Il politically correct e la sessualità nell’arte

La censura toccata in sorte alla riproduzione 3D del David in mostra all’Expo Dubai è emblematica di un approccio sempre meno consapevole ai temi della sessualità nella cornice culturale contemporanea. Stefano Monti riflette sulle implicazioni di questa dinamica.

Sta facendo molto parlare di sé il David dell’Expo a Dubai. Ma non per i motivi che dovrebbe.
Sta facendo parlare di sé perché ancora una volta, intorno a un’opera d’arte, si avvicendano commenti legati al tema della nudità, dell’attenzione superficiale alla cultura islamica, della mania quasi ossessiva del politicamente corretto, temi che in questi ultimi anni stanno rasentando la schizofrenia.
Prendiamo il David. Un’opera d’arte che, com’è noto, è celebre in tutto il mondo. Un’opera d’arte che compare nella versione in lingua araba di Wikipedia, alla voce Michelangelo (vedere per credere: questo il link). Insomma, di certo non è un’opera site specific, realizzata in loco e svelata (è il caso di dirlo) al momento dell’inaugurazione.
Eppure, l’opera, che in realtà dovrebbe da un lato interessare per la sua posizione curatoriale e dall’altro per la sua realizzazione, dato che è stata realizzata mediante una tecnica di stampa in 3D, è stata incapsulata all’interno di una struttura censoria che, come si legge da alcuni giornali, potrebbe avere la funzione di coprirne gli organi sessuali. Il discorso va dunque affrontato con un po’ di lucidità, dato che sono molti i livelli su cui poter analizzare il tema.

Una società che non ha consapevolezza della propria cultura è una società debole, che riflette poco, che si lascia andare ai trend internazionali”.

SENSAZIONALISMO E CANCEL CULTURE

Punto primo: riflessioni sul sensazionalismo.
L’opera è inserita all’interno di una particolare struttura del Padiglione Italia, il cui nome è il Teatro della Memoria. Che quindi al centro del Teatro della Memoria appaia soltanto la testa del David potrebbe anche essere una scelta di natura curatoriale, che rimandi all’inaccessibilità di una parte della nostra memoria personale e collettiva, o a un altro qualunque interesse curatoriale in sé.  Dato che, in ogni, caso, il contratto tra il Governo Italiano e il Bureau di Dubai, firmato nel 2018, riporta che il progetto dell’esposizione deve essere approvato dall’organizzatore.
Punto secondo: il richiamo potenziale alla cancel culture e alla censura urbana.
Altro richiamo potenziale, sia come citazionismo attivo (vale a dire una scelta curatoriale), sia come adesione passiva (autocensura) potrebbe anche essere quello che collega la vicenda del David alla forte ondata di manifestazioni legate alla cancel culture, che negli ultimi anni hanno concentrato molta attenzione su statue commemorative di personaggi che, pur essendo passati alla storia, hanno anche maturato pensieri o avuto comportamenti non in linea con l’inclusività globale che una parte della nostra società riconosce come proprio punto di riferimento culturale.

Clone del David al Teatro della Memoria al Padiglione Italia, Expo Dubai 2020 © Massimo Sestini for Italy Expo 2020

Clone del David al Teatro della Memoria al Padiglione Italia, Expo Dubai 2020 © Massimo Sestini for Italy Expo 2020

