Rivoluzione Condé Nast. Chiude Vogue Bambini

La corazzata americana mena fendenti alla sua diramazione italiana. Oltre a chiudere L’Uomo Vogue, anche la testata dedicata ai bambini – o meglio: ai loro genitori – non avrà futuro. Ecco il secondo racconto delle grandi manovre in casa Vogue, ancora una volta scritto da un insider.

Quando il triumvirato LucchiniSartoriFontanesi (direttore creativo e artistico, amministratore delegato e direttore pubblicità) mi convocò nell’ufficio direzionale della Condé Nast italiana, che all’epoca pubblicava solo Vogue e L’Uomo Vogue, mi domandai perché. Ero solo la giovane redattrice tuttofare, anche se pian piano i miei compiti stavano diventando quelli di caporedattore.

LA NASCITA DI VOGUE BAMBINI

Vogliamo entrare nel mercato della moda dei bambini. Ci serve una testata. La farà lei”. Io? Avevo solo venticinque anni e interessi ben lungi da quelli dei marmocchi. Ma mi sentivo una professionista, avrei affrontato anche questa sfida. Per il nascente Vogue Bambini, per arricchire le due testate principali, fatte da quattro gatti intercambiabili, servivano rinforzi. Li volevamo giovani, inesperti, intraprendenti, laureati e motivati.
Ne uscì la famosa inserzione sul Corriere della Sera con cui Flavio Lucchini reclutò una nidiata di ragazze di belle speranze e sicure attitudini. Scelta tra Manuela Pavesi e Maddalena Sisto a me affibbiò una giovanissima Franca Sozzani, assistente per la nascita di Vogue Bambini.

Vogue Bambini

Vogue Bambini

BAMBINI, NON MANICHINI

Non potevo pensare di fare una rivista di vestiti e pubblicità su un argomento tanto delicato. Così traghettai in versione riveduta e corretta la lezione de L’Uomo Vogue: un occhio attento sulla realtà, sul cambiamento, sulla psicologia di genitori e figli, sul mercato, sull’educazione, sul gioco, sull’arte, sull’estetica, il tutto con l’aiuto di esperti e intellettuali. E proposto con la bellezza e la qualità di Vogue, anche grazie a giovani fotografi sensibili che sintonizzai sull’argomento e che divennero veri specialisti nel cogliere la spontaneità dei bambini, che non volevo fotografati come manichini ma durante la corsa, il gioco, le birichinate.
Vogue Bambini aiutò piccole realtà e industrie d’abbigliamento a crescere e a migliorarsi e all’affermazione di Pitti Bimbo come palcoscenico di tanta creatività. Ma aiutò anche le donne “in carriera” di quegli anni a capire un po’ di più i propri bambini. Obiettivo ancora più esaltato nel pieno degli Anni Ottanta con il successivo Donna e Bambini di Edimoda (Rizzoli/Corriere della Sera/Lucchini/Borioli e poi Rusconi/Lucchini/Borioli).

Vogue Bambini

Vogue Bambini

IL MERCATO CRESCE, L’OFFERTA DIMINUISCE

La chiusura di quella testata che ha aperto l’attenzione su un mondo poco conosciuto mi ha colpito. Oggi si fanno meno figli ma l’offerta di abbigliamento, giochi, arredi, oggetti vari è cresciuta a dismisura in parallelo alla mitizzazione dei bambini. Il design per i piccoli è diventato l’ultimo obiettivo di grandi e piccoli produttori, da Kartell a Magis a Qeeboo, che si cimentano con un mondo ludico e libero.
Peccato che la testata giusta non ci sia più. Resta la Rete.

– Gisella Borioli

http://www.vogue.it/vogue-bambini/

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