Signora pittura. L’editoriale di Renato Barilli

Il “critico delle coppie bipolari” torna a parlare di pittura. Includendo nel medesimo discorso Kosuth e i wall painting, i writer di New York e i pittogrammi.

In genere vengo considerato il critico delle coppie bipolari, sulla scorta dell’insegnamento del Wölfflin, a cominciare dalla più celebre, del chiuso contro l’aperto. Ma se ne possono ricavare tante altre, cosa che ho fatto, forse addirittura con abuso di una simile procedura. Se ora qualcuno mi chiedesse di indicarne una in atto, direi senza esitazione che si sta procedendo verso una ri-materializzazione dei procedimenti dell’arte o, diciamo pure la parola, ricompare in scena sua maestà la pittura, tanto che mi ronza per il capo di organizzare da qualche parte una rassegna, rivolta a casi di giovani protagonisti, intitolata proprio Bentornata, signora pittura. Ho menzionato un’infinità di volte il celebre “triangolo” dichiarato da Joseph Kosuth, in cui è l’essenza dello spirito del ’68, ovvero la famosa “morte dell’arte”. Il che poi voleva dire, semplicemente, che si doveva abbandonare la pittura. “Volete riferirvi a una sedia?”, diceva il messaggio kosuthiano. “Avete tre modi leciti: prendere la sedia e porla nell’opera, seguendo la modalità del ready made duchampiano. Oppure ne date una foto, la più semplice e povera possibile. O infine ne mettete in mostra la definizione linguistica rubata da qualche dizionario. Ma per favore, non affaticatevi a proporne un qualche trattamento pittorico”.

“Ricompare in scena sua maestà la pittura, tanto che mi ronza per il capo di organizzare da qualche parte una rassegna, rivolta a casi di giovani protagonisti, intitolata proprio Bentornata, signora pittura”.

Ora questa modalità deve essere riammessa, seppure con tanti correttivi, e pure strizzando l’occhio alle operazioni precedenti. Per esempio, volete, voi giovani, fornire davvero delle immagini dipinte? Entrate in gara con quanto offrono le migliori foto, che hanno tutto il diritto di proseguire nel loro esercizio, si pensi ai casi di Nan Goldin e David LaChapelle. Su questo terreno può rinascere addirittura un “combattimento per un’immagine”, così da ricordarci che l’Impressionismo si era dichiarato ufficialmente nello studio del fotografo Nadar. Quanto alla scrittura, conviene abbandonare i brutti, anestetici caratteri del nostro misero alfabeto, guardare con ammirazione i sistemi di scrittura di Paesi extra-occidentali, che in effetti sono pittografici, pieni di curve, circonvoluzioni, fioriture. O magari ricordare le preziose miniature medievali, come in effetti facevano i writer newyorchesi al seguito di Rammellzee. Inoltre questa risorgenza pittorica non se ne deve stare abbarbicata al quadro, ma mirare ai grandi spazi, farsi wall painting, basta che sappia evitare gli stereotipi conformisti e ripetitivi di tanti street artist. Non lascerei certo cadere le mostruose realizzazioni di Damien Hirst, Jan Fabre, Urs Fischer, è un piacere vederle in piazze e musei, ma, dovessi dare un premio alla migliore apparizione dell’anno, andrebbe ai ritratti che David Hockney ha proposto a Ca’ Pesaro, e magari nella menzione ci sta pure una più giovane inglese quale Chantal Joffe.

Renato Barilli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #40

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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