DALLA CENSURA AL 3D

Punto terzo: la differenza tra politicamente corretto e rispetto.
Se la vicenda legata al David ha invece davvero a che fare con il concetto di censura, allora incapsulare il David in questo modo risulterebbe essere una duplice mancanza di rispetto: da un lato quella palese nei confronti della nostra cultura e della nostra arte, dall’altro nei confronti della supposta sensibilità che l’esposizione del David avrebbe urtato: possibile che durante un progetto di questo tipo, che come riporta il sito stesso dell’iniziativa è stato un processo sviluppato nelle fasi di digitalizzazione, riproduzione fisica, finitura, trasporto e allestimento, nessuno abbia mai pensato a tale sensibilità e che davvero chi ha lavorato al progetto abbia capito troppo tardi che una nudità potesse creare imbarazzo?
Punto quarto: la rivoluzione del 3D, non solo per il Padiglione Italia, ma anche per i nostri musei. Pare invece passare del tutto inosservato il fatto che il nostro Paese abbia deciso di rappresentarsi al mondo attraverso una stampa in 3D. Vale a dire una copia, che viene presentata all’interno di una specifica mostra. Qui il punto non è la tecnologia, ma la possibilità di utilizzare la tecnologia per riprodurre opere d’arte. E qui si aprono altri due temi di centrale interesse, almeno nel mondo della cultura nostrana: il primo riguarda la possibilità di utilizzare questa tecnologia anche per riprodurre elementi scultorei andati perduti nel tempo e utilizzarli come copie da poter esporre nelle collezioni permanenti dei nostri musei; il secondo riguarda la possibilità di utilizzare delle immagini (la stampa in 3D è pur sempre una stampa) a fini commerciali: di fatto, nel proprio Padiglione, l’Italia potrà aprire attività commerciali e di merchandising.

LA QUESTIONE DELLA SESSUALLITÀ

Infine punto quinto: il bipolarismo generalizzato nei riguardi della sessualità nella nostra società contemporanea.
Nel 2019, Pornhub, che gestisce alcuni tra i più famosi siti di contenuti espliciti relativi al sesso, ha ricevuto 42 miliardi di visite. 42 miliardi. Vuol dire una media di circa 80mila visite al minuto, per una fruizione di circa 220mila video-view pari a 11mila ore complessive viste. Una mole di consumo enorme, che non fa neanche più notizia. Eppure, accanto a queste cifre, ci sono sempre più manifestazioni di autocensura relative a opere di arte pubblica, a partire dall’increscioso esempio dei Musei Capitolini di qualche tempo fa, fino a proteste relative a sculture femminili i cui tratti fisici, secondo alcuni, sono troppo pronunciati. Nel frattempo, in un teatro di Zurigo, durante la rappresentazione di un’opera di David Foster Wallace, una regista ha coinvolto attori del cinema erotico al fine di poter rappresentare un atto sessuale. Questi elementi portano a una riflessione più ampia, che riguarda soltanto parzialmente il ruolo del sesso nella nostra società e nella nostra cultura. È una riflessione che piuttosto dovrebbe riguardare la nostra cultura nella sua interezza. Comprendere se, e in che misura, le espressioni esplicite facciano parte del nostro tempo e ne siano rappresentative. Riguarda la necessità di riunire, in qualche modo, all’interno di un’etica comune, ciò che accade online e ciò che accade offline.

Clone del David al Teatro della Memoria al Padiglione Italia, Expo Dubai 2020 © Massimo Sestini for Italy Expo 2020

Clone del David al Teatro della Memoria al Padiglione Italia, Expo Dubai 2020 © Massimo Sestini for Italy Expo 2020

UN PROBLEMA CULTURALE

Questo punto è, in realtà, la parte più interessante di tutta la vicenda: perché queste manifestazioni così divergenti sono il segno di una società (occidentale, ma soprattutto italiana), che non ha maturato consapevolezza sul proprio modello di cultura.
E una società che non ha consapevolezza della propria cultura è una società debole, che riflette poco, che si lascia andare ai trend internazionali. Che sia censura del David, o che sia una trovata sensazionalistica per fare comunicazione, quindi, la vicenda del Padiglione Italia all’Expo solleva in ogni caso una serie di interrogativi che dovrebbero farci riflettere un po’ di più su ciò che la nostra cultura è oggi, e su ciò che essa può rappresentare nel mondo. Non dimentichiamoci che si tratta, pur sempre, di un’esposizione universale.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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