Parigi fashion week. È tempo di bilanci

Il sipario della moda parigina è calato sulle collezioni autunno-inverno 2017-18. Mantenendo qualche buona promessa, nonostante il clima ancora fragile e incerto della Ville Lumière.

Siamo tutti vittime di un generale clima di incertezza soprattutto politica. È una patina che opacizza ancora di più la lucentezza di luoghi finora certi e sicuri, dove scappare ogni tanto, dove tutto sembra bello. La Ville Lumière è il simbolo/luogo del week end romantico, della fuga da film, Parigi fa da sfondo da sempre a qualsiasi immagine di eleganza umana ed espositiva: dalle foto del Grand Palais di metà Ottocento fino ai film di Woody Allen, dai Grandi Magazzini inventati come fabbriche dello shopping a quella sensazione di respirare profumi Chanel o Dior camminando per rue Cambon, dove puoi incontrare Karl Lagerfeld. Ecco perché l’opacità malinconica della continua paura dell’attentato o del risultato delle prossime elezioni, che spegne un po’ la luce della Ville Lumière, ha un effetto più visibile nei giorni della moda: c’è poca gente, si trova posto negli hotel e nei ristoranti dove una volta dovevi prenotare mesi prima.
Questa specie di “notte che prima o poi dovrà finire” la combatte, celebrandola come ispirazione, Christian Dior: al museo Rodin, Maria Grazia Chiuri fa sfilare un esercito monocromatico sulle variazioni del blu, dal denim al navy. Come ha detto Rihanna (già vestita Dior mentre la intervistavano, basco compreso) alla fine della sfilata: “Quel blu che è come il nero ma non lo è”.
Un altro grande rito monochrome lo attua Givenchy, che omaggia i suoi pezzi iconici degli ultimi dodici anni rendendoli contemporanei, ma con una rigorosa etichetta su ognuno di essi che dichiara la data di origine, e una presentazione all’insegna del rosso.
Il rosso è usato con tanta decisione, praticamente da tutti, così da diventare un trend assoluto, confermato a Parigi ma già annunciato a Milano da Fendi e Versace; anche la sfilata-performance dei bozzoli abito di Comme des Garçons si chiude in rosso.
Rossi sono alcuni degli abiti bellissimi di Pierpaolo Piccioli per un Valentino allegro come il diario di una fanciulla che incolla le sue icone modificandole e colorandole anche con la porporina, una forma di collage-couture che si ispira al passato come al futuro. In grande stile “scuola romana”, capace di rendere vera e credibile, con abili tecniche sartoriali e ricami preziosi, una figura senza tempo di epoca vittoriana o che cammina per le strade di una città virtuale del 2100.

FUTURO E DIVISE

In quel mondo del futuro camminano anche le femmine aggressive e addestrate della seconda stagione di Antony Vaccarello per Saint Laurent, accompagnate da uomini molto meno potenti. Nel loro sfondo postatomico sembrano le nuove protagoniste di Alien, contemporanee e glamour, in nero e argento, neo Sigourney Weaver con spalle in evidenza grazie a grandi colli aperti di montone o a tagli squadrati e profonde scollature. Seducentemente drappeggiate in pelle, incartate come una cosa preziosa, aggressive e rock, ma femminili.
Quell’aria che contamina quasi tutte le collezioni, quell’ostentata adesione a un mondo che non sia solo esteriore, si esprime con una varietà di richiami alle divise, soprattutto sportive: come i leggins da corsa promossi a veri pants che annunciano il legame fra Nike e Giambattista Valli e accedono a un altro mondo, cambiando destinazione d’uso.
È esplicita, invece, la rielaborazione creata da Fenty per Puma, disegnata dall’onnipresente Rihanna, che alla Biblioteca Nazionale di Francia fa sfilare, camminando sui tavoli, una serie di trasgressivi studenti con qualche bella tuta in un caos da cui emerge il tartan come ultimo segno stilistico riconoscibile.
Non è caos, anche se fa di tutto per farlo sembrare tale, quello di John Galliano per Margiela: è sempre più artistica ed eccezionale la sua realizzazione dell’imperfezione, grazie a un progetto e a un’opera artigianale straordinari.
Come un collagista, taglia parti dell’abito, mette in campo sottrazioni e stravolgimenti fino al surrealismo della borsa che diventa cappello, citazione colta della scarpa-cappello firmata da Schiaparelli negli Anni Quaranta.

Demna Gvasalia per Balenciaga

Demna Gvasalia per Balenciaga

DRIES VAN NOTEN E BALENCIAGA

Le promesse mantenute non sono poche ma due, in particolare, stabilizzano la base e si proiettano verso un futuro credibile. La base, la couture, è resa solida dalla classe di Dries Van Noten che fa sfilare un cast dal fascino senza età, senza una minima traccia di quella ruffianeria strategica che sfoggia le ultrasessantenni come modello per le ultime clienti facoltose. Le sue bellissime donne, tra cui nomi che per vent’anni hanno camminato su passerelle internazionali, sfilano sorridenti e serene, aiutate da cappotti e tailleur maschili avvolgenti. Le stampe e una palette di colori nello stile dell’artista/couturier rendono ancora più preziosi gli accostamenti fra seta, denim, lana, pelliccia e paillettes. Amato da tutti perché non mente mai, Van Noten è sempre coerente e dà sicurezza: non nega la propria fede artistica, nemmeno davanti alla scimitarra che decapita chi non cede a compromessi.
La promessa mantenuta che più ci dà soddisfazione è quella di Balenciaga, piaciuta al pubblico e alla critica, definita da molti come una delle migliori sfilate parigine della stagione. Con sincera stima nei confronti del maestro, Demna Gvasalia cita esplicitamente i pezzi iconici della maison, quelli celebrati dalla mostra in corso a Parigi e dalla futura rassegna londinese al V&A Museum. Li cita in finale, esasperando volume e silhouette, aggiungendo accessori oversize, quasi a costruire una idea astratta di abito intorno al corpo, un punto di contatto creativo con gli abiti molecolari di Comme des Garçons. Gvasalia si dimostra capace di ampliare il concetto di bellezza soprattutto con i propri pezzi, dove il DNA della grande casa di moda rivive negli stessi dogmi dettati da Cristobal. Ma è pur sempre figlio di questo momento storico, di disastri e spazzature da smaltire e usa un tappetino delle macchine per disegnare una gonna fasciante, sposta chiusure in maniere evidente, tanto da confondere le idee a noi e allo stesso abito, che non riesce più a impadronirsi del corpo. Indossabile è la parola che soddisfa ogni perplessità, grazie al suo approccio veramente contemporaneo.

ELEGANZA E ATTUALITÀ

In chiusura, negli ultimi giorni, si fa strada il pensiero che l’eleganza sia anche un mix di stili e personalità diverse come metafora dell’epoca attuale, espresso con la classe di Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton al Museo del Louvre e da MiuMiu di Prada. Miuccia Prada parte dagli Anni Settanta per raggiungere un futuro evidenziato sempre di più dagli accessori, accentua cromie e particolari: maxi colli su cappotti di ecopelliccia coloratissima, sofisticati completi di maglia e abiti sottana e maxi paillettes.
Gran finale con il razzo bianco griffato Chanel che Lagerfeld usa al pari di un grande totem da dove esce un fumo bianco come per dire che dobbiamo sbrigarci. Un messaggio un po’ retorico e un invito al viaggio fin troppo esplicito, come le stampe lunari e degli astronauti e il lurex e l’argento che non risparmiano nemmeno la lana. Femmine glitterate e uomini in total white, bambino compreso.

Clara Tosi Pamphili

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

Scopri di più