LOST Festival. Musica e arte al Labirinto della Masone di Parma

Report della prima edizione di LOST – Labyrinth Original Sound Track, il festival dove la sperimentazione elettronica e ambient si spinge verso i confini dell’arte.

Le sere del 7 e 8 giugno, bagliori colorati e nebbie artificiali, nella due giorni di musica e performance della prima edizione di LOST (Labyrinth Original Sound Track), diventano un tutt’uno con il percorso del Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, il più grande del mondo. Muoversi all’interno di questa gigantesca, disorientante installazione dà l’impressione di seguire da vicino quelle idee di suono e immagine che saranno sviluppate dagli artisti ospiti e che si manifestano in forma gassosa e immateriale.
Dopo aver esplorato l’intrico in notturna, si assiste all’inizio dei concerti con gli Ozmotic, duo italiano che dà vita a un paesaggio sonoro di micro e macro relazioni, dove ci si adagia quasi subito, mentre la piramide, culmine del percorso, fa da cornice di fronte al palco. Mentre gli artisti rivolgono al mistero della struttura e ai vicoli del dedalo i propri flussi sonori, lo spazio comincia letteralmente ad animarsi, tanto che pare restringersi e dilatarsi come materia che respira, alimentata da uno schermo gigante sul quale, per tutta la prima sera, le proiezioni scavalcano e inseguono il suono.
Il rapporto tra immagine e performance sonora, già stretto nel live degli Ozmotic, continua la sua danza con Antartic Takt, performance audiovisiva di Dasha Rush supportata dal video artist Stanislav Glazov, cui seguono le catastrofi sonore del collettivo Spime.im, che sfaldano il paesaggio attraverso un’invasione acida e corrotta. Chiude Cabaret Voltaire, all’occasione rappresentato da Richard H. Kirk in console, con la sua lunga storia accompagnata da immagini elaborate da VHS.

LOST Festival. Labirinto della Masone, Fontanellato 2019. Photo © Stefano Zerbini

LOST Festival. Labirinto della Masone, Fontanellato 2019. Photo © Stefano Zerbini

BEN FROST E GIANT SWAN

Sabato 8 giugno tocca a Maria w Horn aprire la serata, con le atmosfere a tratti spiritiche dell’ultimo lavoro, Kontrapoetik, mentre Tim Hecker & Konoyo Ensemble, con l’ultimo album Anoyo, attingono da un impianto visivo accessibile principalmente attraverso una ricerca interiore. Chiudere gli occhi favorisce uno stato di trascendenza, che libera immagini nascoste e visioni profonde.
Finita la performance, la gente si dirige verso il bar, quando è il turno di Ben Frost, il quale ribalta i punti di riferimento col palco che sfuma in secondo piano e il pubblico che, per qualche attimo, appare disperso, come se nelle menti fossero ancora presenti residui di smarrimento del viaggio nel labirinto. Un movimento circolare, però, raduna tutti intorno a un centro transennato, senza piedistallo, che contiene Frost nella sua postazione. Da quel fulcro neurale il suono dilaga fin dentro il corpo dello spettatore, facendone campo vivo di registrazione. È il progetto Widening Gyre, con cui il produttore australiano crea un ambiente sonoro nel quale ci si muove e si viene mossi grazie a un impianto composto da enormi altoparlanti disposti su ogni lato.
Sul finale lo schermo spento s’illumina di nuovo per la chiusura dionisiaca sancita dalla techno energica dei Giant Swan. Il pubblico si trasforma in folla e la folla si lascia andare alla frenesia del ballo, liberando energie accumulate durante il festival. Un groviglio di sensazioni positive e aspettative soddisfatte che vagano ora per il labirinto in attesa della prossima edizione.

Domenico Russo

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Domenico Russo

Domenico Russo

Domenico Russo è laureato in Beni Artistici, Teatrali, Cinematografici e dei Nuovi Media presso l’Università di Parma. Ha collaborato con il Teatro Lenz e con la Fondazione Magnani Rocca. È impegnato come curatore in una ricerca che lo spinge alla…

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