Parola e arte in tre azioni performative

Quanto conta la parola quando si entra nella dimensione della creatività? Da Romeo Castellucci all’ultima produzione della compagnia Laminarie in scena a Bologna fino al 7 novembre, Claudio Musso prova a interrogarsi su una questione tutt’altro che semplice

Febo Del Zozzo, È tutto qui, 2021. Photo Andrea Benini
Febo Del Zozzo, È tutto qui, 2021. Photo Andrea Benini

Nel 1975 l’artista Fabio Mauri dà alle stampe Linguaggio è guerra. Si tratta di un libro-opera che negli anni successivi, sotto forma di installazione fotografica, viene esposto in diversi musei italiani e stranieri. Un’opera capitale, un condensato della poetica dell’artista: attraverso la timbratura di immagini belliche tratte da riviste inglesi e tedesche si attua un’appropriazione e insieme uno svelamento della retorica politica.

Romeo Castellucci, Il Terzo Reich, 2021. Photo © Lorenza Daverio
Romeo Castellucci, Il Terzo Reich, 2021. Photo © Lorenza Daverio

IL TERZO REICH DI ROMEO CASTELLUCCI

Ciò che continua ad assillarmi è proprio il titolo, quell’accostamento quanto mai azzeccato, quanto mai incisivo, tra l’utilizzo del linguaggio e la strategia della battaglia. Lo stesso titolo che mi è balenato alla mente come didascalia dell’installazione-spettacolo Il Terzo Reich di Romeo Castellucci presentata di recente al Santarcangelo Festival. Dopo la coreografia di Gloria Doriguzzo, il fruitore viene letteralmente aggredito (e di certo non aggradato) dalla proiezione lampeggiante di tutti i lemmi presenti nel vocabolario della lingua italiana.
Che si tratti di un bombardamento è chiaro fin da subito, la velocità con la quale appaiono e scompaiono le parole accelera fino all’illeggibilità seguita passo passo dal suono creato da Scott Gibson, difficile da descrivere se non accomunandolo a una sequenza interminabile di violenti scoppi. La parola è dunque imprigionata, vittima della sua stessa forma, anzi della forma che è costretta a prendere per essere vista, trasmessa.

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Flavio Favelli, Nanni Menetti, Fabiola Naldi, 1X2, 2021. Photo Elena Borghi
Flavio Favelli, Nanni Menetti, Fabiola Naldi, 1X2, 2021. Photo Elena Borghi

1X2 A BOLOGNA

Parola che è protagonista anche nel progetto 1X2 del “collettivo temporaneo” formato da Flavio Favelli, Nanni Menetti e Fabiola Naldi, in cui l’improvvisa e spontanea (?) pittura congruente dei due artisti diventa il pretesto per una riflessione linguistica, o meglio grammaticale. All’ostensione delle due tele in questione nelle sale delle Collezioni Comunali d’Arte del Comune di Bologna, infatti, si approssima la lettura animata di un atto notarile nella vicina Cappella Farnese e l’affissione pubblica di un manifesto realizzato da eee studio. È quest’ultima parte a offrire una semplice quanto straniante rilettura di un elenco di concetti. Capita così che, nella prima colonna che segue l’ordine alfabetico, ‘eternità’ preceda ‘frequentazioni’, mentre nella seconda, ordinata per lunghezza, ‘eternità’ segua ‘infanzia’. Non è solo il gioco degli abbinamenti a creare dinamitardi cortocircuiti, le scintille si sprigionano dalla forzatura dei limiti dell’opera, della sua presentazione e dei ruoli degli autori.

Che si tratti di un bombardamento è chiaro fin da subito, la velocità con la quale appaiono e scompaiono le parole accelera fino all’illeggibilità seguita passo passo dal suono creato da Scott Gibson”.

Intersezioni inevitabili anche parlando dell’ultima produzione della compagnia Laminarie: Invettiva inopportuna di e con Febo Del Zozzo. Prima di tutto una frase, abbagliante e perentoria: “Il teatro valorizza gli imprevisti”. Il motto desunto da Claudio Meldolesi diventa, in scena e grafia, una struttura rotante, un astro luminescente. I movimenti e le traiettorie dell’unico attore cercano di divincolarsi dalla rete di corde che avvolge lo spazio scenico come una gabbia, fino all’apice: la caduta del cielo, della graticcia precaria che regge la struttura effimera. L’uomo è nuovamente solo, con le sue parole: “A un certo punto viene il giorno dove si sfiora il fondo”.

Claudio Musso

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #62

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AutoriRomeo Castellucci, Flavio Favelli, Nanni Menetti
CuratoreFabiola Naldi
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Claudio Musso
Critico d'arte e curatore indipendente, la sua attività di ricerca pone particolare attenzione al rapporto tra arte visiva, linguaggio e comunicazione, all'arte urbana e alle nuove tecnologie nel panorama artistico. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia e Storia dell’arte presso l'Università di Bologna, ateneo dove aveva precedentemente conseguito la laurea triennale e specialistica. Attualmente è docente di Fenomenologia delle arti contemporanee e di Teoria della percezione e psicologia della forma presso l’Accademia G. Carrara di Belle Arti di Bergamo dove ricopre il ruolo di Coordinatore del corso di Pittura, insegna inoltre Linguaggio della visione presso Spazio Labo’ a Bologna. Tra il 2007 e il 2011 ha collaborato con il MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna per la ricerca scientifica e per l'organizzazione di conferenze e incontri. Ha partecipato in qualità di curatore e di membro di giuria a festival internazionali (LPM - Live Performers Meeting, Roma – Minsk; roBOt - Digital Paths into Music and Arts, Bologna) ed è stato invitato come relatore a convegni e conferenze in Italia e all’estero (tra le altre AVANCA | CINEMA International Conference Cinema, Art, Technology - Cineclub Avanca, Portogallo; VIII MAGIS – International Film Studies Spring School - Università di Udine, Gorizia; Artscapes - An Interdisciplinary Conference on Art and Urban Scapes - University of Kent, Canterbury). Dal 2004 al 2011 è stato collaboratore di Exibart.com e Exibart.onpaper, dove dal 2008 dirigeva la rubrica visualia. Prende parte al network Digicult e collabora con il magazine di cultura digitale Digimag. Scrive regolarmente per Artribune. Ha pubblicato numerosi articoli, testi critici e saggi, il più recente si intitola Dalla strada al computer e viceversa (Libri Aparte, Bergamo 2017).