Fama, identità e controllo nel film dedicato a Marilyn

Secondo capitolo delle riflessioni sul film ispirato a Marilyn Monroe che tanto sta facendo discutere. Stavolta si parla di identità e di controllo, fondamentali per capire il personaggio Norma Jean-Marilyn


La scorsa puntata si concludeva con le parole di Adrien Brody, coprotagonista di Blonde (nel film interpreta Arthur Miller), oltre che uno degli attori hollywoodiani più talentuosi e intelligenti della sua generazione, il quale in un’intervista ha dichiarato: “Dal momento che il film racconta una prospettiva in prima persona, finisce in qualche modo per diventare un’esperienza traumatica, perché tu sei dentro di lei – il suo percorso e i suoi desideri e il suo isolamento – in mezzo a tutta questa adulazione. È coraggioso, e ci vuole un po’ per digerirlo. E penso che confligga con la percezione che il pubblico ha della sua vita”.
Vale quindi la pena soffermarsi un po’ sul tipo di fruizione suggerita da Brody, per comprendere anche come mai questo film a molti non sia ‘piaciuto’. La “prospettiva in prima persona” implica che lo spettatore sia continuamente insieme a Norma-Marilyn, con Norma-Marilyn, e in definitiva dentro Norma-Marilyn (“tu sei dentro di lei”). È certamente una percezione piuttosto atipica per gli standard odierni della narrazione cinematografica, che, al di là degli effetti speciali roboanti, molto spesso, anche nel cinema cosiddetto ‘d’autore’, non va oltre una sconsolante linearità.
Qui la non-linearità (che ha a che fare ovviamente anche con l’esorbitante lunghezza del film) ci permette di non vedere l’opera in un unico senso – inizio/fine, ascesa/svolgimento/caduta, ecc. –, ma di tuffarci in essa in più momenti, in più punti. Del resto, l’immagine che ha infastidito molti del feto nel grembo (con cui Norma parla a più riprese, e il/la quale ci tiene a sottolineare che, nonostante le diverse gravidanze, è sempre lo stesso bambino…) è in realtà una metafora esplicita di che cosa è questo film: un grembo, appunto.

Andrew Dominik, Blonde (2022), still da film

Andrew Dominik, Blonde (2022), still da film

LE FONTI DI ISPIRAZIONE DEL FILM BLONDE

Partendo da qui, è possibile ricostruire le ascendenze e i riferimenti di Andrew Dominik in termini di linguaggio: quindi sicuramente il David Lynch ultimo (di Inland Empire e della terza stagione di Twin Peaks), Terrence Malick, il Gus Van Sant di Last Days (e sarebbe interessante confrontare criticamente, a diciassette anni di distanza, il Kurt Cobain di Michael Pitt con la Marilyn Monroe di Ana De Armas…), ma anche in campo letterario e in generale di immaginario condiviso il James Ellroy del dittico American Tabloid-Sei pezzi da mille (JFK a letto con la fascia posturale, molto più squallido rispetto al suo mito presente e seguente).
L’esplorazione linguistica da parte del regista non è affatto autoreferenziale e fine a se stessa (come pure è stato detto), ma è assolutamente funzionale al discorso che fa il film: in quest’opera tutta “in prima persona”, la distorsione e la deformazione delle immagini – che deve molto anche, va detto, alla videoarte degli ultimi vent’anni – fa il paio con la distorsione e la deformazione del racconto. Un racconto spiraliforme, che continuamente gira attorno al nucleo fondante dell’identità dell’attrice, di come costantemente questa identità si costruisce e si distrugge, si trasforma e si disfa, di come si definisce attraverso il conflitto permanente con le strutture patriarcali e in generale con il controllo esercitato dai vari sistemi degli Anni Cinquanta e Sessanta ‒ si chiamino essi “Hollywood”, “potere” o “società”.

Andrew Dominik, Blonde (2022), still da film

Andrew Dominik, Blonde (2022), still da film

IL PROBLEMA DELLA FAMA PER MARILYN MONROE

La fama è quindi per Norma-Marilyn al tempo stesso il veicolo di affermazione e riscatto da un passato traumatico, ma anche la causa e lo strumento dei nuovi, devastanti traumi a cui viene sottoposta: questo soggetto da cui noi non possiamo mai staccarci per tutta la durata del film, questo volto riprodotto ossessivamente e presente su schermi, copertine di riviste patinate, manifesti, gigantografie, questo volto e questo corpo che scartano di continuo tra il bianco e nero e i colori, questo volto e questo corpo che scartano di continuo tra spettacolo glamour della sala e realtà cruda dell’esistenza, si definiscono nel dolore attraverso i ripetuti tentativi di schiacciarli da parte del mondo maschile. Dai quali ogni volta la protagonista riemerge più forte, ma anche più fragile.
Le poche ma significative vittorie della protagonista sono quelle in cui riesce a liberarsi momentaneamente dal ‘controllo’, a riconoscersi finalmente in qualcuno di altrettanto perso e triste, e a fuoriuscire dal ruolo che le è stato cucito addosso: ad affermarsi, cioè, come essere umano completo e indipendente.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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