Torino Film Festival: l’importanza del teatro nel cinema di Paolo Sorrentino

Fra le tante sorprese dell’ultima edizione del Torino Film Festival spicca l’incontro che Paolo Sorrentino ha tenuto al Teatro Astra il 2 dicembre scorso. Fra aneddoti personali e spezzoni di film, il regista ha discusso del ruolo dei monologhi nelle sue pellicole

Quanto spazio occupano il teatro e i moti interiori dei personaggi nei film di Paolo Sorrentino? A questa domanda ha risposto lo stesso cineasta che, in occasione dell’appena conclusa 40esima edizione del Torino Film Festival (TFF), lo scorso 2 dicembre ha incontrato il pubblico del Teatro Astra di Torino per raccontarsi proprio attraverso l’analisi di uno degli espedienti narrativi più caratteristici delle sue pellicole, ovvero il monologo. Inserito all’interno della rassegna Dialoghi della stagione TPE 2022/2023, l’evento ha accompagnato tanto gli spettatori quanto il grande regista napoletano in un viaggio inedito, fatto di impressioni e ricordi, nella psicologia dei protagonisti dei suoi lungometraggi.

L’INCONTRO DI PAOLO SORRENTINO AL TEATRO ASTRA

Moderato dal direttore del TFF, Steve Della Casa, e da David Grieco, l’evento è stato introdotto da alcune riflessioni che Andrea De Rosa ha maturato a proposito della commistione tra cinema e teatro nell’opera di Sorrentino: un connubio particolarissimo debitore in qualche modo di quel fermento creativo che, nella Napoli dei primi anni Novanta, attraversava specialmente gli uffici di Teatri Uniti, la compagnia teatrale fondata da Mario Martone e Toni Servillo nel 1987.
Credo che il suo cinema abbia subito l’influsso di quell’ambiente che era anche e soprattutto teatrale – ha precisato De Rosa – e credo che una spia di questa influenza si trovi proprio nel gran numero di monologhi presenti nei suoi film. Il monologo è uno strumento espressivo tipico del teatro che è stato usato anche da molti altri registi di cinema ma che solo Paolo Sorrentino ha adoperato in modo sistematico fino a renderlo quasi un tratto distintivo della sua cinematografia”. Emblema della congiunzione tra queste due diverse discipline artistiche, il monologo diviene per Sorrentino non solo il mezzo ideale per consentire ai suoi personaggi di sviscerare intime ambizioni e fragilità personali ma anche numerose altre cose.

La grande bellezza (2013) Saverino Cesari, Giovanna Vignola, Anna Della Rosa, Pamela Villoresi, Carlo Verdone, Iaia Forte, Carlo Buccirosso, Cristina Aubry

La grande bellezza (2013) Saverino Cesari, Giovanna Vignola, Anna Della Rosa, Pamela Villoresi, Carlo Verdone, Iaia Forte, Carlo Buccirosso, Cristina Aubry

COME NASCONO I MONOLOGHI NEI FILM DI SORRENTINO

Ancora secondo Andrea De Rosa, i monologhi presenti nei film di Sorrentino si possono suddividere in tre categorie principali: una prima cosiddetta del monologo interiore (come avviene per esempio in film quali Le conseguenze dell’amore e Il divo), una seconda tipologia in cui l’attore parla con un interlocutore silenzioso a mo’ di flusso di coscienza (Youth), e un’ultima

che, avvalendosi dell’invettiva, non consente agli altri interlocutori di intervenire poiché sopraffatti da un fluire inarrestabile di argomentazioni (come succede in La grande bellezza e Loro). Figlio di occorrenze diverse, per Sorrentino il soliloquio può tanto sorgere dalla volontà di riciclare testi scritti in previsione di libri mai portati a termine quanto dal desiderio di esternare opinioni individuali. Come ha infatti sottolineato lo stesso regista, a proposito de Il divo: “L’ultima stesura del copione nasceva da un’esigenza legata all’indecifrabilità di Andreotti, cioè il film non rendeva mai possibile esprimere un mio punto di vista sul film e allora l’unico modo che trovai per avere un mio punto di vista era uscire dal personaggio di Andreotti e costruire un monologo immaginario, una specie di cosa mai successa”.

E ancora: “Alle volte nascono tutti da esigenze molto diverse. Per esempio il monologo de La grande bellezza nasce dalla mia antipatia per certi personaggi che dicono un certo tipo di cose, come fa Galatea Ranzi che interpreta Stefania, e quindi nasce dalla frustrazione in società di non poter dire a quelle persone quello che dice Servillo. Dato che sono in un film mi sono permesso il lusso di dire quello che penso. Spesso il monologo viene usato da me anche per fare dei bilanci: di dove sono i personaggi, a che punto sono e soprattutto per sottolineare che non hanno fatto nessun passo in avanti, che poi è un po’ la sintesi dei miei film, cioè come si comincia così si finisce, non si fa nessun passo in avanti”.   

Valerio Veneruso

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Valerio Veneruso

Valerio Veneruso

Esploratore visivo nato a Napoli nel 1984. Si occupa, sia come artista che come curatore indipendente, dell’impatto delle immagini nella società contemporanea e di tutto ciò che è legato alla sperimentazione audiovideo. Tra le mostre recenti: la personale RUBEDODOOM –…

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