Biennale de la Biche. Intervista esclusiva

Si chiama Biennale de la Biche ed è una nuova rassegna. Si tiene su un’isoletta caraibica, parte di Guadalupa. Pochi metri quadri destinati a essere sommersi a causa del riscaldamento globale. Abbiamo intervistato Alex Urso – co-curatore della mostra, nonché firma di Artribune – per farci raccontare tutto in anteprima. In attesa dell’inaugurazione il prossimo 6 gennaio.

Presentatevi brevemente. Siete due artisti nati negli Anni Ottanta rispettivamente in Italia e in Polonia. E poi?
Io, Alex Urso, sono un artista nato in Italia nel 1987. Ho un background filosofico e letterario, e un diploma in pittura conseguito a Brera nel 2012. Attualmente vivo a Varsavia, dove porto avanti la mia ricerca e parallelamente lavoro come curatore indipendente, collaborando con gallerie private e istituzioni locali (Zachęta National Gallery of Art, Istituto Italiano di Cultura di Varsavia), oltre che come critico per testate di settore.
Maess Anand invece è una pittrice e disegnatrice polacca classe 1982, ha vissuto in Sudafrica, Portogallo, Usa e attualmente Varsavia. Non è una curatrice – e non credo abbia alcuna intenzione di continuare con la curatela – ma è da lei che il progetto è partito, perché è una persona di grande entusiasmo, con una visione lucida del sistema dell’arte e delle sue dinamiche. Mi ha chiesto di pensare insieme a un evento in un’isola sperduta delle Antille, cosa che forse ad altri sarebbe sembrata un gioco. In poche ore abbiamo definito l’idea, stilato un elenco di artisti internazionali, creato un sito web e dato un senso a questa idea matta.

Alex Urso

Alex Urso

Da dove nasce l’esigenza di organizzare una mostra, anzi una Biennale?
Quando si tratta di curatela, personalmente non avverto nessuna “esigenza”, è più una voglia spontanea di mettersi in gioco, di proporre un punto critico differente, soprattutto nell’approccio all’evento.
Sapevamo che Maess sarebbe andata per motivi personali in Guadalupa. Mi ha lanciato la palla domandandomi di pensare a qualcosa da realizzare su un’isola minuscola nel Pacifico, difficilmente raggiungibile, un tempo abitata e ora abbandonata, gradualmente sommersa dall’innalzamento del livello dei mari: Îlet La Biche. L’intenzione era di creare un evento in un luogo distante geograficamente dai centri culturali, ma soprattutto totalmente estraneo ai limiti e alle convenzioni del sistema dell’arte contemporaneo.
L’isola di per sé è un luogo che scompare. Abbiamo chiesto agli artisti di realizzare dei lavori di piccole e medie dimensioni che potessero morire sul posto, adeguandosi alle dinamiche e ai tempi di questa location fantasma.

Di Biennali ce ne sono ormai ovunque nel mondo. Ma su un’isoletta caraibica che sta scomparendo a causa del global warming… Perché sottolineare il tema politico-ecologico sin dalla scelta del luogo?
Il tema ecologico è determinante, ma allo stesso tempo conseguente. Non volevamo dare alla Biennale un tono di questo tipo, moraleggiante, e non perché non fosse importante ma perché sarebbe stato troppo facile. Abbiamo piuttosto assunto la distruzione dell’equilibrio ambientale come un dato di fatto triste e reale, intorno al quale costruire qualcosa di più poetico.
L’idea che un’isola, una perla dei Caraibi, stia scomparendo gradualmente, ti pone in contatto diretto con quanto il mondo abbia oltrepassato ogni limite in modo probabilmente irreparabile. Ma su questo credo che l’arte abbia ben poco da aggiungere a quello che le statistiche dicono già ben chiaro.
Quello che abbiamo fatto era, per lo meno, non chiudere gli occhi e sentirci dentro il mondo. Perché spesso l’arte è quella cosa che continua ed essere scritta con la maiuscola, distaccata, salvifica ecc. ecc. Bene, noi volevamo che i lavori attecchissero alla drammaticità di questi anni, che una volta installati morissero sul posto, che si adeguassero ai tempi e alle dinamiche di un luogo condannato.

Biennale de la Biche 2017 - Ryts Monet, Goddess of Sun, 2014

Biennale de la Biche 2017 – Ryts Monet, Goddess of Sun, 2014

Allestirete personalmente i lavori, che poi saranno destinati a “consumarsi” in loco. Immagino che saranno pochissimi i visitatori, e in questo ravviso una riflessione sulla partecipazione del pubblico e sulle dinamiche ad essa sottese che – limitandosi a esempi italiani – si ritrova nel Montecristo Project e nell’attività di Treti Galaxie. Qual è il vostro punto di vista sulla questione?
Se si considera il punto di vista della caducità dell’opera, così come del ruolo effimero dell’artista, dal mio punto di vista non si può escludere anche quella del pubblico.
Le opere verranno installate su quest’isola-fantasma e, una volta lasciate nello spazio, saranno chiamate a integrarsi con i ritmi del luogo, divenendo esse stesse parte delle dinamiche del posto e destinate, eventualmente, a deperire. Pochi turisti (e qualche centinaio di tartarughe) raggiungono l’isola durante l’anno. Dunque i lavori vivranno di vita propria.
Ma in fondo, se ci pensi, è sempre così: l’opera, una volta conclusa, viene regalata al mondo. Tutto ciò che si crea intorno a un’opera successivamente è solo un insieme di sovrastrutture spesso necessarie solo al mercato.

Come avete scelto i quattordici artisti che parteciperanno a questa prima edizione? E in che forma collaboreranno gli artisti di Guadalupa?
I partecipanti sono stati selezionati sulla base della loro attinenza al tema, ma anche tenendo conto dei limiti logistici ed economici: il compromesso è stato contattare artisti chiedendo opere dalle dimensioni ridotte, facili da trasportare o da inviare. Essendo un evento su un luogo disabitato, abbiamo inoltre voluto coinvolgere autori provenienti da diverse nazioni, in modo da intendere l’isola come una sorta di campo neutro nel quale far convivere forze provenienti da più parti del mondo.
Ci è sembrato inoltre giusto e necessario includere almeno un artista locale: abbiamo selezionato Jérémie Paul, che è un visual-artist guadalupano attualmente di base a Parigi. Anche grazie al suo contributo, altri artisti e volontari ci aiuteranno sul posto. In attesa del 6 gennaio, giorno di apertura dell’evento.

Marco Enrico Giacomelli

Gwadeloupe // dal 6 gennaio 2017
Biennale de La Biche
a cura di Alex Urso e Maess Anand
artisti: Karolina Bielawska (PL), Norbert Delman (PL), Michal Frydrych (PL), Styrmir Örn Guðmundsson (ICE), Maess (PL), Ryts Monet (ITA), Jeremie Paul (FR), Lukasz Ratz (PL), Lapo Simeoni (ITA), Saku Soukka (FIN), Aleksandra Urban (PL), Yaelle Wisznicki Levi (USA/PL), Alex Urso (ITA), Zuza Ziołkowska-Hercberg (PL)
ÎLET LA BICHE
Grand cul de sac marin
[email protected]
www.biennaledelabiche.org

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

Scopri di più