Il New Yorker: Italia, abbattete gli edifici fascisti. Ma la proposta del giornale è travisata

Infiamma in Italia il dibattito contro l’articolo scritto da Ruth Ben Ghiat sulle colonne del New Yorker, in cui l’autrice si chiede come il nostro Paese possa vivere fianco a fianco con la storia fascista. Per molti è un invito ad abbattere i gioielli dell’architettura modernista e razionalista. Ma se invece fosse solo un invito a innescare una riflessione critica contro antichi fantasmi?

“Non voglio dire cose buone su Mussolini, ma aveva dei begli edifici”. Così concludeva nel 2008 l’artista Dan Graham la sua conversazione con Germano Celant nell’ambito della prima edizione del fu festival dell’arte Contemporanea di Faenza. E come dargli torto, pensando alla Casa del Fascio di Terragni, alla Stazione di Santa Maria Novella di Firenze di Giuseppe Michelucci, all’Eur, al lungomare di Bari, ma anche ad un gioiello di architettura italiana e razionalista come la città di Asmara, in Eritrea, diventata proprio nell’estate del 2017 sito patrimonio dell’Unesco per i suoi palazzi di architettura modernista e fascista. Avviene però che quando la politica e l’ideologia si mettono di mezzo anche la bellezza dei luoghi assume un significato discordante.

Ex Casa del Fascio di Como, progettata da Giuseppe Terragni

Ex Casa del Fascio di Como, progettata da Giuseppe Terragni

LA POLEMICA DEL NEW YORKER

La polemica la lancia sulle colonne del periodico americano New Yorker Ruth Ben Ghiat, docente di italian studies presso la New York University. Scrive, infatti: “l’Italia, il primo stato fascista, ha una lunga relazione con il potere politico di destra: con l’elezione di Silvio Berlusconi nel 1994 il paese è stato il primo a riportare una coalizione neo-fascista al potere all’interno della coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Ma questo non è abbastanza per spiegare la tranquillità degli italiani nel convivere ancora oggi con i simboli del fascismo”. Proprio loro, i palazzi. Con un accenno specifico all’EUR, specchio della grandezza del Regime, costruito nel 1942 sotto Mussolini, mentre l’Italia e la Capitale si preparavano ad ospitare l’Esposizione Universale.

Severino Salvemini, Cinema Impero. Asmara

Severino Salvemini, Cinema Impero. Asmara

FRANCIA E AMERICA: ESEMPI?

Non risparmia nessuno la studiosa, che menziona Fendi per aver trasferito il proprio HQ nell’area romana incriminata. E si domanda: “perché in Francia tutti i riferimenti nell’onomastica nelle vie al generale Philippe Pétain (a capo del governo collaborazionista di Vichy) sono stati rimossi e invece in Italia questo non si riesce a fare?” . Premesso che togliere qualche cartello è molto più semplice che abbattere interi quartieri, la polemica nata dall’articolo di Ruth Ben Ghiat riporta al dibattito, come ricorda la stessa docente, per la rimozione delle statue sudiste inneggianti il generale Lee, memoria (infame) della storia schiavista degli Stati Uniti d’America. Querelle nata da fondamenti giusti che culminata nel corso della scorsa estate, anche in seguito alle dichiarazioni del Presidente Donald Trump, nella parata dei suprematisti bianchi a Charlottesville, terminata con un bilancio di un morto e di una ventina di feriti.

UNA PROPOSTA TRAVISATA?

Ma si possono paragonare statue che rappresentano un simbolo effettivo del regime, o insegne stradali ad un intero movimento che ha fatto grande l’architettura italiana nel mondo? Sarebbe giusto a questo punto abbattere arene, piramidi e boulevard di Parigi e ogni monumento storico che non si conforma alla lettura a posteriori spesso dettata dal politically correct? Se certamente ogni forma di dittatura deve essere condannata, possono l’arte e il tema della ricostruzione storica farne le spese? Ma è anche vero che a meglio leggere la proposta di Ben – Ghiat assomiglia molto meno a quanto poi interpretato dall’opinione pubblica (soprattutto italiana). Non si parla tanto di distruggere, quanto di non rimuovere, interrogandosi sulla storia: “come”, spiega la docente, “gli italiani possono convivere fianco a fianco con questi monumenti senza porsi domande?”

