Nuova edizione del festival Oriente Occidente di Rovereto. Le anticipazioni

Si ispira al tema del viaggio la nuova edizione del festival Oriente Occidente, in scena a Rovereto dal 3 al 12 settembre. Ne abbiamo discusso i dettagli con il direttore artistico Lanfranco Cis.

Viaggiare. Una necessità comune a tutti gli esseri umani. È la ricerca di un orizzonte, di un “altrove” possibile. Il viaggio assume oggi un significato ancor più necessario dopo i lunghi mesi di isolamento e di privazione degli spostamenti. Il viaggio è il tema del programma dello storico festival di Rovereto Oriente Occidente (dal 3 al 12 settembre), che si lascia contaminare da artisti nomadi per natura, che rifiutano di radicarsi in un’identità fissa, che amano esplorare, trasmettere, entrare in contatto con i territori attraversati osmoticamente, per dare e ricevere conoscenza. Artisti desiderosi di recuperare l’istintività del contatto, peculiare nell’arte della danza. 51 gli eventi del ricco programma, di cui 37 spettacoli e 14 conferenze a cui si aggiungono tre mostre, per ripartire come comunità. Internazionale per natura, la quarantunesima edizione del festival Oriente Occidente offre uno sguardo importante anche sul panorama italiano. E sceglie di attraversare l’intera città portando la danza nelle periferie, per le strade, nelle piazze e nei parchi, uscendo dal tradizionale spazio teatrale per portare lo spettacolo dal vivo anche fisicamente più vicino al pubblico. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Lanfranco Cis.

Maguy Marin, Umwelt. Photo Hervé Deroo

Maguy Marin, Umwelt. Photo Hervé Deroo

INTERVISTA A LANFRANCO CIS

Sguardi all’orizzonte, per vedere dov’è il futuro”. Il verso è tratto da una vecchia canzone dei Nomadi: Anni di frontiera. Un titolo con parole e concetti che aprono a molteplici visioni. Quale pensiero sottostà a questo programma?
Il viaggio è la ricerca di un altrove possibile. Dopo tutti questi mesi di isolamento e privazioni di spostamenti, il viaggio è diventato ancora più necessario. Isolati, abbiamo fortemente avvertito la necessità dell’incontro con l’altro, di conoscere, di aprirci a nuovi orizzonti, di vagabondare per conoscere luoghi e persone diverse. Il lavoro dell’artista è un lavoro nomade per natura: tutti noi ora sentiamo il desiderio di spostarci, insieme, lottando per recuperare il contatto fisico, la vita di comunità.

C’è un fil rouge che lega gli spettacoli dell’edizione 2021 del festival? Con quali criteri sono stati scelti?
Il tema dei viaggi guida questa edizione. Abbiamo scelto artisti che rifiutano di radicarsi in un’identità fissa, che amano esplorare, vagabondare, entrare in contatto con i territori che attraversano, per dare e ricevere conoscenza e suggestioni nuove. E poi c’è come al solito la danza, un’arte che ha al centro il contatto fisico, ciò che ci manca, ciò di cui in questi tempi cerchiamo di riappropriarci.

Le costrizioni imposte dalla pandemia hanno sicuramente condizionato la libertà di scelta. Quale linea ha seguito nella selezione delle compagnie straniere e quale per quelle italiane?
L’incertezza ha accompagnato i mesi di programmazione. Le scelte sono state dettate dall’idea che volevamo portare avanti e poi certamente abbiamo dovuto fare i conti con le limitazioni, che ha significato prediligere compagnie europee e proseguire con convinzione nel sostegno alla danza italiana. Mi piace pensare che ascoltare ciò che ci circonda aiuti a stringere relazioni. Scrive Canetti: “È importantissimo parlare con s-conosciuti. Ma bisogna fare in modo che essi parlino, e quello che si deve fare in questa occasione è di farli parlare. Quando questo non ci riesce più, è cominciata la morte”.

Alessio Maria Romano, Choròs. Il luogo dove si danza. Photo Andrea Macchia

Alessio Maria Romano, Choròs. Il luogo dove si danza. Photo Andrea Macchia

GLI SPETTACOLI DI ORIENTE OCCIDENTE

Quali sono, tra gli spettacoli in cartellone, quelli con una più forte valenza di impatto per le tematiche in campo?
Political Mother Unplugged, firmato dall’israeliano Hofesh Shechter, apre il festival e rappresenta un viaggio nella ribellione di un gruppo di giovani tra immagini digitali e musica ad alti decibel. Da sempre sul filo della denuncia, spesso definita “la pasionaria della danza” e alla ricerca di una verità relazionale e sociale, anche Maguy Marin torna a Oriente Occidente con il suo Umwelt, che racconta un mondo travolto dal consumismo e dalla rincorsa estenuante di un qualcosa che nemmeno è chiaro cosa sia. Anche il surreale lavoro di Peeping Tom ‒ il dittico The missing door e The lost room, che arriva in prima nazionale a Rovereto – racconta di anime stravaganti perse nel tempo e nello spazio impegnate in una instancabile e costante ricerca dell’altro.

Emerge, nel programma, un’attenzione ai temi sociali.
Dà voce a chi è smarrito, a chi attende senza sapere agire, anche Moby Dick, il lavoro di Chiara Bersani co-prodotto da Oriente Occidente grazie a Europe Beyond Access, progetto Creative Europe che supporta in tutta Europa artisti con disabilità.
E sull’attesa di un inverno che passi è incentrato anche The Fifth Winter di Malpelo, che torna dopo il successo dello scorso anno. A conferma del legame tra arte e temi che caratterizzano il contemporaneo a 360° anche il lavoro di Daniele Ninarello torna al MART con le sue “proteste” contro il bullismo. E, infine, i lavori con la comunità di Michela Lucenti e Alessio Maria Romano. Balletto Civile lavora con cittadini e cittadine di Rovereto e dintorni su storie di vite quotidiane trasformate in opere d’arte, mentre una comunità di giovani e giovanissimi danzatori e artisti sarà il Chòros di Alessio Maria Romano, in scena alle luci dell’alba alla Campana dei Caduti di Rovereto.

Carlo Massari - C&C Company - COB Compagnia Opus Ballet, Right. Photo Emanuele Rosa

Carlo Massari – C&C Company – COB Compagnia Opus Ballet, Right. Photo Emanuele Rosa

Dal suo osservatorio, il contatto ritrovato, seppur parziale, cosa può insegnare di nuovo alla comunità della danza?
Ho sempre guardato con timore e scetticismo all’elaborazione di un’estetica post Covid, come se non si potesse pensare d un evento che, pur drammatico, fosse destinato ad attenuarsi e auspicabilmente a sparire. Sono sempre stato scettico di fronte al desiderio di cercare forme surrogate, alle quali molte volte mancava l’elemento fondativo dello spettacolo: la presenza viva tra artisti e pubblico. Ho sempre pensato invece con ottimismo che da questa esperienza di isolamento si potesse uscire più ricchi e motivati nella ricostruzione di una comunità fondata sull’ascolto e sull’apertura all’altro.

In tutti questi anni di direzione artistica del festival cosa l’appassiona ancora?
Scoprire una sempre diffusa esigenza di partecipazione. Vivere l’emozione di scoprire insieme la conoscenza dell’altro, partecipando a un’avventura culturale e di comunità, con la città e con gli ospiti del festival.

‒ Giuseppe Distefano

www.orienteoccidente.it

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Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

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