Philip Guston, un grande artista a Venezia. Intervista con Paola Marini

Seconda parte del nostro focus sul grande artista statunitense Philip Guston, in mostra alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Dopo l’intervista alla figlia, Musa Mayer, arriva il racconto della direttrice del museo.

È uno dei venti “megadirettori” nominati dal ministro Franceschini due anni fa. Paola Marini ha preso il timone alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e ha subito impresso una svolta sensibile. Con mostre temporanee di gran livello, con l’apertura dei nuovi spazi in quello che era lo studio di Emilio Vedova e sovrintendendo al restauro del primo piano del museo, con un progetto che prenderà avvio nei prossimi mesi. Con lei abbiamo parlato della mostra che sarà ospitata durante tutta l’estate, risultato di una fruttuosa collaborazione (anche grazie a una project manager italiana, Pia Capelli) fra il museo, l’Estate di Philip Guston e la galleria Hauser & Wirth. Ecco la conversazione, che fa seguito a quella con la figlia dell’artista, Musa Mayer.

Da dove nasce la collaborazione fra le Gallerie dell’Accademia e l’Estate di Philip Guston?
La collaborazione è nata da una loro proposta. Philip Guston ha amato molto l’Italia e tutto il suo Pantheon è costituito da grandi pittori italiani, di cui uno, Tiepolo, veneto. Alle Gallerie dell’Accademia era particolarmente affezionato e il suo Estate teneva molto a realizzare questa iniziativa in occasione della Biennale. Fra le numerose proposte ricevute dalle Gallerie, quella relativa a Guston mi è sembrata la più interessante. Ho avuto modo di approfondirla da tanti punti di vista, osservando da vicino le opere dell’artista e incontrando Sally Radic e Musa Mayer, la figlia di Guston.

Quali ragioni l’hanno convinta a scegliere di realizzare questo progetto?
Guston è un grande pittore, quindi la continuità dell’indagine sulla materia – aspetto sempre molto importante nel fare artistico – è stato un elemento dirimente. Mi sembrava di rilievo il confronto tra gli oggetti quotidiani, talvolta banali, di Guston nella sua fase più matura e la ricerca di alcuni poeti, in particolare Montale con i suoi Ossi di seppia. Mi pareva ci fosse tutto: un artista noto in America e parecchio musealizzato. Tra i prestiti, una quindicina provengono da musei pubblici americani e non sono stati facilissimi da ricevere.

Philip Guston durante una lezione alla New York Studio School negli anni ‘70

Philip Guston durante una lezione alla New York Studio School negli anni ‘70

Come mai?
La mostra è stata accettata come evento collaterale della Biennale con una tempistica che mal si adatta allo schedule dei musei americani. I tempi della Biennale sono veloci, mentre una mostra di questo tipo, realizzata con gli stessi criteri con cui abbiamo messo a punto la mostra su Aldo Manuzio – anche se stavolta si tratta di un artista morto nel 1980 – necessita di tempi più lunghi. Mutatis mutandis, è una mostra fatta con un metodo molto diligente.

Esistono altre similitudini fra le due rassegne?
La mostra di Guston si svolgerà nei medesimi spazi che hanno accolto Manuzio e che appariranno completamente diversi, perché le opere di Manuzio erano piccole e richiedevano un’attenzione concentrata, qui invece siamo agli antipodi: dimensioni molto grandi, colori molto forti, materia molto presente. Guston rimane un action painter anche quando ritorna alla figurazione.

E per quanto riguarda gli allestimenti?
Ci siamo rivolti allo Studio Grisdainese – specializzato nelle mostre temporanee, oltre che nei musei permanenti – il quale, insieme allo Studio Vio Fassina, fa capo al progetto di restauro del primo piano delle Gallerie dell’Accademia, che speriamo sia in procinto di iniziare. Abbiamo dunque coinvolto architetti che hanno già negli occhi la situazione delle Gallerie.

Philip Guston, Pantheon, 1973. Olio su tavola, 114 × 122 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

Philip Guston, Pantheon, 1973. Olio su tavola, 114 × 122 cm. Collezione privata. © 2016 The Estate of Philip Guston / Hauser & Wirth

Si tratta di un assaggio di quello che sarà il lavoro successivo?
Forse. D’altra parte, avendo a disposizione risorse molto limitate, abbiamo cercato di mettere a punto insieme agli architetti un allestimento molto minimale ma duttile. Io credo poco negli allestimenti temporanei riciclabili, però ci abbiamo provato. Il risultato è un effetto di continuità su spazi di grandi dimensioni, ordinati per temi e non per cronologia, che daranno visibilità anche ai disegni.

I riflettori saranno quindi puntati anche sull’opera grafica di Guston?
Guston è un disegnatore forte e veemente e l’aspetto del disegno sarà molto approfondito, al pari delle diverse fasi del suo percorso, da quella di vicinanza al Surrealismo, la fase dei grandi murales, alla fase dell’action painting, ma predominerà il ritorno alla figurazione anche attraverso il recupero del linguaggio popolare, dei fumetti e della comunicazione di massa. Ci saranno sia i disegni ispirati all’antico sia i disegni più militanti. Per molti sarà uno shock.

– Marco Enrico Giacomelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #37

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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