Fiere e le grandi mostre sono un impedimento per l’arte?

Sempre più conforme, decorativa e specchio delle classi benestanti, l’arte contemporanea trova un ulteriore ostacolo nelle grandi manifestazioni – dalle fiere alle biennali alle mostre blockbuster ‒, che assecondano il suo appiattimento.

A inizio aprile, a poco più di un mese dallo scoppio della guerra in Ucraina, scrivevo: “La risposta a un’arte dominata ossessivamente dall’ego e inutilmente provocatoria non sta nel didascalismo moraleggiante. Quando scrivo di un’arte sfrangiata che perde i suoi bordi, i suoi margini, e che si fonde con i margini scomodi e tristi e problematici del presente, voglio dire in fondo anche questo: abbiamo un disperato bisogno di un’arte che, coscientemente, sia in grado di confondersi con la realtà – e con le sue contraddizioni più profonde. Cioè di un’arte che, invece di perdersi nel solito stanco e polveroso giochino (…) sia finalmente in grado di uscire fuori, fuori nello spazio della vita di tutti, e di toccare le persone parlando di ciò che amiamo di più e di ciò che temiamo di più. Di ‘afferrare la vita dall’interno e non dall’esterno’, come diceva Jonas Mekas”.
Sei mesi dopo, la situazione è incomparabilmente più grave, dal punto di vista geopolitico, sociale ed economico. E il mondo dell’arte?
È abbastanza chiaro che in questi anni si sta approfondendo la spaccatura tra sistema istituzionale dell’arte contemporanea (musei, fiere, biennali e manifestazioni, gallerie, ecc.) e le opere in grado di stabilire una relazione profonda con i propri contesti e comunità di riferimento (opere che quasi mai, infatti, e per ragioni strutturali, vengono intercettate dai radar ufficiali).

Elena Bellantoni, Mi sono seccata, Cantieri Montelupo, letto della Pesa, Montelupo Fiorentino, 8 luglio 2022. Photo Mario Lensi

Elena Bellantoni, Mi sono seccata, Cantieri Montelupo, letto della Pesa, Montelupo Fiorentino, 8 luglio 2022. Photo Mario Lensi

IL SISTEMA DELL’ARTE OGGI

Quali le caratteristiche strutturali del “sistema”? Intanto, il fatto abbastanza lampante che sempre più, nel corso dei decenni, esso si è dedicato al sostegno e all’espressione dei valori, degli interessi e delle istanze di un’unica classe sociale: quella privilegiata.
I ricchi, insomma, hanno deciso da un po’ che l’arte deve parlare di loro (e gli artisti, incredibilmente, in maggioranza si sono adeguati).
Altrettanto chiara è la conseguenza principale che questa disposizione ha avuto e ha sull’opera d’arte: essa infatti è tendenzialmente decorativa, decisamente retorica, e non concede di proposito alcuno spazio all’idea che l’arte possa realmente trasformare il pensiero delle persone – e dunque la realtà.
Attenzione: questo processo non ha davvero nulla a che fare con i “temi” che le opere stesse “trattano”. Anzi.
Molto spesso, più l’opera d’arte si schiera implicitamente in favore delle classi agiate, più essa esplicitamente si posiziona comodamente in un margine indagato in maniera del tutto ipotetica, sfruttando l’estetica del disagio sociale in un’ottica di vera e propria poverty pornography, per estrarne un profitto e un vantaggio economico (come ha brillantemente sottolineato l’artista Candice Breitz nel corso di un talk con Fiamma Montezemolo e Selenia Marabello durante l’ultimo festivalfilosofia di Modena).
Del resto, lo aveva notato in altri termini anche il critico letterario Gianluigi Simonetti nel pezzo di questa estate sulla finale del Premio Strega citato nella scorsa puntata: “Alla fine ha vinto Desiati, guarda caso il meno outsider dei finalisti, il meno spatriato nella repubblica delle Lettere. Dev’esserci un rapporto tra questa presenza centrale e questo proiettarsi nei margini: e non sarebbe male come materia romanzesca” (Gianluigi Simonetti, Attraverso lo specchio. Lo Strega di quest’anno, “Domenica – Il Sole 24 Ore”, 10 luglio 2022, pubblicato anche in versione ampliata ne Le parole e le cose).
Materia romanzesca, sì; ma anche materia da critica d’arte.

Elisa Merra con Ivana Antonini, Ceramiche d'arte Dolfi di Ivana Antonini, Cantieri Montelupo, Montelupo Fiorentino, 15 settembre 2022

Elisa Merra con Ivana Antonini, Ceramiche d’arte Dolfi di Ivana Antonini, Cantieri Montelupo, Montelupo Fiorentino, 15 settembre 2022

LA QUESTIONE DELL’ARTE POVERA

Perché la situazione appena descritta si presenta di certo complicata, ma anche molto affascinante: opere dall’aspetto “povero”, con una coscienza sociale apparentemente forte, che però a uno sguardo un po’ più approfondito sono incontestabilmente conservatrici (in entrambi i sensi: politico e linguistico). E opere che si mescolano in modi imprevisti e imprevedibili con il mondo (progressiste, potremmo dire: in mancanza per il momento di un aggettivo più calzante; ma anche, perché no, evolutive) che non solo non vengono riconosciute dal “sistema” se non eccezionalmente, ma che a loro volta ignorano a bella posta il sistema stesso, e che a quanto pare si apprestano a costruire un’altra dimensione per la fruizione dell’arte, che prescinde completamente dai paradigmi e dalle abitudini consolidate (vado alla ‘mostra’, per vedere degli oggetti che sono esposti lì e solo lì appositamente per me; e comunque la distinzione tra opera e spazio, tra arte e realtà, tra arte-da-contemplare e spettatore-che-contempla, tra spettacolo e pubblico è molto netta e indiscutibile…).
D’altra parte, se ci pensiamo, uno dei problemi dell’Arte Povera e in generale di molte tendenze emerse nei tardi Anni Sessanta non è stato poi così diverso (in condizioni certamente differenti): l’aver puntato tutta la loro rivoluzione (in gran parte riuscita, peraltro) sul linguaggio, trasformando radicalmente l’eredità del Modernismo e delle avanguardie storiche; per essere poi tranquillamente riassorbite dal mercato. Con il risultato di vedere annullate, o quantomeno drasticamente ridimensionate, tutte le aspirazioni e le istanze utopiche.

IL PROBLEMA DELLE FIERE E DELLE BIENNALI

È chiaro dunque (come ha dimostrato anche documenta15) che il punto centrale, in questo momento storico, non sta più o non sta soltanto nell’opera in sé, ma nei dispositivi: fiere, biennali, grandi mostre sono ormai macchine arrugginite, inceppate, che – al prezzo di un enorme dispendio di risorse, economiche e ambientali – non solo non consentono, ma impediscono molto spesso alle opere di esprimere tutto il proprio potenziale e di assolvere alle loro funzioni reali.
Se non, appunto, a quella della decorazione o dell’investimento finanziario.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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