Verso la Biennale di Architettura. Intervista a Mario Cucinella

A pochi giorni dall’apertura della Biennale di Architettura 2018, il curatore del Padiglione Italia ripercorre l’iter del progetto “corale” Arcipelago Italia. Progetti per il futuro dei territori interni del Paese.

Manca poco all’inaugurazione di Arcipelago Italia. Quali sono state le sue scelte in qualità di curatore?
Quello che è subito venuto alla luce, per me, è stata la responsabilità della curatela. Un ruolo nuovo e differente rispetto a quello del progettista. Un ruolo che offre maggiore libertà, se vogliamo, ma racchiude una grande responsabilità. Una call ci ha permesso di esplorare quello che accade nel Paese, con particolare attenzione alle aree interne, residuali, periferiche. Grazie al contributo di Marinella Sclavi ‒ sociologa specializzata in etnografia urbana ‒, siamo riusciti ad ascoltare la gente: ciò che è emerso è un bisogno fortissimo di ottenere risposte ‒ seppur non immediate ‒ di cambiare le carte, di aver accesso a desideri mai accolti. La nostra è una società in cui quasi tutti parlano, ma nessuno ascolta. A fronte di una diffidenza iniziale, i risultati sono stati commuoventi dal punto di vista umano.

Un esempio?
Pensate a Gibellina, al teatro mai aperto di Consagra. Mi sono personalmente preso la responsabilità di firmare le carte necessarie alla burocrazia per farlo aprire. Il risultato è stata un’emozione fortissima, un senso di stupore e di appartenenza. Perché lasciare così, abbandonata a sé stessa, un’opera del genere? Arcipelago Italia prova a capirlo, mettendo sotto i riflettori internazionali cinque progetti: nulla di utopico, architettura reale.

Dopo aver visionato oltre 550 progetti, pervenuti tramite la call, cosa emerge del “sistema Paese”?
La mappatura del territorio mi ha offerto la possibilità di avere una visione generale dello stato del nostro bellissimo Paese, effettivamente ancora diviso tra Nord e Sud. La differenza che è emersa maggiormente riguarda la portata dell’investimento pubblico: al Centro-Sud il ruolo dell’amministrazione pubblica è spesso marginale, così come gli investimenti dedicati. Ci sono moltissimi piccoli interventi da effettuare – parliamo di range economici fra i 300mila e i 2 milioni di euro – non necessariamente grandi opere pubbliche. L’Italia è infatti un Paese che necessita di una miriade di interventi di manutenzione. Badate bene: per essere un architetto non bisogna aver per forza costruito una torre a Hong Kong; si può anche aver realizzato edifici minori, purché di qualità. La Sicilia è risultata un luogo piuttosto vivace; in Sardegna ho riscoperto la natura come elemento fondamentale: la sua tradizione è di terra, ancor prima che di mare.

Collina Materana. Guardando giù verso i dirupi dei calanchi di Pisticci – Urban Reports, Alessandro Guida

Collina Materana. Guardando giù verso i dirupi dei calanchi di Pisticci – Urban Reports, Alessandro Guida

Cosa ha determinato la scelta dei sei studi ‒ AM3, BDR, Diverserighe, Gravalos Di Monte, Modus Architects, Solinas Serra – coinvolti nella realizzazione di altrettanti progetti per il Paese?
Di fondo, una certa affinità elettiva e lavorativa. Sono tutti abbastanza giovani e pieni di energia. Alcuni degli studi li conoscevo personalmente, altri no, ma avevamo in comune la necessità di intervenire in luoghi non risolti, di offrire visioni, e di lavorare su temi cardine quali salute, ricostruzione, trasporti, per citarne alcuni. Inoltre, questo approccio “collettivo” ha generato una metodologia di lavoro condivisa, strutturata come insieme di competenze e interpretazione. Il risultato? Proposte operative per il Paese. Sia chiaro: gli architetti sono una categoria indifendibile, ma hanno un ruolo importante, legato anche alla capacità di essere visionari. L’architettura non è solo glamour. Anzi, può davvero fare la differenza. Ai politici noi diciamo: fidatevi! L’architettura può esservi di grande aiuto.