Rossella Biscotti - Le teste in oggetto, 2009. Foto Ela Bialkowska

Rossella Biscotti – Le teste in oggetto, 2009. Foto Ela Bialkowska

IL TEMA DELLO SPAZIO PUBBLICO

L’autrice spiega infatti che quella che Mussolini operò, una volta salito al potere nel 1922, fu una vera e propria colonizzazione dello spazio pubblico: “Mussolini stava conducendo un nuovo movimento in una nazione con un formidabile patrimonio culturale e sapeva che aveva bisogno di una moltitudine di segni per imprimere l’ideologia fascista nel paesaggio”. Ed effettivamente fu quello che fece, con foto, statue, busti, teste che rappresentavano la sua gloria come quella di imperatore romano (teste su cui una artista come Rossella Biscotti ha ragionato lungamente con il suo lavoro Le teste in oggetto). La Ben Ghiat sottolinea inoltre come mentre in Germania sia stato lanciato un programma di rieducazione culturale contro l’apologia del nazismo, in Italia questo non sia mai accaduto. Inoltre, le azioni condotte politicamente per frenare una rinascita fascista sono a suo parere molto deboli e cita l’esempio di Predappio, luogo in cui l’apologia del ventennio assume  toni folkloristici a uso e consumo dei turismi (come se questo potesse essere un tema leggero, su cui si può scherzare). Proprio a Predappio, lo racconta la stessa Ben Ghiat, dovrebbe nascere il Museo del Fascismo nell’Ex Casa del Fascio, modellato sul Centro di Documentazione sulla Storia del Nazionalsocialismo di Monaco di Baviera, nato ovviamente con lo scopo di non dimenticare: lei stessa è coinvolta in questo progetto come membro del Comitato Scientifico.

IL MUSEO DI PREDAPPIO

Proprio la scorsa estate, il Comitato prendeva posizione sulla legge Fiano contro la apologia del fascismo, dichiarando, come riporta Forlì Today: “La scelta dell’amministrazione di Predappio, nel mettere mano al progetto di riqualificazione e riuso dell’ex Casa del Fascio, è stata quella di cercare di superare alla radice – attraverso la cultura, l’educazione, la conoscenza storica – la presenza e gli effetti deleteri di quelle pratiche nostalgiche lasciate crescere nell’indifferenza delle istituzioni e dei poteri dello stato – prosegue il Comitato -. Per questo chiediamo con forza, a tutti coloro che si sono sentiti coinvolti nel dibattito di questi ultimi giorni – parlamento, forze politiche, media, opinione pubblica, associazioni della società civile – di affrontare il problema non puntando soltanto sul versante repressivo e penale, i cui esiti positivi sono tutt’altro che scontati, ma sviluppando un dibattito sulle forme “positive” e sulle iniziative che, in campo culturale ed educativo, è possibile mettere in piedi per rafforzare una conoscenza e coscienza storica spesso poco chiara e sviluppata, ma verso cui c’è una forte richiesta, come testimonia il successo delle diverse trasmissioni di taglio storico che la Rai e le altre emittenti televisive hanno sviluppato e moltiplicato negli ultimi anni”. In Italia e in Europa sono già da anni attive esperienze che cercano di “fare i conti” con questo “patrimonio dissonante”, chiedendosi come rivalutare gli edifici in oggetto, visto anche il loro pregio in molti casi, e come avviare processi di “riconciliazione” con le architetture erette a supporto dei totalitarismi europei. L’obiettivo dunque non è tanto abbattere, ma avviare una riflessione critica, contro il ritorno spaventoso di antichi fantasmi.

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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