La politica del fare. Intervista a Marinella Senatore

Tra gli artisti presenti all’imminente edizione di Art Basel, Marinella Senatore delinea i contorni della sua pratica, puntando l’attenzione sugli aspetti partecipativi e sempre variabili che la caratterizzano. Proprio come è avvenuto con la performance ideata per la settima edizione del festival ArtDate, organizzato da The Blank a Bergamo.

Do you need more proof that we are united? / Ghet bisògn de otre pröe che ‘n sé ünicc?” chiede (forse) retoricamente Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977) che ha recentemente omaggiato Bergamo con una performance dedicata alle tradizioni orobiche, recuperando il passato storico collettivo della città attraverso il canto popolare.
Da poche settimane è, infatti, giunta a conclusione la settima edizione di ArtDate, il festival dedicato all’arte contemporanea organizzato da The Blank. Il filo conduttore della tre giorni è stato il “sacro” declinato anche nell’accezione popolare di “sagra”, ovvero quel momento di condivisione che è rituale ricco di contenuti, valori e significati. L’annuale festa popolare di Sant’Antonio, una delle più apprezzate della città, si è trasformata, così, in una vera e propria sagra dell’arte, unendo, nello spazio di un oratorio, artisti come Cory Arcangel, Ryan Gander, Erik Saglia, Marco Basta, Riccardo Beretta, Andrea Mastrovito, Simone Berti, Alessandro Roma, Sergio Breviario, Samuele Menin, Zak Kitnick, Ethan Cook, Gabriele De Santis e Jonathan Monk.
Se la festa popolare ha rappresentato, in passato, il risveglio della collettività comunitaria che vivendo, soffrendo e spartendo la quotidianità, produceva e creava la propria cultura, oggi sembra essere un modello creativo e ri-creativo demodé per una società come la nostra che trasmette una dimensione competitiva e individualistica, che non valorizza il potenziale cooperativo e comunitario. Ma, ancora una volta, la Senatore ha sentito il bisogno di invocare, evocare e narrare la storia alternativa di come una partecipazione, nella condivisione di valori, significati e ideali dettati dall’esperienza, permetta di raggiungere la consapevolezza di una rilevante appartenenza alla comunità; di come praticare cultura nell’ambito di un territorio significhi, essenzialmente, allacciare contatti e scambi interpersonali, suscitare interesse nel confronto, attuando scambi proficui di idee.
L’arte si rivela, quindi, non solo un sostituto della resistenza socio-politica ma una delle condizioni della sua esistenza: definisce uno spazio dentro il quale la resistenza diventa immaginabile e quindi possibile.

Marinella Senatore (in collaborazione con Rataplam e dj Pigro on Sofa), Do you need more proof that we're united? | Ghet bisògn de otre pröe che 'n sé ünicc?, Bergamo, 2017. Photo Antonio Maniscalco

Marinella Senatore (in collaborazione con Rataplam e dj Pigro on Sofa), Do you need more proof that we’re united? | Ghet bisògn de otre pröe che ‘n sé ünicc?, Bergamo, 2017. Photo Antonio Maniscalco

L’INTERVISTA

Ami definirti un “attivatore”, utilizzando questo termine secondo un’accezione fortemente socio-politica. Personalmente, questa parola mi ricorda la chimica e quelle sostanze capaci di esaltare l’attività di un catalizzatore. Per qualche buffa coincidenza, conservo ancora viva nella memoria l’immagine del professore di biologia del liceo che mima efficacemente l’incastro, a mo’ di ingranaggio, tra una molecola di adenosintrifosfato (ATP) e il suo enzima per dar vita, tramite una reazione chimica, a energia. Marinella Senatore è un po’ un attivatore di questo tipo (per intenti, applicazione ed esiti)?
Credo proprio di sì. A me piace tanto la parola “attivatore”, contiene tante sfumature di azione e implica tanta autorialità a dispetto della coralità che struttura tutti i miei lavori. Attivare non è organizzare, è ben altro.

Chi e cosa hai attivato in occasione di ArtDate? Qual è la genesi del progetto e come si costruisce una narrazione corale di quest​a entità​?
Ogni lavoro non può prescindere dalle comunità nelle quali si forma e dunque, dopo una bella ricerca condotta a più mani dall’eccellente staff di The Blank e il passaparola, ho trovato un gruppo folk, i Rataplam, che cantava un genere di canzoni che sono state, come molta canzone folk, veicoli di storia orale. Poi la presenza di un dj, che sempre più spesso diventa un mio alter ego nelle performance, mi è sembrata una combinazione interessantissima. A parte uno scetticismo iniziale, tutto è andato per il meglio, una dissonanza che è diventata potenziale incredibile. La rivoluzione, la resistenza, sono tutti temi importantissimi, ma alla fine quello che emerge è l’emancipazione dell’essere umano, l’empowerment di ciascuno, e di questa possibilità mi piace raccontare. Ma tutto ciò nasce da energie che sono presenti sul territorio, non ci sono imposizioni e soprattutto importazioni di professionisti, sono energie locali che è veramente bellissimo scoprire.

