La donna ebrea che fotografò il Duce. La storia sepolta di Ghitta Carell
La più grande e acclamata fotografa tra le Due Guerre, poi finita in sordina per le sue origini “impure”. Questa è la storia di Ghitta Carell, che un nuovo libro e una ricca mostra a Villa Necchi a Milano invitano a riscoprire

Margaret Klein (Szatmár, 1899 – Haifa, 1972), di famiglia ebraica, nata in Ungheria nel 1899. Il Re d’Italia Vittorio Emanuele III, Nevile Chamberlain, la Regina d’Inghilterra Elisabeth e la figlia Margaret, le famiglie Mondadori e Pirelli. Persino Walt Disney e… un Benito Mussolini a monte della promulgazione delle Leggi Razziali. Cos’hanno in comune tutte queste persone – la prima poco nota, gli altri parte della storia – oltre all’essere vissuti nel periodo tra le due Guerre Mondiali? Il nome di una donna: una grandiosa fotografa, che li ritrasse uno ad uno, soddisfacendo il loro desiderio di essere immortalati dall’artista più in voga nell’alta società del tempo. Tale fotografa è proprio la prima della lista: Margaret Klein, meglio conosciuta come Ghitta (diminutivo di Margit) Carell. Certo, a noi contemporanei non dice molto. La sua fama, infatti, così elevata nei primi Anni Trenta, si affievolì all’improvviso nel 1938. Una delle sue ultime firme ante-guerra come autrice di un ritratto – e di un ritratto proprio di Mussolini – è del 1937. Poi, le Leggi Razziali la costringono a nascondersi. Non perseguitata, attende. Attende fino alla fine del conflitto e dunque si mette a ricostruire la sua attività interrotta, con mostre e nuove commissioni. Commissioni, forse meno altisonanti, ma che confermano le sue doti di imprenditrice. Una donna che sapeva fare affari e intessere le relazioni giuste. Ulteriore fattore che la rende un modello femminile da riscoprire in un mondo, come quello odierno, dove le differenze di genere sono ancora troppo marcate. E l’occasione giunge proprio in questi mesi ormai quasi estivi, durante i quali Villa Necchi Campiglio di Milano propone una mostra che la vede protagonista. A questa si aggiunge il nuovo volume We all think of ourselves as a single person but it’s not true, a cura di Roberto Dulio e Maria Sica. Prima ancora che visitiate la mostra o leggiate il libro, ripercorriamo qui i punti chiave della vita di Ghitta Carell e della sua fotografia.

Chi è Ghitta Carell: la vita
Una fotografa ebrea ungherese
Figlia di un calzolaio, Margit Klein nasce in Ungheria e lì trascorre anche i primi anni della sua formazione. Non si hanno molte notizie documentate, ma due certezze ci sono e rimarranno sempre per lei una costante d’affezione: la lingua e la religione. L’ungherese e l’ebraismo. Si può ipotizzare il suo avvicinamento alla fotografia guardando ai personaggi del settore che circolavano allora. Primo – e più probabile di tutti – è József Pécsi. Anch’egli ebreo, trasferitosi a Pest apre in città uno studio, ove accoglie come allieve molte giovani studentesse di alta e media società, che vedono la fotografia come un campo di possibile emancipazione economica. Si tratta infatti, almeno allora, di un settore in cui è relativamente semplice farsi strada anche per una donna. Come già detto, i dati non sono sicuri, ma una somiglianza di tecnica tra Carell e Pécsi si ritrova nell’uso comune del ritocco, che avvicinava la figura dell’artista a quella del pittore. Dell’Ungheria, l’artista manterrà sempre un vivissimo ricordo, rispolverato nel cominciare ogni missiva dei suoi clienti con drága in luogo di cara o caro.
La carriera in Italia
Nel 1924 arriva a Firenze e intraprende con convinzione la carriera di fotografa. Da vera business woman moderna si costruisce una fitta rete di relazioni altolocate e, acquisita una certa fama, fa pagare bene i suoi servizi. 2000 lire per uno: non male (considerando che sarebbero circa 2000 euro di oggi), soprattutto per una donna. Tale cifra, ovviamente, riguarda commissioni di clienti “standard”; per quelli “speciali” – ossia personaggi particolari – la ricompensa è immateriale. Scatti forniti in amicizia, per poco o nulla, che fungono da potente strumento di captatio benevolentiae e le portano l’accesso a nuovi clienti socialmente ben posizionati.
In breve tempo, la platea di volti ritratti da Ghitta Carell si popola delle figure di spicco del fascismo, dell’alta società, della sfera intellettuale in cui non si può evitare di citare la grande Margherita Sarfatti.
Le Leggi Razziali e il declino
Tutto va a gonfie vele… almeno fino al 1938. Neppure una fama così solidamente costruita come quella di Carell regge ai colpi delle Leggi Razziali, che fanno strage di innocenti ebrei di ogni genere. Dal canto suo, scampa alle persecuzioni e non è costretta ad abbandonare l’Italia, dove trascorre gli anni della Guerra tra Roma e Milano. Però, la sua carriera va in fumo, i grandi clienti – tra cui spiccava Mussolini stesso – si dileguano.
Finito il conflitto, si ritrova con un nome quasi tutto da ricostruire. E si impegna con questo fine partecipando a mostre e iniziative, sfruttando i pochi contatti sopravvissuti. Ottenuta la cittadinanza italiana nel ‘59, la fotografa riesce finalmente a tornare in scena con un’importante commissione. Si tratta del servizio a Papa Giovanni XXIII, databile 1960.
Nonostante questo ritorno, però, il peso dei ricordi incombe e arriva a soffocarla. Qualche anno dopo, una forte depressione la spinge ad Haifa, dove vivono la sorella e la nipote. Lì morirà nel gennaio del 1972.

