Si scende nel buio, la vista sostenuta da un unico punto luce, un led portatile da recare con sé, mentre Allegra Corbo (1968), artista, performer, street artist, teatrante ed educatrice, invita ad abbandonare effetti personali, telefoni, amici. Come Orfeo, la discesa verso il ventre della terra si fa da soli. Sopra abitano veloci ritratti di sorellanza, mentre le nicchie laterali della ripida scala in discesa ospitano piccoli assemblaggi di cumuli di terra e ossi di seppia: ognuno è una figurina femminile, bimba o donna, pupa o crisalide, culla o sepoltura. Il totem, tribale e underground, è il punto di giuntura tra le sale, ma la sorpresa finale, alla fine della discesa, è l’uso da cappella sacrale della piccola stanza a pianta cruciforme, in cui ogni braccio presenta un elemento di quella che può essere letta come una trinità femminile composta da figlio, madre e grande madre.
Non può prescindere dallo spazio, questo nuovo percorso della Corbo: nella sua struttura e nella sua storia (era un’antica filanda di seta, attività proto-industriale divenuta simbolo dell’occupazione e della lotta femminile nella zona, come le più note mondine del Nord) USB Gallery, cantina e passaggio sotterraneo, non è contenitore ma ambiente.
– Valeria Carnevali