Partendo dalla tua formazione avvenuta all’Accademia di Belle Arti di Napoli e presso il Centro sperimentale di Cinematografia di Roma, come sei arrivata ad assegnare alla componente musicale un ruolo così pervasivo nella tua pratica artistica?
I linguaggi sono possibilità e dunque, in quanto tali, materia di scambio e relazione con i partecipanti, nonché possibilità offerte a tutti, me compresa. Quest’anno la poesia è stata particolarmente importante per me, slam poetry nello specifico, ma la musica, con tutta la portata politica ed emancipativa, dal postcoloniale al folk più nascosto, è un veicolo incredibile di storia, cronaca, cultura in senso amplissimo, ed è anche motivo di condivisione collettiva, un momento che non sottovaluto: ogni lavoro che faccio è un flusso di energia, viverlo con intensità ma anche con gioia è fondamentale.

Marinella Senatore (in collaborazione con Rataplam e dj Pigro on Sofa), Do you need more proof that we're united? | Ghet bisògn de otre pröe che 'n sé ünicc?, Bergamo, 2017. Photo Antonio Maniscalco

Marinella Senatore (in collaborazione con Rataplam e dj Pigro on Sofa), Do you need more proof that we’re united? | Ghet bisògn de otre pröe che ‘n sé ünicc?, Bergamo, 2017. Photo Antonio Maniscalco

Come altre forme d​i intrattenimento popolare​, ​anche i fenomeni musicali legati ​ai diversi momenti di aggregazione comunitaria (nascite, matrimoni, feste rurali) ​ si stanno sfaldando. Un ampio repertorio poetico-musicale del folklore, che si articola in forme, generi e tematiche variabili in base ai contesti e alle funzioni, ha risentito dei mutamenti degli stili di vita​. Credi che la pratica artistica possa​ ​prendere il posto (non in senso di prevaricazione, ma quasi a voler raccogliere il testimone) di queste dinamiche ​antiche, rurali per diventare strumento di integrazione social​e? Se sì, con la stessa forza rituale? Per esempio, sarei molto curiosa di sapere se le attivazioni che crei hanno portato alla realizzazione reiterata delle performance, in maniera autonoma, anche senza la tua presenza in loco.
Moltissime volte, nei paesi più diversi, e tra le comunità più insospettabili! Non è un caso sia avvenuto anche a Bergamo, ho appena saputo che il gruppo folk e il dj continueranno a collaborare. Non è un risultato che controllo, accade e basta, ma sono anche altri i segni di una vera riuscita dell’intero processo. È tutto molto liquido, in formazione, flessibile, elastico, come lo sono le persone che partecipano, le competenze che cercano di acquisire, anche l’essere qualcosa altro da sé per un momento: sono tutti esperimenti che mirano a cercare delle risposte alla solitudine e alla necessità di appartenere a qualcosa, anche se per un tempo molto breve.

La performance di cui stiamo raccontando si è svolta all’interno di una sagra. È una dimensione che trovi affine?
Moltissimo. Mi entusiasma, come ogni rito civico, e anche religioso, seppure di questi ultimi mi interessi la struttura, non il contenuto.

Cosa significa per te, oggi, rappresentazione politica? 
Personalmente credo di fare un lavoro politico in termini di praxis e non necessariamente di contenuti; la moda diffusa dell’arte impegnata in temi sociali mi lascia a volte molto indifferente, come tante mode. Rappresentare non mi sembra interessante, ma vivere una dimensione politica del fare è tutt’altra cosa.

Marinella Senatore (in collaborazione con Rataplam e dj Pigro on Sofa), Do you need more proof that we're united? | Ghet bisògn de otre pröe che 'n sé ünicc?, Bergamo, 2017. Photo Antonio Maniscalco

Marinella Senatore (in collaborazione con Rataplam e dj Pigro on Sofa), Do you need more proof that we’re united? | Ghet bisògn de otre pröe che ‘n sé ünicc?, Bergamo, 2017. Photo Antonio Maniscalco

Cosa ne pensa un’artista italiana, globetrotter per professione, che ha avuto la fortuna di lavorare per le maggiori istituzioni estere, del panorama italiano dell’arte?
A volte trovo molto difficile essere un artista italiano. Dobbiamo moltissimo ai nostri collezionisti, ai musei che fanno uno sforzo e alle gallerie private, ma non c’è un vero sistema di sostegno e soprattutto di formazione. Non si è mai tranquilli, nella ricerca, nello sviluppo delle proprie competenze, ci si affanna per avere un piccolo posto e non si investe poi così tanto sugli italiani. Posso riportare quello che galleristi, direttori di musei e collezionisti mi dicono spesso all’estero: riscontrano un certo atteggiamento arrogante, una visione troppo marcatamente segnata dall’Arte Povera (ancora), una incostanza che non fa avere fiducia nell’investimento.

Dove credi sia il nodo del problema?
Non credo sia tutto da imputare alle accademie, ma anche alla formazione successiva, nel momento in cui va acquisita la professionalità. L’assenza di critica, il guardare sempre altrove e mai sotto il proprio naso, celebrare quello che tutti celebrano, senza una coscienza di sé… forse questo da lontano ancora un po’ mi sorprende.

Qual è la domanda che vorresti ricevere e non ti hanno mai fatto?
Se sono contenta. Sembra non abbia un valore intellettuale questo; dei sentimenti nelle interviste non si parla mai, pochissimo nei testi, ma non sono parte integrante di quello che siamo e che facciamo? Ancor di più nel caso di pratiche socially engaged come la mia?

– Valentina Gervasoni

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