatici e spettrali di Cahn si offrono come epifanie imperfette, emergenti da contesti disturbanti. Sono soggetti figurativi ma provengono da una lunga pratica segnica, frutto di un’astrazione gestuale, apparentata, con i debiti distinguo, all’automatismo psichico, caro al Surrealismo.

Miriam Cahn. Gezeichnet. Exhibition view at Fondazione ICA, Milano 2022. Courtesy l’artista e Fondazione ICA Milano. Photo Dario Lasagni

Miriam Cahn. Gezeichnet. Exhibition view at Fondazione ICA, Milano 2022. Courtesy l’artista e Fondazione ICA Milano. Photo Dario Lasagni

LA STORIA DI MIRIAM CAHN

Dopo la laurea all’Allgemeine Gewerbeschule di Basilea, Cahn ha iniziato a utilizzare il linguaggio pittorico producendo opere in bianco e nero su carta, coinvolgendo il suo corpo e convertendo il disegno in una pratica performativa. Ha dipinto sul pavimento del suo studio, nuda e bendata, per bloccare la vigilanza razionale sul processo creativo. Solo dagli Anni Novanta è approdata alla pittura a olio con l’obiettivo, ancora ben saldo, di intaccare la lettura del corpo alla luce di codici culturali e sociali standard e pacificati. Quelli che, ad esempio, indirizzano un corpo femminile armato di bastone, in evidente assetto da combattente, verso l’automatica identificazione con il maschile. O, viceversa, che dirigono il capo coperto da un velo musulmano alla polarità femminile, se non fosse per pene e testicoli che costringono a riconoscerne il contrario.

Miriam Cahn. Gezeichnet. Exhibition view at Fondazione ICA, Milano 2022. Courtesy l’artista e Fondazione ICA Milano. Photo Dario Lasagni

Miriam Cahn. Gezeichnet. Exhibition view at Fondazione ICA, Milano 2022. Courtesy l’artista e Fondazione ICA Milano. Photo Dario Lasagni

IL CORPO SECONDO MIRIAM CAHN

Sono corpi sottratti a un singolo genere e collocati in una transazione permanente, oltre il binarismo, aperti a più punti di vista, guerrieri e inermi presenze allo stesso tempo. Corpi lattiginosi, spesso incorniciati da un’aura colorata che suggerisce la permeabilità con lo spazio, vuoto, oppure abitato da animali o vegetali o, ancora, da simboli dei ruoli sociali tradizionali: missili sul versante virile versus oggetti domestici in quello femminile. Intorno a questi contenuti si è sviluppata la pittura a colori dei primi Anni Novanta che contrappunta lo spazio dell’ICA unendo, come accade anche alla Biennale, dipinti in scale differenti, micro e macro. Più segnici e meno figurativi, i lavori in bianco e nero, nella mostra milanese, curata da Alberto Salvadori e Luigi Fassi, sono circoscritti correttamente in piccoli ambienti e posizionati a terra in modalità installativa o accostati in lunghe sequenze.

LA MOSTRA DI MIRIAM CAHN A MILANO

Immersi in uno spazio ostile, per le gamme cromatiche e per gli inquieti rimandi, i corpi nudi di Miriam Cahn, esposti allo sguardo dell’altro e della storia, diventano espugnabili campi di battaglia, vulnerabili all’oltraggio. In una genitalità liquida, di madri che partoriscono piccoli nudi inermi, di animali anch’essi dotati di sessi vistosamente esposti, di cadaveri raggiunti da una violenza pornografica, la nudità non rimanda a una cifra esistenziale ma diventa politica. Del resto, sebbene Cahn viva e lavori a Stampa, solitaria cittadina alpina, le sue opere non hanno mai smesso di essere connesse con l’attualità. E i suoi corpi da sempre politici, soprattutto quando incameravano la lotta per l’emancipazione femminile, negli Anni Sessanta, hanno continuato a inscrivere sulla loro pelle relazioni oppressive, terrorismo, migrazioni, torture, guerre. In composizioni dove le figure si penetrano, si masturbano, si prendono a pugni e dove sono evidenti i segni di violenze sessuali, dove palesano gamme emotive con bocche ridotte a linee rosse, occhi diventati buchi lugubri, denti serrati come cancelli e ghigni contratti, beffardamente testimoni di una contemporaneità orrifica. O meglio, orroristica, come direbbe Adriana Cavarero, l’odierna pratica di violenze, massacri, genocidi di cui il corpo inerme è scena e spettatore, peraltro appena rinnovata dai cadaveri di civili imbustati nelle fosse comuni, in una guerra non lontana da noi.

Marilena Di Tursi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi, giornalista e critico d'arte del Corriere del Mezzogiorno / Corriere della Sera. Collabora con la rivista Segno arte contemporanea. All'interno del sistema dell'arte contemporanea locale e nazionale ha contribuito alla realizzazione di numerosi eventi espositivi, concentrandosi soprattutto…

Scopri di più