A Roma tre mostre in una per ricordare Pier Paolo Pasolini

È il tema del corpo la bussola che orienta la mostra romana in tre sedi dedicata a Pier Paolo Pasolini nel centenario della nascita. A ospitarla sono il Palazzo delle Esposizioni, Palazzo Barberini e il MAXXI

A tutto quel farsi, esserci e dissolversi esterno, del cosmo, si opponeva il corpo ‒ ora seduto, nell’aria calda dove pareva essersi appena spento un fuoco, e intorno non si muoveva un alito di vento ‒ in cui cominciava realmente la vita: una vita che aveva ancora tutto da dare” (Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Einaudi, 1992).
Di nessun poeta, forse, come di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Ostia, 1975), abbiamo percepito la tormentata, sensuale, esibita corporeità, in cui nell’immaginario dei lettori (ma anche degli odiatori che tutt’oggi con voluttuosa violenza rovesciano insulti sul suo ricordo) egli ha incarnato radicalmente la sua parola e la sua arte, fino all’estremo sacrificio profano consumato la sera del 2 novembre 1975 sul Lido di Ostia.
“Corpo” è forse uno dei termini che ricorrono più spesso in Petrolio, ultimo romanzo incompiuto su cui egli stava lavorando quando è morto e sul quale si addensano ipotesi e misteri. Il “corpo”, e anche le più rimosse parti anatomiche, gli odori, le funzioni fisiologiche e sessuali. Il protagonista si scinde, addirittura, in due soggetti che agiscono nel mondo separatamente: un corpo dedito alla spasmodica ricerca del piacere; e un intelletto assorbito nelle norme sociali e dedito al potere. Entrambi, a causa di questa scissione, alienati dall’Io. E, del resto, la corporeità è dimensione dominante in tutta la letteratura narrativa di Pasolini, nella sua cinematografia, nonché nei suoi molti interventi di carattere politico, sociale e antropologico che spaziano dai giovani capelloni al referendum abrogativo sull’aborto.
Per questo motivo, tra le molte iniziative dedicate a Pier Paolo Pasolini nel centenario della sua nascita di particolare interesse è il progetto espositivo articolato in tre mostre distinte dal titolo Pier Paolo Pasolini. TUTTO È SANTO, realizzato da Azienda Speciale Palaexpo di Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica e MAXXI. Un progetto concepito e curato collettivamente da Michele Di Monte, Giulia Ferracci, Giuseppe Garrera, Flaminia Gennari Santori, Hou Hanru, Cesare Pietroiusti, Bartolomeo Pietromarchi e Clara Tosi Pamphili, che ha come punto di partenza e di unione il tema della corporeità, e che intreccia diverse discipline e documenti secondo direttrici di ricerca specifiche per ognuna delle tre sedi.
Il titolo è una citazione della frase pronunciata dal centauro Chirone/Laurent Terzieff nel film Medea di Pasolini del 1969, di cui un tema è proprio la divaricazione, nell’uomo, tra civiltà e natura: “Tutto è santo e l’intera natura appare innaturale ai nostri occhi”.

Da sinistra: Alberto Moravia, Dacia Maraini, Pier Paolo Pasolini, persona non identificata, Maria Callas. Polaroid Archivio Fotografico di Dacia Maraini

Da sinistra: Alberto Moravia, Dacia Maraini, Pier Paolo Pasolini, persona non identificata, Maria Callas. Polaroid Archivio Fotografico di Dacia Maraini

