“L’arte italiana è una piccola famiglia”. Luca Beatrice spara a zero sulle più recenti nomine: “a volte diventa una setta elitaria”

“In certe valli semidisabitate, vista l’esiguità di persone sessualmente attive, pare sia uso accoppiarsi tra consanguinei. Il che può sviluppare nei neonati disturbi di natura genetica, come il gozzo ipotiroideo”. Se cercava una metafora forte e chiara, Luca Beatrice, per comunicare il suo pensiero sulle dinamiche dell’arte contemporanea in Italia alla luce delle più recenti […]

In certe valli semidisabitate, vista l’esiguità di persone sessualmente attive, pare sia uso accoppiarsi tra consanguinei. Il che può sviluppare nei neonati disturbi di natura genetica, come il gozzo ipotiroideo”. Se cercava una metafora forte e chiara, Luca Beatrice, per comunicare il suo pensiero sulle dinamiche dell’arte contemporanea in Italia alla luce delle più recenti nomine pubbliche a musei e importanti rassegne, certamente l’ha trovata. Dalla sua tribuna su Il Giornale cala oggi una mano assai pesante sull’arte italiana che – chiarisce fin dal titolo – “è una piccola famiglia. E a volte diventa una setta elitaria”. Se sia una riflessione “terza”, o sia in qualche maniera influenzata dall’essere l’autore – o essere stato – una pedina attiva sullo scenario che ora analizza, importa poco, e comunque lo lasciamo giudicare ai lettori: di certo l’affondo non manca di determinazione e anche di coraggio.

NON CONTANO PASSIONE, SENSO DEL RISCHIO, RISULTATI
Pochi individui, sempre gli stessi, si scambiano ruoli e poltrone tra loro, senza far passare nessuno che non appartenga a questo strettissimo giro, e che in cambio dà pessimi risultati simili alle malformazioni fisiche di cui sopra”, chiarisce Beatrice per dare forza alla metafora. “Fare il direttore di museo o il curatore è diventata una carriera più che un mestiere. Non contano passione, senso del rischio, né tantomeno risultati raggiunti sul campo”. Per poi demolire anche le procedure dei bandi, a suo dire solo di facciata: “Ultima trovata per rafforzare una setta granitica è quella dei bandi: fingendo trasparenza e democrazia non si fa che ribadire ciò che si potrebbe fare tranquillamente per nomina diretta, almeno il politico di turno se ne prenderebbe la responsabilità. Nei salotti romani, molto beniformati, a tutti era chiaro che Bartolomeo Pietromarchi sarebbe stato il prossimo direttore di settore al Maxxi. Sobrio ai limiti della noia, autore di uno dei Padiglioni Italia più scialbi che si ricordi, piace più a manca che a destra e certo non avrà difficoltà a imporsi sul direttore Hou Hanru, assai poco presente, tanto da quelle parti basta piacere a chi comanda, cioè Melandri”.

MA FORSE CECILIA ALEMANI…
Ne ha per tutti, il Beatrice furioso, che qualcuno di certo cambierà in “bilioso”. “Allo stesso modo si sapeva che Gianfranco Maraniello sarebbe stato nominato al Mart, che Cristiana Collu l’avrebbe spuntata alla GNAM, che Carolyn Christov Bakargiev si sarebbe presa due musei torinesi. Tecnici preparati forse, non certo curatori visionari di cui avrebbero molto bisogno i nostri musei così asfittici”. E poteva mancare uno sguardo alla più recente nomina, quella di Cecilia Alemani al Padiglione Italia 2017? “C’è chi addirittura esulta preventivamente, come preventivamente ha bocciato chi non gli era simpatico”, e qui probabilmente emerge un rimando autobiografico, come co-curatore del padiglione nel 2009. “La giovane Cecilia da tempo vive a New York col potente marito Massimiliano Gioni, eppure magari da lontano può essersi fatta un’idea fresca e nuova dell’arte italiana”. Una (sorprendente, a questo punto) apertura in chiusura?

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