In un recente tweet, ha citato il concetto di “co-creazione”. A cosa si riferisce?
Intendo una discussione collettiva, per l’appunto. Un tenere insieme istanze diverse. Ascoltare tante voci ti impone una grande responsabilità. Prendiamo il caso della ricostruzione: quello che non viene mai dato da coloro che ci governano, al di là di slogan o promesse, sono le prospettive narrative. Mi spiego meglio: non è una questione di attesa. Le persone sono pur disposte ad attendere se avvertono che dall’altra parte ci sono interlocutori affidabili. Non sono i tempi tecnici a essere messi in discussione, bensì la mancanza di una dimensione comune in cui ci si senta davvero ascoltati. E capiti.

Cosa si aspetta dal lavoro di Yvonne Farrell e Shelley McNamara? Qual è la sua opinione sul tema Freespace?
Ho ottime aspettative. Il tema è affascinante, perché allarga lo spazio al di fuori dell’architettura, rappresentando un senso di generosità universale. Stimo le Grafton come progettiste; credo che vedremo interventi interessanti. Manca davvero poco!

Render Tesa 2, Sala dell’Arcipelago – Staff Mario Cucinella

Render Tesa 2, Sala dell’Arcipelago – Staff Mario Cucinella

“Più architetture; meno archistar!”: l’architettura riscopre nuove funzioni comunicative e sociali, non solo da fotografare, ma da vivere. È d’accordo?
Assolutamente! Come dicevo prima, l’architettura è tante cose, non solo glamour! Sarebbe meglio fare un passo indietro sul tema della globalizzazione tout court, e riscoprire la bellezza potente dei luoghi, la loro storia. Il termine archistar è terribile, ha creato dei mostri. Ha fatto sì che un architetto solo grazie alla propria fama potesse costruire ovunque, senza tenere conto del genius loci, dei materiali locali e così via. L’architettura – non quella effimera, “da esportazione” ‒ deve tornare al centro della discussione, deve farsi interprete dei bisogni del proprio tempo: deve, cioè, dare risposte. Solo così riprenderà ad avere un ruolo che merita il rispetto della società.

Ci aggiorni anche sulle sue opere in progress. Il museo etrusco di Milano, ad esempio, come procede?
Al momento siamo alle opere di scavo; il museo è principalmente ipogeo, ma il lavoro comprende anche l’imponente restauro di Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro a Porta Venezia, sede della Fondazione Luigi Rovati. Nel frattempo, è stato costituito un comitato scientifico, al quale partecipa anche Salvatore Settis, che stimo. Il museo di Milano è una storia bella, per diversi motivi: innanzitutto perché rilancia un momento importante della nostra storia, ovvero la cultura etrusca. Inoltre interessa un pubblico vastissimo, trasversale, che va quindi “trattato” con grande attenzione. Pone a noi progettisti una sfida, quella dell’allestimento archeologico, che è materia delicata e complessa da gestire. E, infine, incarna un nuovo rapporto tra mondo pubblico e mondo privato in ambito culturale. All’estero questo già avviene frequentemente; in Italia molto meno. Milano è una delle poche città che ha già una sua tradizione in merito, grazie alle case museo.

Mario Cucinella

Mario Cucinella

Proviamo, per concludere, un esercizio di sintesi: descriva in tre parole il suo lavoro.
Curiosità, perché come diceva Achille Castiglioni: “Se non siete curiosi, lasciate perdere”; Coraggio, perché l’architetto deve essere spinto da quella voglia di scoprire, di esplorare, come un moderno navigatore ‒ loro hanno sfidato i mari e, meno male, hanno scoperto nuovi mondi ‒; Amore. Io amo questo mestiere, è l’amore che mi ha consentito di arrivare fin qui: rifarei tutto, ma che fatica arrivarci! Ci sono anni in cui mi pare di aver vissuto solo in funzione di un lavoro talmente intenso da non ricordare altro.

Giulia Mura

www.arcipelagoitalia.it

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Giulia Mura

Giulia Mura

Architetto specializzato in museografia ed allestimenti, classe 1983, da anni collabora con il critico Luigi Prestinenza Puglisi presso il laboratorio creativo PresS/Tfactory_AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica) e la galleria romana Interno14. Assistente universitaria, curatrice e consulente museografica, con…

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