IL CORPO SECONDO PASOLINI

Nello splendore dell’eros, così come nella tragedia e nella degradazione, per lo scrittore e regista italiano il corpo è il luogo politico e poetico di una vitalistica e spontanea liberazione; ma anche, proprio per l’inscindibile unità con l’essere, il luogo del conflitto e l’oggetto dell’asservimento al potere. Territorio incontaminato di arcaiche sopravvivenze e resistenze, non ancora completamente colonizzato; ma anche minacciato, oscenamente sottomesso, torturato e sconciato dalla mercificazione e dall’omologazione imposte da un nuovo, mostruoso fascismo fiorito nel consumismo e nel capitalismo industriale: ed è infatti la denuncia di un fondamentale carattere biopolitico del potere, oltre che la condanna del fascismo storico, il significato più profondo dell’orrendo e sublime ultimo film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma, che avrebbe dovuto essere il primo di una Trilogia della morte seguita alla Trilogia della vita, e che uscì postumo con grande scandalo e incomprensione da parte di pubblico e critici.
Il centenario della nascita di Pasolini celebrato quest’anno coincide, del resto, con quello della Marcia su Roma, e questa circostanza porta a ragionare sul fatto che, in relazione al corpo e alla sua dimensione politica, un drammatico modello sia da trovare nella figura dello stesso Benito Mussolini, che indubbiamente adoperò il corpo come strumento di seduzione delle masse con le quali, nell’esibizione e moltiplicazione della sua presenza fisica, egli intratteneva un rapporto di natura erotica, volto a coinvolgere attraverso ossessivi meccanismi di pathos, di immedesimazione e di penetrazione dell’immaginario quotidiano (si pensi ai molti ritratti e alla sublimazione delle sue sembianze reali). Un rapporto tragicamente sfociato nello scempio del cadavere, quasi sfogo di una pulsione di morte, raccontato da Sergio Luzzatto ne Il corpo del duce. Un cadavere tra immaginazione, storia e memoria (e, in un certo senso, si potrebbe fare una storia dell’Italia contemporanea proprio seguendo la traccia di alcuni suoi eccellenti cadaveri, incluso quello di Pasolini). Dunque (senza tentare qui una superficiale interpretazione psicanalitica, ma limitandoci all’evocazione di un contesto simbolico), ecco come per un giovane uomo come Pasolini, nato all’avvento del fascismo, fratello di un partigiano morto diciannovenne nell’eccidio di Porzûs e figlio di un fascista non estraneo al linciaggio del piccolo Anteo Zamboni, la relazione con il corpo (e con una figura maschile espressione di un potere autoritario e invadente) possa addensarsi di reconditi e contraddittori significati cui cercare di ribellarsi.
Una giacenza profondamente intima, dunque, certamente problematica e spesso disturbante, che però, andando oltre il lato oscuro evocato finora, con il suo radicale impegno politico Pasolini riuscì a far confluire in una più ampia prospettiva critica sull’attualità del suo tempo (ma anche del nostro), e in una ricerca tematica ed espressiva alimentata da un fertilissimo debito nei confronti della storia dell’arte e dell’antropologia: aspetti doviziosamente raccontati dalla triplice mostra romana e che nel profilo dello scrittore sono del tutto sovrapponibili e unitari.

Foto di scena da La ricotta, 1963. Ph. Paul Ronald, Collezione Maraldi

Foto di scena da La ricotta, 1963. Ph. Paul Ronald, Collezione Maraldi

LA MOSTRA A PALAZZO BARBERINI

La sezione della mostra ospitata a Palazzo Barberini, intitolata Il corpo veggente, prende le mosse dalle fonti storico-artistiche dell’immaginario figurativo pasoliniano a partire dall’insegnamento di Roberto Longhi, di cui il giovane Pasolini negli Anni Quaranta, a Bologna, seguì il corso su Masolino e Masaccio pubblicato poi su Critica d’arte; recensendo la raccolta degli scritti di Longhi curata da Gianfranco Contini, nel 1974, lo stesso Pasolini ricorderà che proprio vedendo i montaggi didattici dei dipinti proiettati in diapositiva durante quelle lezioni si era formata la sua ispirazione cinematografica: immagini delle immagini originali (in bianco e nero, ritagliate, ingrandite) e in un certo modo capaci di colpire più dell’opera d’arte nella sua flagranza, perché già sul crinale del pro-filmico. Ma se, dunque, tra i primitivi di Pasolini regista, come ricorda il curatore Michele Di Monte, c’è Longhi, del grande storico dell’arte resta in Pasolini anche un civismo che in Longhi era sempre sotteso alla disciplina, anche quando non enunciato, e un intuito delle espressioni più sottili del sentimento umano che emerge in tante pagine longhiane. Ed è anche questa la materia del sostrato non semplicemente figurativo ma sentimentale su cui Pasolini trasportò le folgoranti trasposizioni iconografiche presenti nella sua cinematografia: celeberrimi fra tutti, i tableaux vivant della Deposizione di Pontormo in Santa Felicita a Firenze e quella di Rosso Fiorentino a Volterra nel film La ricotta del 1963. Questo nesso tra cultura figurativa e senso dell’umano si ritrova nell’interesse di Pasolini per l’antropologia e l’etnografia, del resto esplorate da altri intellettuali di sinistra come Elio Vittorini, Carlo Levi, Cesare Zavattini, e che nella cultura italiana acquistarono risonanza con opere come Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria di Ernesto De Martino, pubblicato da Einaudi nel 1958. Uno studio, quest’ultimo, che insieme con le inchieste condotte dallo stesso De Martino in Lucania e Salento e documentate dalle bellissime fotografie di Franco Pinna, mostra sbalorditive tangenze con il mondo figurativo di alcuni film di Pasolini e certamente, fra tutti, con Il Vangelo secondo Matteo del 1964. In quegli anni, Cecilia Mangini debuttava con il cortometraggio Ignoti alla città, ispirato al recente Ragazzi di vita, e nel 1961, proprio con Pasolini realizzerà La canta delle marane. Il terreno d’indagine era la strenua esistenza sul “fronte della città”, in cui i corpi sono quasi tutto ciò che i giovani protagonisti possiedono, e su cui si consuma la distanza economica e sociale dal mondo integrato.

“Il Borghese”, 18 gennaio 1970, p. 158. Casa Editrice Pagine – Il Borghese. Collezione Sergio Oriente - Enrica Piscolla

“Il Borghese”, 18 gennaio 1970, p. 158. Casa Editrice Pagine – Il Borghese. Collezione Sergio Oriente – Enrica Piscolla

PASOLINI AL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI

Al Palazzo delle Esposizioni, la sezione intitolata Il corpo poetico propone un ritratto fisico, ma non solo, di Pasolini attraverso una selezione di oltre 700 materiali originali: fotografie, giornali dell’epoca, riviste, prime edizioni di libri, articoli, interventi pubblici; e poi dattiloscritti, ciclostilati, filmati, dischi musicali e nastri.
È infatti nei libri e nella parola sempre coraggiosa e spregiudicata, oltre che nella presenza evocata dalle fotografie, che questo poeta e intellettuale si è incarnato e continua a farlo: il termine “corpus”, che tradizionalmente indica l’insieme delle opere di un autore, acquista qui un ulteriore significato. Tutta la sua produzione ha la valenza di un appassionato zibaldone di pensieri e di lotta: è nel dialogo, nell’incontro con gli altri che avviene l’esperienza più poetica dei corpi.
Ritroviamo il volto di Pasolini, dunque, catturato in diversi momenti della sua vita e da diversi fotografi (Tazio Secchiaroli Sandro Becchetti, Jerry Bauer, Giuseppe Pino, Dino Pedriali, Ugo Mulas, Mario Tursi, Angelo Novi): un volto che è tuttora, per chi ama e studia questo poeta, così familiare, abitabile, eppure tuttora sconvolgente e perturbante, espressione di una vita interiore e di una sessualità ribelli a ogni tentativo di normalizzazione, addomesticamento, riconciliazione con la morale: si pensi, ovviamente, allo scandalo di Ramuscello (l’imputazione di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minore porteranno all’espulsione dal PCI per indegnità morale), ai molti procedimenti giudiziari, alla disperazione sadomasochista di certe visioni cinematografiche e letterarie oltre il limite dell’orrore; alla sua omosessualità e tuttavia anche a quel fascino virile che fa di Pasolini, come lo definì Carla Lonzi, il “fratello proibito” e dunque, implicitamente, un oggetto di desiderio interdetto, che ci attrae, in questo modo, nella sua stessa contraddizione e che fa deflagrare, con la miccia del suo scandalo, l’ipocrisia della società moderna: una società necessariamente conformata su una media convenzionale, codificata, funzionale.
E a proposito della posizione di Pasolini sull’aborto (anche per salvare da certe strumentali semplificazioni e appropriazioni politiche, viste recentemente, la sfumata complessità del suo pensiero sugli effetti del capitalismo e del patriarcato), è tanto più opportuno ricordare la sostanziale vicinanza espressa in quel contesto dalla stessa Carla Lonzi, femminista radicale, come viene giustamente fatto in questa mostra attraverso la compresenza della copia originale e integrale del Corriere della sera del 19 gennaio 1975, su cui comparve il famoso articolo Sono contro l’aborto, del manifesto di Rivolta femminile e di un testo dell’intellettuale fiorentina.
Insieme a questa vasta documentazione, sono esposti oltre 100 costumi di scena usati nei film di Pasolini, realizzati da Donato Donati e da Piero Tosi (per l’allestimento della sezione Costume il curatore Olivier Saillard ha coinvolto gli studenti del Biennio in Fashion and Costume Design del campus romano di NABA): il corpo e la parola, infatti, quasi proiezione extracorporale dell’autore, si materializzano in abiti che evocano un’idea di bellezza lontana dal consumismo borghese della produzione industriale, altre estetiche metaforiche e suggestive, barbare e immaginifiche.

LA MOSTRA SU PASOLINI AL MAXXI

La sezione della mostra che apre al MAXXI il 16 novembre, invece, intitolata Il corpo politico, darà spazio agli artisti contemporanei che traggono materia di ispirazione e riflessione dalle analisi sociali e politiche pasoliniane. Un dialogo tra le opere d’arte e oltre 200 documenti (fotografie e testi) legati all’ultima fase della vita di Pasolini: quella degli interventi su Il Tempo, il Corriere della Sera, Il Mondo, Paese sera, confluiti negli Scritti corsari del 1975, anno della sua tragica morte. Quella, in particolare, di una sempre più cupa riflessione sul male radicale, sul mutamento antropologico degli italiani, sulla politica italiana (Pasolini non lesinò accuse dirette alla Democrazia Cristiana così come alla sinistra più istituzionalizzata), e sul nuovo “fascismo degli antifascisti”, come egli definì una tuttora attuale “codificazione del fondo brutalmente egoista di una società”, percepita dall’intellettuale italiano con straordinaria veggenza.
Ma ciò che il triplice progetto romano, soprattutto, riesce a esprimere è una strettissima organicità, in Pier Paolo Pasolini, di vita, impegno e creatività, fondata su un’intima e incontenibile passione i cui risvolti erotici, politici e poetici sono indistinguibili e ustionanti. E la passione è, in effetti, la sintesi che anche nella inemendabile contraddizione (“lo scandalo del contraddirmi, dell’essere/ con te e contro te; con te nel cuore,/in luce, contro te nelle buie viscere”, Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, 1957) unisce il corpo, la parola e il mondo degli altri uomini: sia nella sua inclinazione più luminosa e operosa che in quella “disperata passione di essere al mondo”, quella “estetica passione” che può diventare sacrificale, fatale, ineludibile incarnazione dello scandalo in un corpo di artista.

Mariasole Garacci

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Mariasole Garacci

Mariasole Garacci

Laureata in Storia dell’Arte all’Università di Roma Tre con una tesi sul ritratto a Roma nel XVI secolo, Mariasole Garacci è stata cultore della materia presso le cattedre di Storia dell’Arte moderna e di Storia del Disegno, dell’Incisione e della…

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