Barocco e sangue. Alla Fondazione Prada di Milano

La sede meneghina ospita una versione parzialmente rivista della mostra andata in scena all’M HKA di Anversa, con la curatela di Luc Tuymans. Un viaggio nella carne del Barocco, declinato (anche e non solo) in chiave contemporanea.

Violenza e vanitas. Vitalità e ritorno alle basi dell’esistenza. Morte e radicamento nel presente. Sono queste alcune delle istanze che hanno fatto la storia del Barocco, epoca liquida e determinata, dalla quale hanno tratto forma dettami capaci di resistere ai secoli e al logorio del tempo. E queste sono alcune delle linee guida che paiono orientare la mostra firmata da Luc Tuymans per la Fondazione Prada dopo il debutto ad Anversa la scorsa primavera. Una immersione, brutale e poetica, fra le pieghe di un’eredità “pesante”, cui gli artisti di oggi, posti in dialogo con maestri del calibro di Caravaggio, de Zurbarán, Rubens e van Dyck, reagiscono mettendo in campo astrazione e carnalità, senso del “qui e ora” e retaggi di barbarie universali. Fili rosso sangue ‒ dove il sanguigno allude alla dialettica citata da Tuymans quando evoca la compresenza di “elementi negativi e positivi che si intrecciano continuamente nella mostra allo scopo di suscitare domande, così da rendere più dinamica la comprensione dell’idea di Barocco” ‒ percorrono gli ambienti della Galleria Nord, del Podium e del Cinema, avvolgendosi attorno a nuclei tematici non codificati in maniera assoluta eppure ravvisabili negli interstizi fra le opere e nei loro accostamenti.

Michaël Borremans, Sleeper, 2007-08. Courtesy Zeno X Gallery, Anversa. Photo Peter Cox

Michaël Borremans, Sleeper, 2007-08. Courtesy Zeno X Gallery, Anversa. Photo Peter Cox

CONCRETEZZA E VANITAS

La fisicità e la “concretezza” del Barocco riecheggiano nelle sculture letteralmente carnali di Paul Thek, Reliquiari tecnologici custodi di frammenti organici, imbrigliati in teche di plexiglas, così come nell’ossessione per i vampiri, figure evanescenti ma spietate, che emerge dal Nosferatu di Javier Téllez. Corpi al confine tra sforzo e disfacimento, tra rigurgiti di vanitas e teste decapitate, lungo una linea del tempo sulla quale trovano posto l’Harnessed Swimmer di Dominik Lejman ‒ straniante proiezione di un nuotatore munito di imbragatura nei meandri di una tela nera, fissata a un muro altrettanto plumbeo ‒, le piante marcescenti dipinte da Joris Ghekiere, i cavalli riversi e rigidi, a dimensione naturale, di Berlinde De Bruyckere, la Vanitas secentesca di Franciscus Gijsbrechts e la disturbante Adoration de François pour Judith di Jan Van Imschoot, dove la testa mozzata fa il paio con Megas Dakis di Roberto Cuoghi o con lo Sleeper di Michaël Borremans. Corpi destinati al martirio o già esangui, eppure attraversati da uno sfrontato guizzo di vita: lo sapevano bene Francisco de Zurbarán e Pieter Paul Rubens quando tratteggiavano rispettivamente Il martirio di San Sebastiano e il Compianto sul Cristo morto, ma anche Caravaggio, abile nell’eternare la sorpresa del dolore sul volto del Ragazzo morso da un ramarro.

Jake & Dinos Chapman, Fucking Hell, 2008. Pinault Collection

Jake & Dinos Chapman, Fucking Hell, 2008. Pinault Collection

TRA VITA E MORTE

Una soglia netta e perenne, quella fra la vita e la morte, che non ammette sconti, sia in termini fisici ‒ basti pensare alle Thanatophanies di On Kawara, alla Dead Girl di Marlene Dumas e alle Immolation di David Gheron Tretiakoff, gesti di protesta fatali disegnati da bruciature di sigaretta su carta leggera ‒ sia in termini storici ‒ la sconfinata apocalisse messa in scena dai fratelli Jake & Dinos Chapman in Fucking Hell accatasta gli orrori della guerra e del genocidio su pile di azioni umane dai contorni terrificanti.
Eppure, il sangue che scorre non smette di essere anche sinonimo di vitalità o, quantomeno, di un suo barlume. Come nell’Eclipse di Pavel Büchler o nella fragilità marmorea de Il giorno mi pesa sulla notte I di Luciano Fabro ‒ un frammento di marmo rosa del Portogallo e una colonna in marmo scuro, adagiati su un tappeto di biglie di vetro ‒, componendo infine un monito alla pienezza dello stare al mondo nell’opera conclusiva, Good Boy, Bad Boy di Bruce Nauman. Un ritorno viscerale ai bisogni cardine dell’esistenza, enunciati da un uomo e una donna, in un crescendo di ripetizioni segnato da una emotività sempre meno trattenuta: “I’m alive, you’re alive, we’re alive. This is living”.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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