Manifesta 14 a Pristina: luci e ombre della mostra in Kosovo

A oltre vent’anni dalla Manifesta 3 di Lubiana, la biennale europea itinerante torna in ex Jugoslavia. Traguardi e gli obiettivi mancati di questa edizione. Che magari riuscirà a portare il Kosovo nell’Unione Europea

It matters what worlds world worlds: how to tell stories otherwise è il titolo di Manifesta 14, un omaggio a Donna Haraway e alle teorie di connessione antispeciste. La mediatrice creativa Catherine Nichols ha deciso di esplorare il modo in cui le storie sono create e vengono condivise tra culture e comunità tramite nuove narrazioni collettive. La creazione di queste narrazioni è un modo per aprire le menti a nuovi modi di pensare, in modo da poter immaginare un futuro diverso per il Kosovo e per la città di Pristina. Orientarsi in città e interagire con i suoi abitanti appaiono infatti attività semplici, ma lo spettro dello scontro serbo e la delicata questione del riconoscimento a stato autonomo aleggiano continuamente nell’immaginario locale. Evitare di parlare di questi argomenti con gli abitanti è praticamente impossibile. Anche Youssef, un giovane barbiere serbo, racconta di essere nato da una famiglia di religione islamica e di essere stato parte della diaspora dal Sangiaccato – terra di confine tra Montenegro, Serbia e Kosovo vessata da attacchi etnici e religiosi – con l’intento di salvarsi e costruirsi una nuova vita in Kosovo. Tralasciando per un attimo la delicata questione dell’ossessione nazionalista di ridefinire i confini degli stati e di invadere paesi limitrofi, gli organizzatori della Biennale hanno cercato in quest’edizione di scommettere tutto sul potenziale della creazione di “zone umanamente autonome”, per mostrare le storie e le narrazioni di questa area geografica, artisticamente ancora poco conosciuta.

When the sun goes away we paint the sky, 2022 © Petrit Halilaj

When the sun goes away we paint the sky, 2022 © Petrit Halilaj

GLI ARTISTI DI MANIFESTA 14

Quando il sole tramonta, dipingiamo il cielo”: questo è il primo gesto con cui Manifesta si presenta alla città. L’insegna scritta in lingua albanese, opera di Petrit Halilaj – uno dei 40 artisti kosovari invitati tra i 102 totali – è posta sul tetto del Grand Hotel di Pristina e porta inevitabilmente a guardare verso il cielo, dando la speranza di un nuovo inizio. In questo hotel la Biennale prende corpo attraverso una mostra diffusa lungo i nove piani, dove le opere sono raggruppate secondo tematiche urgenti per il riorientamento della società odierna: transizione, migrazione, acqua, capitale, amore, ecologia e speculazione. Rilevanti sono le bambole e le marionette di Dardan Zhegrova, cuscini morbidi dai quali fuoriesce, in una dimensione intima e raccolta, la voce dell’artista; gli interventi performativi di Selma Selman che incoraggiano a una rivalutazione di alcuni concetti dati normalmente per scontati. In particolare nella performance You have no idea l’artista resiste a molteplici forme di discriminazione e sottolinea come non si possa avere idea delle difficoltà che le altre persone devono quotidianamente affrontare. Oltre a questi, il video di Tuan Andrew Nguyen, con protagonista una bomba inesplosa, esplora da un punto di vista animista gli ordigni post-bellici rimasti sul territorio vietnamita; le opere in lana di Hana Miletić sono rattoppi di elementi architettonici rovinati e di infrastrutture ammaccate e The Animals. Once upon a time…in the present time, la trilogia di opere video di Driant Zeneli collocata all’ultimo piano dell’hotel, si basa sulle favole di Esopo e ha come protagonisti dei simpatici animaletti creati durante dei laboratori per bambini. Oltre al Grand Hotel, altre 24 sedi, ora dismesse o abbandonate, sono state selezionate tra le strade di Pristina. Gli spazi e i luoghi sono scelti per il forte valore simbolico e storico, sebbene a volte sovrastino gli interventi artistici che accolgono. Tra le opere che subiscono fortemente il contesto ospitante spiccano l’intervento di Chiharu Shiota con le storie dei cittadini appese a dei fili rossi, ospitato in uno stupendo Hamman ottomano del 1400; l’opera di Alban Muja, una casetta costruita in materiali prefabbricati e illuminata di notte, posizionata sul tetto dei Grandi Magazzini Gërmia, prima costruzione moderna in Kosovo; l’intervento di Sislej Xhafa – costituito da una pompa di benzina, un ombrellone e un sorvegliante che saluta i passanti –, situato nel Cimitero dei Martiri Partigiani della Seconda Guerra Mondiale, che, pur aprendo a una nuova narrazione possibile, perde di efficacia nel luogo sacro in cui è allestito.

The firefly keeps falling and the snake keeps growing, 4K, 2022 © Driant Zeneli – Fondazione In Between Art Film

The firefly keeps falling and the snake keeps growing, 4K, 2022 © Driant Zeneli – Fondazione In Between Art Film

MANIFESTA A PRISTINA TRA RIQUALIFICAZIONE E SPERANZE PER IL FUTURO

Al di là degli interventi artistici, Pristina è anche stata ridisegnata da un secondo mediatore creativo: Carlo Ratti Associati (CRA). Lo studio italiano di design e innovazione ha analizzato dal 2020 le esigenze comunicate dai cittadini per attuare un modello di urbanistica partecipata. Una trasformazione che andrà oltre i 100 giorni della Biennale, attraverso il riuso di alcuni spazi pubblici e l’inserimento di aree verdi. Sulla carta l’intenzione d’innovazione urbana e di pianificazione partecipata è fortemente apprezzabile, ma tutto ciò non sembra riuscito. Un esempio di rigenerazione è l’idea di collegare due parti della città per mezzo di un tratto di ferrovia in disuso. Questa strada pedonalizzata – denominata Green Corridor – era una discarica di rifiuti che è stata svuotata e convertita. Se CRA ha ipotizzato che per ripensare urbanisticamente una città bastasse l’utilizzo di una segnaletica orizzontale e delle strutture di colore giallo – che non si sa per quanti anni resteranno per le strade di Pristina –, forse qualcosa non è propriamente andato a buon fine. Vedremo. Apprezzabile, invece, il progetto di riqualificazione dell’ex biblioteca Hivzi Sylejmani trasformata nel Center for Narrative Practice, una piattaforma permanente, uno spazio di quiete, riflessione e confronto in cui si inserisce il programma educativo di Manifesta. L’edificio è stato ristrutturato e donato alla comunità, rispondendo alla richiesta dei cittadini di un luogo per indagare sul passato e creare un futuro comune. È indubbio che negli ultimi anni Manifesta si sia evoluta e che il format di biennale nomadica, che fino a qualche anno fa restava solamente uno slogan, oggi sia una realtà tangibile con un impatto sociale che va oltre la durata dell’evento. La biennale si è trasformata da una mostra che ogni due anni trasportava opere in diversi Paesi, a un sistema di reinvenzione, di conoscenza e di ricerca incentrato sugli artisti locali e capace di reclamare lo spazio pubblico, riattivandolo e restituendolo ai cittadini. La speranza è che Manifesta 14, con il suo ruolo di catalizzatore sociale, possa facilitare anche l’entrata ufficiale del Kosovo nell’UE, scrivendo una narrazione collettiva alternativa per il Paese.

Giacomo Pigliapoco

https://manifesta14.org/

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