Ghitta Carell: un’artista-fotografa
Sulla scia del suo (probabile) maestro József Pécsi, la produzione di Ghitta Carell si può considerare a metà tra fotografia pura e pittura.Le analogie sfiorano tanto la tecnica quanto le fonti di ispirazione storiche. L’artista si sofferma su tagli, inquadrature, particolari e luci… tutti elementi che, combinati, danno vita a uno stile unico. Ma c’è di più: gran parte del processo creativo è dato dalla post-produzione. Carell ritocca con pazienza ogni foto a tavolino; con leggio e strumenti appositi – matite, colori, pennelli e raschietti – trasforma i soggetti secondo la sua immagine mentale. Più che una fotografa, pare una pittrice. Ogni composizione è studiata; facendo attenzione si distinguono rimandi culturali eterodossi: dal glamour hollywoodiano al piglio raffinato e rinascimentale tipico dei ritratti di Raffaello. In Ghitta Carell il lato pittorico che guarda all’arte rinascimentale si mescola alla moda del XX Secolo in un risultato ambiguo, che si confà ai grandi nomi della scena a lei coeva.
Ghitta Carell e l’alta società italiana
Dai personaggi rievocati all’inizio su comprende bene la posizione sociale di cui gode Ghitta Carell negli anni d’oro tra le Guerre. Molte le donne altolocate di sua abituale frequentazione: dalla principessa di Piemonte, a Margherita Sarfatti, fino alla primogenita del Duce. Tutte immortalate innumerevoli volte. Un servizio da cui ottiene, in cambio, preziose vie d’accesso a nuovi – e ricchi – mercati sociali vicini al regime e agli intellettuali.
I ritratti del Duce
Nel ‘36, apice della sua carriera, l’artista è riuscita a scalare una società in cui, lo si deve ricordare, le donne hanno scarso valore. La fotografia – mezzo di propaganda prediletto dai potenti – funge da lasciapassare in ogni campo e le permette di affermarsi, sulla scia del successo che già altre prima di lei avevano dimostrato negli Stati Uniti. Testimonianza evidente di ciò sono le numerose immagini che ritraggono Mussolini. Dapprima lo si vede in rappresentazioni che fondono valori tradizionali e tocchi glamour. Specchio del suo eclettismo costruito sulle glorie della nobiltà. In molte fotografie lo si vede con una posa da intellettuale – a braccia conserte o con le mani in tasca. Il messaggio è quello di un leader solitario e più accessibile. Poi, però, tutto cambia. Nel 1937 diventa il dittatore con tutte le insegne. E la vita di Carell cambierà presto di conseguenza.
Una mostra e un libro su Ghitta Carell
La mostra a Villa Necchi Campiglio su Ghitta Carell
Da maggio a ottobre 2025 il FAI dedica a Ghitta Carell una mostra speciale allestita negli spazi di Villa Necchi. Un’occasione unica per ammirare dal vivo il lavoro della fotografa in uno degli ambienti milanesi più strettamente legati alla sua figura. Tra i suoi scatti raffinati figurano infatti anche gli antichi abitanti della Villa, che animarono le sue stanze, il suo giardino con piscina e – chissà – si sedettero persino a uno dei tanti divanetti del salotto, conversando animatamente con lei. Per la prima volta in una mostra, fotografie, documenti, lettere, libri e cartoline sono accostati per raccontare insieme la storia di Ghitta Carell. La storia e, soprattutto, le relazioni che ebbe con i Necchi Campiglio. Si vede, ad esempio, il volto di Piero Portaluppi, architetto della Villa e non solo: uno dei progettisti più in vista nella Milano dell’epoca. E poi le due sorelle Necchi, ultime abitanti della casa, e persino la grande Giulia Maria Crespi, fondatrice del FAI.
Il nuovo libro su Ghitta Carell
Ad arricchire la narrazione su Ghitta Carell contribuisce anche il nuovo libro We all think of ourselves as a single person but it’s not true,edito da 5 Continent Editions. Un volume prezioso che guida ad approfondire la storia della sua figura, cogliendone tutte le sfaccettature. “Ciascuno di noi si crede uno ma non è vero“, scrive Luigi Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore. Una verità cara ai due curatori, Roberto Dulio e Maria Sica, che invitano a rileggere la biografia prestando attenzione ai cambiamenti – storici, politici e culturali – che Carell ha dovuto affrontare e a cui, abilmente quanto forzatamente, ha dovuto adattarsi.
Emma Sedini
Libri consigliati:
(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti)
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati